Intervista al card. Agostino Marchetto a cura di Daniele Fazio per Cristianità. Testo fornito da S. Em. za Card. Agostino Marchetto.
Del card. Agostino Marchetto Papa Francesco (2013-2025) ha detto che è «il miglior ermeneuta del Concilio»1 , sostenendo questa tesi proprio per il fatto che il suo accostamento è profondamente storico-teologico e non ideologico.
Del resto, l’«ermeneutica della riforma nella continuità dell’unico soggetto Chiesa» è insegnamento esplicitato da Papa Benedetto XVI (2005-2013), nonché condiviso da tutti i Pontefici successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Da storico della Chiesa, da pastore al servizio per anni della Santa Sede come nunzio apostolico e segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, nonché da cardinale — creato da Papa Francesco nel concistoro del 30 settembre 2023 — in questa intervista ci aiuta meglio a comprendere che cos’è un Sinodo e quali sono i punti più importanti del Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione (2023-2024), sia per una loro adeguata recezione, sia perché costituisca la spinta per produrre nuovi frutti spirituali e un nuovo slancio missionario al fine di inculturare più efficacemente la fede nel contesto odierno.
D. Eminenza, la prima questione su cui è opportuno soffermarci riguarda la natura del Sinodo e l’importanza di questa istituzione nel corso della storia della Chiesa.
R. Piacere anzitutto di conoscerla attraverso le sue domande, che ne hanno al primo posto una per me molto importante perché mi offre l’opportunità di situarla, pure assieme ad altre, nel contesto della Sacra Scrittura. Apro, dunque, il libro sacro pur notando che ci saranno nella storia varie categorie di concili e sinodi. Apriamo, dunque, il libro degli Atti degli Apostoli, di Pietro e di Paolo, e al cap. 15 vi appare per la Chiesa, fin dal suo inizio, il problema diciamo così della circoncisione. Bisognerebbe leggere tutto il capitolo (vv. 1-41) ma lo lascio fare a te, lettore, o ascoltatore, per cui mi limito a riassumerlo nei seguenti brevissimi titoli, e cioè «Discorso di Pietro: situazione dei pagani convertiti», «Discorso di Giacomo: una proposta conciliante della «controversia», «La lettera apostolica» e «Paolo riparte per la missione». La questione, in radice, è se la comunità fondata da Gesù Cristo, i suoi discepoli, saranno una «setta» (pardon!) giudaica, o «la Sua Chiesa». Alla radice c’era l’affermazione che alcuni, discesi dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo la legge di Mosè, non potete essere salvi» (At 15,1). Ma «gli Apostoli e gli anziani» scrivono: «lo Spirito Santo e noi abbiamo deciso di non imporvi altro peso eccetto queste cose necessarie...» (At 15, 28). Eccoci arrivati al punto: «lo Spirito Santo e noi», ed è ciò che fa indicare a non pochi questa riunione come «Concilio di Gerusalemme». Sarebbe così il primo, anche se nella lista riconosciuta dalla Chiesa cattolica come ecumenici è accettato che il primo sia stato celebrato a Nicea [nel 325]. In ogni caso, il «concilio» di Gerusalemme conferma che la Chiesa, come ogni organismo vivente — pensiero dello stesso John Henry Newman [cardinale; beato; 1801-1890] — è in continua crescita, all’interno e all’esterno, pur volendo rimanere sé stessa. Orbene, un tale sviluppo, di certo, implica molteplici problemi, che riguardano la dottrina, il culto, la morale, la disciplina e l’apostolato. In genere — come si sa — alla loro soluzione provvede il Magistero (l’Insegnamento) ordinario dei Pastori, coadiuvato dai teologi uniti a tutto il Popolo di Dio, in comunione con essi. A volte, peraltro, la complessità della materia o la gravità delle circostanze storiche suggeriscono interventi straordinari. Fra questi sono da considerare i concili, i quali promuovono, nella fedeltà alla Tradizione, lo sviluppo dottrinale, le riforme liturgiche e disciplinari e le scelte apostoliche, in considerazione altresì delle esigenze dei tempi — i famosi «segni dei tempi», che non costituiscono però una nuova Rivelazione. I Sinodi risultano essere, in tale prospettiva, le pietre miliari del cammino della Chiesa nella storia.
D. Il Sinodo può essere visto come un processo meramente democratico di decisioni, come se la verità venisse fuori dalle maggioranze?
