QUESTA È LA FORZA VIVIFICANTE CHE VI DONO
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“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati.”
(Gv. 15,12)
✠
"Questo è il mio comandamento,
questo è il mio ordine,
questo è il mio mandato,
questa è la libertà che libera:
che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati”
In effetti “ἐντολὴ” non è un comando militare ma una forza vivificante che genera un mandato.
Forza che nasce da una realtà, quella dell’Amore di Dio in Cristo. Ora svelato.
La novità del Vangelo compie la "Creazione prima" con la ri-Creazione del Risorto, cioè porta l’umanità, l’uomo e la donna, a compiersi secondo la propria natura intima che è quella dell’Amore di Dio. Secondo lo Spirito Santo.
Se l’uomo vive di questo Amore, di questa forza, di questo mandato, di questa energia che libera e dona libertà, l’uomo si compie, si perfeziona, verso orizzonti sempre nuovi e non rinchiudibili se non nel Cammino stesso che lo Spirito dona.
Questo non è senza fatica perché la nostra parte carnale si oppone a questo, non perché esiste una realtà dualistica, ontologicamente parlando, ma perché dentro di noi sperimentiamo una resistenza all’aria pura a cui siamo “destinati”, orientati e compiuti. Il “dualismo” è dentro di noi dalla ferita di origine. E nasce dalla paura, dall’incapacità di arrenderci a Dio e alla Sua Paternità e di vedere ciò che è.
Persino la molteplicità della preghiera, fatta e richiesta. La sete del sapere e della conoscenza, nello scrutatio dell'intelletto, la strutturazione delle leggi etiche e morali, il nostro "corpo bruciato" dalla carità e dal servizio può essere distorto.
Tutto ciò viene corrotto dalla vanità, dall’avarizia e dalla superbia.
La paura incatena dando l’apparenza che tutto sia al suo posto. Ma questa è una Paura che condiziona la purezza della nostra capacità donativa secondo Cristo.
E nascono le fughe spiritualizzate.
L’iper-servizio pastorale.
La teologia rigida nel suo conservare o nel suo progredire, che non ascolta più lo Spirito.
Il devozionismo.
Il sociologismo della carità.
Le deformazioni ideologiche della vita cristiana e tante altre storture che il nostro cuore inventa per non arrendersi a Dio e fuggire la paura in maniera insana.
E non ce ne accorgiamo!
E poiché tali fughe spezzano la persona dal di dentro, si cerca poi la stabilità nei peccati di secondo livello, quelli liminali, il cibo, la lussuria, l’accidia, un ri-equilibrio di questa ferita mai sazia.
Invece lo Spirito Santo dona libertà, immette nella libertà, il comando di Dio in Cristo è questo: rispondere alla natura profonda per cui siamo stati pensati che è quella dell’Amare come Egli ci ha amati.
Amati non in passato ma ora, nella definitività fedele di questo Amore sempre nuovo e creatore, rigeneratore, che fa nuove, sempre, tutte le cose e che ti chiama, ti chiama per nome.
Ti dice chi sei.
Non nel tuo dualismo ma nella tua bellezza, quella unica che Dio ti ha donato.
Cioè rende compiuto, armonico, bello, libero il tuo servire, perché ti rende amico di Dio, figlio nel Figlio, padre e madre dei fratelli.
Spezzando le catene della paura e del sospetto.
Se dunque vuoi essere ciò che sei, nel tuo intimo più intimo, vivi il comando di Cristo: ama come Lui ama.
Fatti plasmare da Lui e arrenditi.
Arrenditi finalmente, perchè qui ti porta l'umiltà: alla resa.
E finalmente vedrai, senza paura.
PER AMORE, SOLO PER AMORE
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"Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici." (Gv. 15,13)
GIUSTIZIA E STUPORE
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“πληρῶσαι πᾶσαν δικαιοσύνην
«rendiamo colma tutta la giustizia»”
(Mt. 3,15)
✠
Di quale giustizia parliamo?
Di quella che rende tutte le acque di essere santificate e dunque capaci di adempiere il Battesimo?
Certamente.
(«Discorsi» di san Massimo, vescovo di Torino
Disc. 100 sull'Epifania, 1, 3)
Di quella Giustizia che riapre i cieli chiusi per il peccato?
Certamente.
Di quella Giustizia che fa dunque risalire tutto il Cosmo, tutta la Creazione?
Certamente.
(Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
Disc. 39 per il Battesimo del Signore)
Ma su una cosa ulteriore vorrei fissare con te l’attenzione.
La pienezza della Giustizia di Dio non è un adempimento soltanto della Legge, tutta intera, ivi compresa quella nuova dell’Amore che sarà poi rivelata, nella Carne e nel Sangue e resa viva dallo Spirito.