R. Orbene, ecco ora nascere il pensiero che la sinodalità non sia espressione soltanto di un evento episodico nella vita della Chiesa, ma la permei tutta, trasformandola in sinodale, domandandosi che il Popolo di Dio «cammini insieme», in consenso sinodale, come espressione della «Cattolica», per noi «incarnazione» del combinarsi di Tradizione e rinnovamento, (et-et) come lo fu nel Magno Sinodo Vaticano [Concilio Vaticano II]. Rimane l’anima di verità dell’opportunità e dell’importanza del consenso, come fecero del resto a Gerusalemme gli Apostoli e gli Anziani. La sua assenza o carenza sono, infatti, un qualcosa che si deve poi «pagare» a caro prezzo, come insegna la storia. Di fatto l’esempio di molti concili importanti — da quello di Calcedonia [del 451] al Vaticano II [1962-1965], passando per il Concilio di Trento [1545-1563] —, che si sono preoccupati faticosamente di raggiungere il consenso, è una testimonianza della sua fondamentale importanza e del suo carattere di segno, soprattutto nel senso che la verità non viene «decisa» — mediante votazione, dalle maggioranze, come si domanda nella questione da lei posta —, ma «attestata» (mediante il consenso). E qual è il cammino per raggiungerlo se non quello del dialogo? Da ciò la sua necessità fra i partecipanti ai concili di arrivare al consenso, con l’assistenza dello Spirito Santo. Conoscendo la ricchezza e le contraddizioni della cultura, le delusioni e le difficoltà dell’uomo contemporaneo, san Paolo VI [1963-1978], seguendo l’interiore impulso di carità, cercò quindi di calarsi nell’«oggi di Dio». E siamo al Vaticano II, al Magno Sinodo, come l’ho spesso chiamato. E non mancarono le difficoltà a quel santo Pontefice tanto che il card. Koenig [Franz; 1905-2004] lo ebbe a definire «il martire del Concilio». Come prova del suo impegno richiamo solo la Nota explicativa praevia, che egli volle al cap. III dello schema sulla Chiesa. Essa liberò il testo dalle implicazioni e potenzialità che avrebbero potuto dare origine a distorte interpretazioni, e non era in contraddizione, secondo il giudizio che più tardi ne diede lo stesso Philips [Gérard; 1899-1972], noto teologo e «ricucitore», in parte, della Lumen gentium, con il relativo testo conciliare. Cessate le perplessità, nella votazione della sessione pubblica, del 21 novembre, si ebbe l’approvazione unanime: 2151 placet, 5 non placet. Straordinario risultato, nonostante ci sia già qualcuno che invochi una diversa stesura della Lumen gentium.
D. Il Documento finale dell’ultimo Sinodo voluto da Papa Francesco ribadisce che esso si pone nell’ottica di un approfondimento del magistero del Concilio Vaticano II. In qualche modo, come accaduto per la ricezione del Concilio, anche in occasione del Sinodo si sono imposte delle interpretazioni mediatiche e ideologiche che hanno visto nell’evento una sorta di rottura con la Tradizione e si sono create aspettative radicalmente rivoluzionarie. Come superare questa visione tendenziosa?
R. E siamo al Documento finale dell’ultimo Sinodo, che il Papa ribadisce si pone nell’ottica di un approfondimento — rinnovamento e riforma, dunque — nella continuità dell’unico soggetto Chiesa del magistero del Concilio Vaticano II. Più chiaro di così! Che si impongano, invece, alcune interpretazioni ideologiche e mediatiche di senso contrario, come, mutatis mutandis, avvenne per i testi conciliari, è un ulteriore segno di mancanza di accettazione di Colui che il Signore Gesù ha chiamato a guidare il suo gregge. Manca la visione cattolica, l’accettazione del Magistero, la visione dottrinale nell’esercizio della cura pastorale di Chi è stato scelto per essere Successore di Pietro, vescovo di Roma. E Papa Francesco ne è cosciente. Mi diceva qualche tempo prima della mia creazione cardinalizia: «Si ricorda, non è vero, che le dicevo che la considero il migliore ermeneuta del Vaticano II?». «E lo penso ancora, continuò. Ma non le ho detto il perché». E in effetti non lo aveva specificato. «Orbene oggi glielo dico. Ed è perché lei non è ideologo». E questo mi ha consolato, perché mi stava coronando come storico. Ciò mi sostiene anche in questo compito di rispondere alle sue domande, oggi. «[...] certo non possiamo tornare al passato, e nemmeno lo vogliamo» — dichiarò lo stesso Benedetto XVI — «E tuttavia dobbiamo essere disposti a riflettere nuovamente su ciò che, nel mutare dei tempi, è quel che sostiene davvero. Cercarlo in modo fermo e osare senza sconti la follia del vero con cuore lieto». E così continuava: «mi sembra essere il compito per oggi e per domani: è l’autentico nocciolo del servizio della Chiesa al mondo, la sua risposta alle “gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi”»2 . Per quell’«unità dell’unico soggetto Chiesa»3 , parte finale della formula di ermeneutica corretta di Ratzinger, pienamente dispiegata al suo giungere al sommo Pontificato, egli attestava che «il Vaticano II oggi [allora] sta sotto una luce crepuscolare. Dalla cosiddetta ala progressista, già da molto tempo, è ritenuto completamente superato e di conseguenza come un fatto del passato ormai non più rilevante. Dalla parte opposta, al contrario — come emerge in misura crescente, per esempio, da molti interventi dei lettori del “Deutsche Tagespost” — è ritenuto la causa prima dell’attuale decadimento della Chiesa cattolica ed è giudicato come un rinnegamento del Vaticano I [1869-1870] e del Concilio di Trento: è sospettato di eresia. Di conseguenza si pretende la sua revoca o una revisione che equivale alla revoca. «Riguardo a entrambe le posizioni va precisato [anche per me] innanzitutto che il Vaticano II è supportato dalla stessa autorità del Vaticano I e del Tridentino, cioè dal papa e dal collegio dei vescovi in comunione con lui; e che, anche dal punto di vista dei contenuti, si pone strettamente in continuità con i due concili precedenti e in punti decisivi li riprende alla lettera, tanto che ne vengono ripetute proprio le formule particolarmente caratteristiche e acute: “pari pietatis affectu”, “ex sese, non ex consensu ecclesiae”. Da qui derivano due tesi: «a) È impossibile schierarsi a favore del Vaticano II e contro il Tridentino e il Vaticano I. Chi dice sì al Vaticano II, così come esso ha chiaramente espresso e concepito se stesso, dice sì con ciò all’intera vincolante Tradizione della Chiesa cattolica, in particolare anche ai due precedenti concili. «b) Allo stesso modo è impossibile schierarsi a favore del Tridentino e del Vaticano I, ma contro il Vaticano II. Chi nega il Vaticano II nega l’autorità che supporta gli altri due concili e così li annulla a partire dal loro principio fondante. Ogni scelta, in questo caso, distrugge tutto l’insieme, che sussiste solo come unità indivisibile»4 .
D. Per la prima volta dall’istituzione del Sinodo dei Vescovi, voluta da Papa Paolo VI, il Santo Padre non emanerà un’esortazione apostolica, ma ha reso il documento conclusivo votato dall’Assemblea un atto del suo magistero ordinario. Quindi ci ritroviamo innanzi ad una novità, ossia davanti ad un atto magisteriale che su diversi snodi non definisce ma incoraggia la prosecuzione di processi di approfondimento e in qualche modo dà facoltà di interpretare le questioni non definite in maniera differente dalle varie Conferenze episcopali?
R. A proposito della questione da lei presentata della novità di un procedere di Papa Francesco, è stata di certo una sorpresa. Questo si può dire, ma non ritengo che significhi che su diversi snodi non definisce ma incoraggia la prosecuzione di processi di approfondimento, e in qualche modo dà facoltà di interpretare le questioni non definite in maniera differente dalle varie Conferenze episcopali. A questo proposito nei giorni seguenti l’emanazione del Documento, L’Osservatore Romano ha pubblicato delle brevissime linee che non vanno in tale direzione, indicando orientamenti per il successivo procedere nella Chiesa, così: «Il Documento finale — conclude infatti il Papa — contiene indicazioni che, alla luce dei suoi orientamenti di fondo, già ora possono essere recepite nelle Chiese locali e nei raggruppamenti di Chiese, tenendo conto dei diversi contesti, di quello che già si è fatto e di quello che resta da fare per apprendere e sviluppare sempre meglio lo stile proprio della Chiesa sinodale missionaria. In molti casi si tratta di dare effettiva attuazione a ciò che è già previsto dal diritto vigente, latino e orientale. In altri casi si potrà procedere, attraverso un discernimento sinodale e nel quadro delle possibilità indicate dal Documento finale, all’attivazione creativa di forme nuove di ministerialità e di azione missionaria, sperimentando e sottoponendo a verifica le esperienze. Nella relazione prevista per la visita ad limina ciascun vescovo avrà cura di riferire quali scelte sono state fatte nella Chiesa locale a lui affidata in rapporto a ciò che è indicato nel Documento finale, quali difficoltà si sono incontrate, quali sono stati i frutti. Il compito di accompagnare la fase attuativa del cammino sinodale, sulla base degli orientamenti offerti dal Documento finale, è affidato alla Segreteria Generale del Sinodo insieme ai Dicasteri della Curia Romana» (cfr. Nota di accompagnamento del Documento finale della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi). Il Documento finale contiene indicazioni che, alla luce dei suoi orientamenti di fondo, già ora possono essere recepite nelle Chiese locali e nei raggruppamenti di Chiese, tenendo conto dei diversi contesti, di quello che già