La Pienezza della Giustizia è compartecipare dei "sentimenti" di Stupore del Padre, quello Stupore che il Padre ha provato alla Creazione, in vista di Suo Figlio e che ora si svelano a noi anche attraverso il “Battesimo” ad opera di Giovanni:
“Οὗτός ἐστιν ὁ υἱός μου ὁ ἀγαπητός, ἐν ᾧ εὐδόκησα
«Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto»”
(Mt. 3,17)
Qui, in questo Stupore, la prima comunità cristiana intese, per intimo progredire, l’Eulogia che l’apostolo Paolo fece propria – con sguardo colmo di Scienza – scrivendo alla comunità di Efeso:
“Εὐλογητὸς ὁ θεὸς καὶ πατὴρ τοῦ κυρίου ἡμῶν Ἰησοῦ Χριστοῦ, ὁ εὐλογήσας ἡμᾶς ἐν πάσῃ εὐλογίᾳ πνευματικῇ ἐν τοῖς ἐπουρανίοις ἐν Χριστῷ, ..
Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo..”
(Ef. 1,3ss)
Qui la Trinità ci chiama, ci prepara un posto e ci attende,
dai secoli eterni.
Unica sazietà:
“μακάριοι οἱ πεινῶντες καὶ διψῶντες τὴν δικαιοσύνην, ὅτι αὐτοὶ χορτασθήσονται.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.”
(Mt. 5,6)
Tutta la conversione, pesante e quotidiana, a volte “impossibile”
è per questa Gioia e questo Stupore.
Cessare il peccato e le opere del peccato, dunque, è opera che nasce dallo stupore che cresce nello Stupore.
È fatta di radicali no per un sì ancora più radicale che muove e regge ogni cosa e che parte dal compiacimento del Padre che guarda ciascuno di noi, in maniera unica guardando il Suo Figlio che, bello e prode, esce dalle Acque del Battesimo per farci degni dello Stupore.
Il Padre così ci dichiara il Suo Amore definitivo e dato.
Egli ci chiama: “Amato”.
Tu sei: “Amato”!
Quello è il tuo unico nome che ti è rivelato in Cristo, per Cristo e con Cristo e che risuona nella dossologia che compie la Preghiera Eucaristica.
Pertanto se pienezza della Legge è l’Amore,
questo Amore,
pienezza dell’Amore è lo Stupore,
lo Stupore gioioso del Padre.
PiEffe
Fare le giuste domande a Dio
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Gv 1, 35-42
Abbiamo trovato il Messia.
Dal vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.
"Che cosa cercate?"
Che cosa cerchi?
Porre le giuste domande e porre le giuste domande a te stesso e a Dio merita una risposta che dona vita.
Cosa cerchi in realtà dietro il tuo fuggire, il tuo mormorare, il tuo polemizzare, il tuo discorrere, il tuo scrivere, il tuo agitarti..
cosa cerchi?
Se sei onesto, profondamente onesto, scarnificato, è lo Spirito che in te chiede per svelare.
Qui ti ha condotto Dio, nel porre giusta domanda e nel chiarire il desiderio, senza sovrastrutture, fantasmi e dissipazioni.
E tu, allora, come Santa Angela rispondi, senza indugio, tracimando dal cuore:
"Voglio Dio, Voglio Dio!"
E vedrai, e l'avrai.
Bambino di Betlemme
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"E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù»,
passava la lingua sulle labbra,
quasi a gustare e trattenere
tutta la dolcezza di quelle parole." (FF470)
E se Francesco di Assisi pronunciando il nome Santissimo di “Gesù” si leccava le labbra...
cosa dovremmo fare noi
nel pronunciare la parola “Padre”?
"I frati che vissero con lui, inoltre sanno molto bene come ogni giorno, anzi ogni momento affiorasse sulle sue labbra il ricordo di Cristo; con quanta soavità e dolcezza gli parlava, con quale tenero amore discorreva con Lui. La bocca parlava per l'abbondanza dei santi affetti del cuore, e quella sorgente di illuminato amore che lo riempiva dentro, traboccava anche di fuori. Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. Quante volte, mentre sedeva a pranzo, sentendo o pronunciando lui il nome di Gesù, dimenticava il cibo temporale e, come si legge di un santo, "guardando, non vedeva e ascoltando non udiva". C'è di più, molte volte, trovandosi in viaggio e meditando o cantando Gesù, scordava di essere in viaggio e si fermava a invitare tutte le creature alla lode di Gesù. Proprio perché portava e conservava sempre nel cuore con mirabile amore Gesù Cristo, e questo crocifisso, perciò fu insignito gloriosamente più di ogni altro della immagine di Lui, che egli aveva la grazia di contemplare, durante l'estasi, nella gloria indicibile e incomprensibile seduto alla "destra del Padre", con il quale l'egualmente altissimo Figlio dell'Altissimo, assieme con lo Spirito Santo vive e regna, vince e impera, Dio eternamente glorioso, per tutti i secoli. Amen!" (FF522)
Dall'opera sul «Vangelo eterno» di san Bernardino da Siena
(Sermone 49, art. 1 - Opera Omnia, IV, pp. 495 ss).