si è fatto e di quello che resta da fare per apprendere e sviluppare sempre meglio lo stile proprio della Chiesa sinodale missionaria. Il compito di accompagnare la «fase attuativa» del cammino sinodale, sulla base degli orientamenti offerti dal Documento finale, è affidato alla Segreteria Generale del Sinodo insieme ai Dicasteri della Curia Romana (cfr. EC 19-21). Il cammino sinodale della Chiesa Cattolica, animato anche dal desiderio di proseguire il cammino verso l’unità piena e visibile dei cristiani, ha affermato il Papa: «ha bisogno che le parole condivise siano accompagnate dai fatti» (cfr. Saluto finale alla XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 26 ottobre 2024). Lo Spirito Santo, dono del Risorto, sostenga e orienti la Chiesa tutta in questo cammino. Egli, che è armonia, continui a far ringiovanire la Chiesa con la forza del Vangelo, la rinnovi e la conduca alla perfetta unione con il suo Sposo (cfr. LG 4). Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: «Vieni» (cfr. Ap 22,17) (cfr. Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede, 24 novembre 2025).
D. Come possiamo ben interpretare, nella dinamica delle categorie di «riforma» e «continuità», il Sinodo sulla sinodalità voluto da Papa Francesco? Quali sono gli elementi di «riforma» e quali quelli di «continuità» che emergono dal Documento finale?
R. Reputo che qui dovrei rimandare il lettore a tutti i volumi di storia e di ermeneutica del Vaticano II, cosa impossibile, si capisce, e questo per rendersi conto dei cambiamenti, nella continuità, avvenuti e delle decisioni prevalse di non accettare proposte che non trovano appoggio nei testi conciliari. Una caratteristica, infatti, di questo Concilio io l’ho tradotta nel mettere insieme «et...et»: vi è riforma, o rinnovamento, aggiornamento e continuità e armonico sviluppo, non rottura però. Vi è poi l’insistere nel Magno Sinodo, come spesso l’ho chiamato, di coloro che sono considerati conservatori e altri invece progressisti, termini che io non utilizzo, parlando invece di appartenenza alla maggioranza o alla minoranza conciliare, con riflessi su alcune richieste insistenti o ripetuti rifiuti che si volevano espressi, nel nostro caso qui, nel Documento finale. A questo punto sarei incline a invitare coloro che leggeranno il Documento finale a porsi la domanda presentata a me per una equa e conveniente loro risposta.
D. Una parola, che è metodo e prassi, molto ricorrente all’interno del Documento è quella del «discernimento». Come possiamo comprenderla al meglio?
R. E arriviamo a una parola-chiave, che è metodo e prassi, molto ricorrente all’interno del Documento che è quella del «discernimento». L’assonanza con «scegliere» ci indica il cammino. Papa Francesco ne comincia a parlare nell’udienza generale di mercoledì 11 gennaio 2023 e ne farà suo tema per quattordici catechesi. Si tratta della passione per l’evangelizzazione: lo zelo apostolico del credente. La chiamata all’apostolato (cfr. Mt 9,9-13). «Iniziamo oggi — disse il Santo Padre quel giorno — un nuovo ciclo di catechesi, dedicato a un tema urgente e decisivo per la vita cristiana: la passione per l’evangelizzazione, cioè lo zelo apostolico. Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa: la comunità dei discepoli di Gesù nasce infatti apostolica, nasce missionaria, non proselitista e dall’inizio dovevano distinguere questo: essere missionario, essere apostolico, evangelizzare non è lo stesso di fare proselitismo, niente a che vedere una cosa con l’altra. Si tratta di una dimensione vitale per la Chiesa, la comunità dei discepoli di Gesù nasce apostolica e missionaria. Lo Spirito Santo la plasma in uscita — la Chiesa in uscita, che esce —, perché non sia ripiegata su sé stessa, ma estroversa, testimone contagiosa di Gesù la fede si contagia, pure — protesa a irradiare la sua luce fino agli estremi confini della terra. Può succedere, però, che l’ardore apostolico, il desiderio di raggiungere gli altri con il buon annuncio del Vangelo, diminuisca, divenga tiepido. A volte sembra eclissarsi, sono cristiani chiusi, non pensano agli altri. Ma quando la vita cristiana perde di vista l’orizzonte dell’evangelizzazione, l’orizzonte dell’annuncio, si ammala: si chiude in sé stessa, diventa autoreferenziale, si atrofizza. Senza zelo apostolico, la fede appassisce. La missione è invece l’ossigeno della vita cristiana: la tonifica e la purifica. Intraprendiamo allora un percorso alla riscoperta della passione evangelizzatrice, iniziando dalle Scritture e dall’insegnamento della Chiesa, per attingere alle fonti lo zelo apostolico. Poi ci accosteremo ad alcune sorgenti vive, ad alcuni testimoni che hanno riacceso nella Chiesa la passione per il Vangelo, perché ci aiutino a ravvivare il fuoco che lo Spirito Santo vuole far ardere sempre in noi»5 . Su questo slancio desidero riportare qui parte di un documento della Commissione Teologica Internazionale dal titolo La teologia oggi: prospettive, principi e criteri [del 2012] che penso illumini sul tema discernimento. Il documento così inizia:
A. «Gli anni successivi al Concilio Vaticano II sono stati estremamente fecondi per la teologia cattolica. Sono emerse nuove voci teologiche, soprattutto quelle dei laici e delle donne; teologie provenienti da nuovi contesti culturali, in particolar modo America Latina, Africa e Asia; nuovi temi di riflessione, quali la pace, la liberazione, l’ecologia e la bioetica; approfondimenti di temi già trattati, grazie ad un rinnovamento negli studi biblici, liturgici, patristici e medievali; e nuove sedi di riflessione, come il dialogo ecumenico, interreligioso e interculturale. Sono tutti sviluppi fondamentalmente positivi. La teologia cattolica ha cercato di percorrere la strada aperta dal Concilio, che ha voluto esprimere «solidarietà, rispetto e amore verso l’intera famiglia umana», entrando in dialogo con essa e offrendo “le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore”. Tuttavia, in questo stesso periodo si è anche vista una certa frammentazione della teologia, che nel dialogo sopra richiamato si trova sempre dinanzi la sfida di mantenere la propria identità. Si pone, quindi, l’interrogativo di che cosa caratterizzi la teologia cattolica e le dia, nelle e attraverso le sue molteplici forme, un chiaro senso di identità nel suo confronto con il mondo di oggi».
B. «È evidente che in una certa misura la Chiesa ha bisogno di un discorso comune se vuole comunicare al mondo il messaggio unico di Cristo, sul piano sia teologico sia pastorale. Si può quindi legittimamente parlare della necessità di una certa unità della teologia. Dobbiamo tuttavia comprendere bene che cosa si intende per unità, affinché non vada confusa con l’uniformità o un unico stile. L’unità della teologia, come quella della Chiesa, così come viene professata nel Credo, deve essere strettamente correlata al concetto di cattolicità, come pure ai concetti di santità e di apostolicità. La cattolicità della Chiesa deriva da Cristo stesso, Salvatore del mondo e dell’umanità intera (cfr. Ef 1,3-10; 1 Tim 2,3-6). La Chiesa ha quindi dimora in ogni nazione e cultura e cerca di “accogliere tutto per la salvezza e la santificazione”. Il fatto che ci sia un unico Salvatore mostra l’esistenza di un nesso necessario tra cattolicità e unità. Nell’esplorare l’inesauribile Mistero di Dio e le innumerevoli vie attraverso le quali, in contesti diversi, la grazia di Dio opera per la salvezza, la teologia giustamente e necessariamente assume una molteplicità di forme, e tuttavia, nell’indagare l’unica verità del Dio uno e trino e il piano di salvezza incentrato sull’unico Signore Gesù Cristo, questa pluralità deve manifestare tratti familiari distintivi».
C. La Commissione Teologica Internazionale ha già esaminato diversi aspetti del compito teologico in precedenti documenti, in particolare L’unità della fede e il pluralismo teologico (1972), Magistero e teologia (1975) e L’interpretazione dei dogmi (1990). Il presente testo si propone di individuare i tratti familiari distintivi della teologia cattolica. Si prenderanno in esame quelle prospettive e princìpi di base che caratterizzano la teologia cattolica, e si esporranno i criteri attraverso i quali teologie diverse e molteplici possono comunque essere riconosciute come autenticamente cattoliche e partecipanti alla missione della Chiesa cattolica, che è quella di proclamare la Buona Notizia a persone di ogni nazione, tribù, popolo e lingua (cfr Mt 28,8-20; Ap 7,9) e, facendo loro sentire la voce dell’unico Signore, raccoglierle tutte in un unico gregge con un unico pastore (Gv 10,16). Tale missione richiede la presenza nella teologia cattolica della diversità nell’unità così come dell’unità nella diversità. Le teologie cattoliche dovrebbero essere identificabili come tali, e sono chiamate a sostenersi a vicenda e a rendere conto reciprocamente del proprio operato, come lo sono gli stessi cristiani nella comunione con la Chiesa per la gloria di Dio. Il presente testo consiste quindi di tre capitoli, in cui vengono esposti i temi seguenti: nella ricca pluralità delle sue espressioni, protagonisti, idee e contesti, la teologia è cattolica, e quindi fondamentalmente una, se scaturisce da un attento ascolto della parola di Dio (cfr. capitolo 1); se si pone consapevolmente e fedelmente in comunione con la Chiesa (cfr. capitolo 2); e se è orientata al servizio di Dio nel mondo, offrendo agli uomini e alle donne di oggi la divina verità in forma intelligibile (cfr. capitolo 3)».