Grande fondamento della fede è il nome di Gesù
per il quale siamo fatti figli di Dio
Il Nome santissimo dagli antichi Patriarchi e Padri fu desiderato, con tanta ansietà aspettato, con tanti sospiri, con tante lagrime invocato, ma nel tempo della grazia misericordiosamente è stato donato. Scompaia il nome dell'umana sapienza, non si senta nome della vendetta, rimanga il nome della giustizia. Donaci il nome della misericordia, risuoni il nome di Gesù nelle mie orecchie, poiché allora veramente la tua voce è dolce e grazioso il tuo volto.
Grande fondamento della fede pertanto è il Nome di Gesù, per il quale siamo fatti figli di Dio. La fede della religione cattolica consiste nella conoscenza e nella luce di Gesù Cristo; che è illuminazione dell’uomo, porta della vita, fondamento della salute eterna. Se qualcuno non lo ha o lo ha abbandonato, è come se camminasse senza luce nelle tenebre e per luoghi pericolosi ad occhi chiusi; e sebbene splenda il lume della ragione, segue una guida cieca quando segue il proprio intelletto per capire i segreti celesti, come colui che intraprenda la costruzione della casa senza curarsi del fondamento, oppure, non avendo costruita la porta, cerca poi di entrare per il tetto.
Questo fondamento è Gesù, porta e luce che, mostrandosi agli erranti, indicò a tutti la luce della fede per la quale è possibile ricercare il Dio sconosciuto, e ricercandolo credere, e credendo trovarlo. Questo fondamento sostiene la Chiesa fondata nel Nome di Gesù.
Il Nome di Gesù è luce ai predicatori, poiché fa luminosamente risplendere, annunciare e udire la sua parola. Da dove credi che provenga tanta improvvisa e fervida luce di fede in tutta la terra, se non dalla predicazione del Nome di Gesù? Forse che Dio non ci ha chiamati all'ammirabile sua luce attraverso la luce e la dolcezza di questo Nome? A coloro che sono illuminati e che vedono in questa luce, giustamente l'Apostolo dice: «Una volta eravate tenebre, ora siete luce nel Signore: camminate dunque quali figli della luce».
O nome glorioso, o nome grazioso, o nome amoroso e virtuoso! Per mezzo tuo vengono perdonate le colpe, per mezzo tuo vengono sconfitti i nemici, per te i malati vengono liberati, per te coloro che soffrono sono irrobustiti e gioiscono! Tu onore dei credenti, maestro dei predicatori, forza di coloro che operano, tu sostegno dei deboli! I desideri si accendono per il tuo calore e ardore di fuoco, si inebriano le anime contemplative e per te le anime trionfanti sono glorificate nel cielo: con le quali, o dolcissimo Gesù, per questo tuo santissimo Nome, fa' che possiamo anche noi regnare. Amen!
S. Francesco di Sales
al cap. 26 della Introduzione alla Vita Devota
TESAURIZZARE, RI-CENTRARE E RI-SIGNIFICARE IL SOSPIRO
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"Quando corpus morietur, fac ut animae donetur. Paradisi gloria"
“Perché dove è (stato accumulato) il tuo tesoro
lì è il tuo cuore”
“ὅπου γάρ ἐστιν ὁ θησαυρός ⸀σου, ἐκεῖ ἔσται καὶ ἡ καρδία ⸁σου.” (Matteo 6, 21)
“Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il suo santuario..
Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.” (Sl. 26,4.13)
“Davide santo sospirò, più di ogni altro, di contemplare e vedere questo giorno. Infatti disse: «Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore» (Sal 26,4).”
(Dal libro «Sulla morte del fratello Satiro» di sant'Ambrogio, vescovo)
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Al sentire ri-centrare e ri-significare pare che sia opera nostra.
No. Questa è opera dello Spirito del Signore che ri-ordina e rende armonico il caos del cuore, le pulsioni di una vita, le dissipazioni di ogni genere, pulisce dalle sedimentazioni e le incrostazioni e riporta alla primigenia purezza per cui siamo stati pensati.
La morte è il luogo teologico dell'abbattimento delle proiezioni di Dio.
Tuttavia occorre che oggi, nel “giorno del Signore” e nel “giorno di tale commemorazione”, davanti al mistero della morte, diciamo “Sì”!
Perché ogni “no” si significa dietro un “Sì”.
E così la morte viene chiamata “sorella”.
E qui è la Sapienza che dona gusto, peso e sostanza al tuo peregrinare e alla nostalgia di casa.