D. Il Documento sottolinea spesso la necessità di una valorizzazione delle donne anche in ruoli di guida e ritiene ancora aperta la discussione e l’approfondimento sul diaconato femminile. Come comprendere rettamente questa necessità, senza cedere a prospettive di rivendicazione o ideologiche?
R. L’Assemblea sinodale ha approvato i 155 paragrafi del Documento finale, Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione, atto conclusivo della seconda sessione della sedicesima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi approvato da Papa Francesco. I suoi membri hanno scritto di aver compreso che «al cuore del Sinodo [...] c’è una chiamata alla gioia e al rinnovamento della Chiesa nella sequela del Signore, nell’impegno al servizio della sua missione, nella ricerca dei modi per esserle fedeli» e che «Il cammino sinodale sta [...] mettendo in atto ciò che il Concilio [Vaticano II] ha insegnato sulla Chiesa come Mistero e Popolo di Dio, chiamato alla santità attraverso una continua conversione che viene dall’ascolto del Vangelo. In questo senso costituisce un vero atto di ulteriore recezione del Concilio, ne prolunga l’ispirazione e ne rilancia per il mondo di oggi la forza profetica». Il Documento è diviso in cinque parti: «Il cuore della sinodalità» ne delinea i fondamenti e le prospettive teologiche e spirituali; «Insieme, sulla barca» è dedicata alla conversione delle relazioni che edificano la comunità cristiana e danno forma alla missione; «Gettate la rete» identifica le pratiche intimamente connesse del discernimento ecclesiale, dei processi decisionali e della cultura della trasparenza, del rendiconto e della valutazione; «Una pesca abbondante» illustra come coltivare in forme nuove lo scambio dei doni e l’intreccio dei legami che ci uniscono nella Chiesa; «Anch’io mando voi» indica il primo passo da compiere: curare la formazione del Popolo di Dio alla sinodalità missionaria. Pressoché ogni paragrafo è stato votato quasi all’unanimità dai 355 presenti, a parte alcuni che hanno sollevato una certa, ma comunque marginale, contrarietà. Quello con più voti contrari (97) è dedicato al ruolo delle donne nella Chiesa, in cui si afferma: «Non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa: non si potrà fermare quello che viene dallo Spirito Santo. Anche la questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo». Seguono il paragrafo sul ruolo delle Conferenze episcopali (45 contrari), che specifica «il vincolo ecclesiale che le decisioni prese da una Conferenza episcopale generano, rispetto alla propria diocesi, per ciascun Vescovo che ha partecipato a quelle stesse decisioni»; quello sulle assemblee eucaristiche e sinodali (43), che ha l’obiettivo di «rendere le celebrazioni liturgiche più espressive della sinodalità»; quello sulla formazione dei sacerdoti (40), che prevede che «i percorsi di discernimento e formazione dei candidati al ministero ordinato siano configurati in stile sinodale», prevedendo fra l’altro una significativa presenza di figure femminili e un inserimento nella vita quotidiana delle comunità. A questo punto si inserisce, direi, la sua domanda, cioè come comprendere rettamente la necessità di una valorizzazione delle donne anche in ruoli di guida e se la Chiesa ritiene ancora aperta la discussione e l’approfondimento sul diaconato femminile, senza cedere a prospettive di rivendicazioni o ideologie? Per quanto riguarda la prima parte della questione, credo che quanto avvenuto in questi ultimi o ultimissimi tempi dice che si sta realizzando già per le donne una valorizzazione anche in ruoli di guida. Per il diaconato, credo che la questione non vada messa in tale prospettiva. Dal punto di vista dell’oggi esso fa parte del sacramento dell’Ordine sacro, il suo primo gradino, come si suol dire, e ciò lo pone in un contesto sacramentale che nella Chiesa indica l’appartenenza a una tradizione, a una teologia, a una dottrina, a una particolare attenzione al rispetto e alla fedeltà. Continua comunque lo studio di questo tema. Al riguardo mi sia permesso ricordare quanto mi diceva un outstanding cardinale che aveva intavolato sull’argomento un approfondito dialogo con un eminente sacerdote teologo cattolico di rito orientale e che aveva conservato da questa esperienza di dialogo che, anche alla luce degli studi suoi e della storia delle Chiese orientali, non si poteva procedere all’amministrazione nella linea di un diaconato al femminile, diciamo così.
D. In varie parti del Documento vi è l’appello ad una sorta di allargamento dei ministeri istituiti che possano coinvolgere maggiormente anche i laici nella loro vocazione di trasformazione delle realtà temporali con lo spirito del Vangelo. A tal proposito non si rischia una «clericalizzazione» del laicato?
R. Leggo en passant su una rivista della mia terra veneta il seguente abstract di un articolo che mi ha interessato proprio a proposito di questa sua domanda. Eccone il testo: «La questione dei Ministeri ecclesiali continua a rimanere attuale e cruciale tanto sul piano della riflessione teologica quanto su quello della prassi pastorale. Quello dei ministeri istituiti si configura con un percorso accidentato. Il Concilio Vaticano II nonostante l’assunzione di una prospettiva ecclesiologica, comunionale più favorevole ai laici, si è dimostrato incerto rispetto al riconoscimento effettivo di una loro qualifica ministeriale. Il Motu Proprio di Paolo VI Ministeria quaedam (1972) ha segnato un effettivo passo in avanti riconoscendo anche ai laici la possibilità di accedere ai ministeri istituiti del Lettorato e dell’Accolitato, che tuttavia rimanevano interdetti alle donne. Questo impedimento, retaggio di una tradizione culturale/clericale secolare, verrà superata soltanto con il Motu Proprio di Francesco Spiritus Domini (2021) che restituisce alle comunità cristiane l’opportunità di diventare più inclusive e più credibili». Al Vaticano II va riconosciuto il merito di aver assunto, pur con qualche esitazione, una prospettiva di partecipazione dei fedeli radicata nel Battesimo. Ciò ha favorito lo sviluppo e il consolidamento di una comune responsabilità dei cristiani, tutti insieme solidali nell’unica missione, secondo la varietà dei carismi e la diversità dei ministeri. E qui sta la chiave di soluzione della difficoltà posta nella sua domanda: la soluzione è il rispetto della varietà dei carismi e della diversità dei ministeri. Così non ci sarà clericalizzazione dei laici e si rispetteranno i carismi degli altri.
D. Il Documento finale riflette ampiamente sulla dinamica e sul rapporto che sussiste fra il primato del Papato e il ruolo dei vescovi diocesani e delle conferenze episcopali, proponendo anche nuove prassi in cui queste ultime possono avere autonomia decisionale relativamente ad aspetti dottrinali, etici e disciplinari. Non si può creare, però, un cortocircuito con il magistero del Pontefice o ritrovarsi insegnamenti dottrinali differenti nei vari contesti ecclesiali?
R. Il binomio sottostante a questa sua domanda è quello della ricerca di una vita, la mia, e cioè il binomio «Papato ed Episcopato»: il primato del Vescovo di Roma e il ruolo dei vescovi diocesani e delle Conferenze Episcopali, proponendo anche nuove prassi «in cui queste ultime possono avere autonomia decisionale relativamente ad aspetti dottrinali, etici e disciplinari», dice lei nella domanda, aggiungendo un però. Basterebbe consultare la mia bibliografia, affermerei quasi completa, (che da poco sono riuscito a raccogliere e grazie alla Provvidenza ardisco attestare): andate a cercare e vedrete. Per questa ragione mi limiterò qui, piuttosto, a mettervi in onda con il più volte citato Documento finale, basandomi concretamente su un Documento della Segreteria Generale del Sinodo, del 26 gennaio 2023, firmato dal card. Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo, e dal card. Jean Claude Hollerich, Relatore Generale, che lo iniziano con la proclamazione-base secondo cui non si dà esercizio della sinodalità ecclesiale senza esercizio della collegialità episcopale: la Costituzione apostolica Episcopalis communio [del 2018] ricorda infatti: ciascun vescovo possiede simultaneamente e inseparabilmente la responsabilità per la Chiesa particolare affidata alle sue cure pastorali e la sollecitudine per la Chiesa universale. Quindi il Papa ha scelto un tema chiaro per noi per questo Sinodo e non è compito della Assemblea affrontare tutte le questioni attorno a cui nella Chiesa si dibatte. Proprio in forza del legame fra le diverse sue fasi, poi, non si possono introdurre surrettiziamente altri temi strumentalizzando l’Assemblea e disconoscendo la consultazione del Popolo di Dio. Bisognerà perciò mettersi in ascolto dello Spirito attraverso l’ascolto gli uni degli altri e si imparerà a sentire cum Ecclesia.
D. Una richiesta pressante dell’Assemblea sinodale riguarda la formazione integrale, condivisa e continua di tutte le componenti ecclesiali perché siano orientate alla missione. E a tal proposito viene indicato nuovamente quale sussidio fondamentale il Catechismo della Chiesa Cattolica. Perché è così importante avere un tale strumento a riferimento per la formazione?
R. E siamo giunti all’ultima domanda, «last not least» direi subito, perché la formazione integrale, condivisa e continua di tutte le componenti ecclesiali affinché siano orientate alla missione, è all’altezza del compito e della sua gravità. E direi subito, come già richiamato in questa intervista, Papa Francesco dichiara che senza missione non c’è Chiesa. A tale proposito anche lei indica quale sussidio fondamentale missionario il Catechismo della Chiesa Cattolica. E chiede perché è così importante avere un tale strumento a riferimento per la formazione. Comincerei con una osservazione che spero pure lei avrà fatto. In tutte le questioni che sorgono nella Chiesa o domande che si fanno, o richieste di approfondimenti e chiarimenti, si ricorre a tale Catechismo, come punto di base, quale riferimento solido del credere e dell’agire cattolico. Perché? È questione di dottrina, certo ma anche di modo del procedere, di base per fondare l’essere e l’agire del credente cattolico. Ma farei un piccolo passo indietro per chi non sapesse che il Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui parliamo qui, è l’esposizione ufficiale della catechesi della Chiesa cattolica in una grande sintesi di tutta la sua dottrina. Possiamo dedurne che si tratta quasi di un classico catechismo e qui ciascuno di noi, di una certa età, ha dei ricordi, un modo di procedere, rivede compagnie e amici, ritrova un apprendere insieme, magari giocando e in maniera adatta. Bei ricordi, brutte impressioni. Chissà. Comunque, eravamo nel 1985 quando nacque l’idea di costituire un «punto di riferimento» dell’annuncio cristiano, profetico e catechistico, sorto su richiesta qualificata dei nostri Vescovi. E voi capite che il point of reference, avere un punto di riferimento in mezzo al deserto o ai ghiacci dei poli, è la salvezza. Vi è chi segnala subito una qualche novità di questo Catechismo direi conciliare: il desiderio di Dio; le vie che portano alla conoscenza di Dio; la conoscenza di Dio secondo la Chiesa; come parlare di Dio? Dio, dunque, all’inizio. Che bello! Ma vi è però pure chi va subito a curiosare cosa si dice di nuovo sul sesto comandamento. Notiamo però anche che si presenta giustamente con rilievo il sacramento dell’Eucaristia. E c’è ancora il peccato. Eh sì, si parla del peccato, della morte, della beata speranza. Non vorrei dimenticare di segnalare, (e stavo per dimenticare, ah, la vecchiaia!) che il grosso volume ha quattro parti, e cioè sulla professione della fede (io credo, noi crediamo), la celebrazione del mistero cristiano (l’economia sacramentale, i sette sacramenti della Chiesa), la vita in Cristo (la vocazione dell’uomo e la vita nello Spirito, i dieci comandamenti) e la preghiera cristiana (la preghiera nella vita cristiana; la preghiera del Signore «Padre Nostro»). Dimenticavo proprio l’appello più importante: questo Catechismo è un sussidio fondamentale per la formazione del cristiano e dell’uomo e della donna cristiani, è un’ancora di salvezza per non andare a sbattere nel vasto mondo del relativismo ed egoismo che sembrano caratterizzare una parte del mondo di oggi.
1 FRANCESCO, Mons. Agostino Marchetto, «il migliore ermeneuta del Concilio Vaticano II», del 7-10-2013, in Cristianità, anno XLII, n. 371, gennaio-marzo 2014, p. 67.
2 JOSEPH RATZINGER, L’insegnamento del Concilio Vaticano II, in Opera omnia, 12 voll. in 14 tomi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2019, vol. VII, tomo 2, L’insegnamento del Concilio Vaticano II. Formulazione, Trasmissione, Interpretazione, Parte F (pp. 431-586), dedicata alla Recezione, p. 500.
3 Cfr. BENEDETTO XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12- 2005.
4 Ibid., p. 501-502.
5 FRANCESCO, Udienza generale, 11-1-2023.