“.. Perché dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Matteo 6, 21)
SGUARDO PROIETTIVO OPPURE ONESTO?
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“E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”
(Dal Vangelo della Domenica, Lc 18, 1-8)
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La dimensione proiettiva in noi è frequente.
Spesso nella nostra giornata usiamo questa strategia “difensiva” che ci viene dalla tara del Peccato Originale.
Perché le difese nascono da uno sguardo disonesto incapace di amore e di verità.
Cioè proiettiamo fuori di noi un male che è anche dentro di noi. Osserviamo una battaglia ed una incoerenza fuori di noi che è anche dentro di noi.
La dimensione onesta, osservativa, non cade, nelle trappole difensive dell’io o, perlomeno, cerca di cadervi sempre meno tanto quanto attende (fa tenda e desiderio) la venuta di Cristo.
Il problema è anche fuori di noi ma la battaglia cruciale si svolge nel tuo cuore, nella tua persona.
Qui troverà la fede il Figlio dell’uomo quando verrà?
Perché dentro di te, proprio dentro di te, è presente il giudice disonesto ed anche la dimensione del lumicino (che può diventare un faro) della povera vedova che grida incessantemente nella Grazia e per la Grazia.
E non importa quanta esperienza cristiana tu abbia e quanto tu abbia acquisito nozioni. Da quanti anni sei in una comunità e da quanto hai prestato servizio.
Né importa se sei una figura carismatica o anonima, dentro di te vige questa dialettica che rischi di fuggire con meccanismi coscienti e non, abitudinari ed involontari. Che mai in tempo vengono stanati.
I millenarismi apocalittici di ogni tempo non nascono solo da una osservazione non onesta del reale ma soprattutto da meccanismi proiettivi di un disagio dentro di sé che non si ha il coraggio di affrontare.
Sempre inquieti, sempre scontenti, sempre critici, sempre guidati dalla lamentela, sempre soffocati da un letto esistenziale proiettivo ci si crede leader, fautori del nuovo, profeti, illuminati, “eretici” puntando il dito, ovviamente, sulle inevitabili eresie altrui. Il male è fuori di me ed io sono un illuminato. Ti credi libero ma sei schiavo di una disonestà sostanziale. Soffri e ti bei sostanzialmente del tuo soffrire come una stimmata di unicità. Appendi volentieri la tua autostima a questo dolore che ti fa sentire unico, vivo, esistente, fautore del nuovo e tale dolore diventa il tuo neo-vitello d'oro a cui ogni giorno offri abbondante incenso.
Ti costruisci una disonesta maschera distorcente verso di te e proiettiva verso la realtà fuori di te. E magari ti circondi di persone che vivono la tua malattia, amplificando, così, la loro e la tua in un feedback egolatrico di leaderismo e di infantilismo.
Per cui non solo fai del male a te ma rafforzi le malattie altrui. Disonesto ed omicida, dimentichi la tua responsabilità e con il paravento di prenderti cura stai trascinando la tua anima e l'altrui nel fango.
Ti credi dio ma hai delle catene lucenti che stringono come una garrota.
In questo gioco di vanità e di disonestà narcisistiche e di proiezioni disoneste sotto sotto c’è una incapacità radicale di guardarsi dentro, magari nell'obbedienza di Fede, e di ascoltare la parte povera come la vedova che grida dentro di noi.
Violentando il reale in due modi:
o accettandolo passivamente con la superficialità del nulla cambia perché tu in definitiva non vuoi cambiare e donarti (si è sempre fatto così!.. e tanto!..)
o con la prepotenza che fa eco al nemico di rendere mangiabile ciò che non lo è: "fa che queste pietre diventino pane" (Mt. 4,3). Così da farti dominare dai tuoi appetiti, sani e disordinati; magari chiamando questi virtù.
In entrambi i casi si risponde male ai bisogni, al vero bisogno che, come la vedova importuna, sollecitato dalla nostalgia di Dio e dalla Grazia, dalla nostalgia della vera Casa, grida dentro di noi, che abilmente obnubiliamo o soffochiamo questa voce continua ed importuna:
“.. un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre”, afferma S. Ignazio di Antiochia alla comunità di Roma.
Questa è la voce da non spegnere mai, questa è l'unica "mormorazione" da non soffocare. Santa mormorazione che guida il tuo sguardo e lo educa.
Ed allora non smettere di gridare ed importunare, come la Vedova, il Signore tuo Gesù, il Signore nostro Gesù Cristo, perché il tuo intimo giudice disonesto inizi, davvero, ad avere uno sguardo onesto, responsabile, che si prende cura con la fortezza, la pazienza e lo sguardo di Dio.
Perché la Fede si rafforza chiedendola (Mc. 9,24) e donandola (Sl. 96,2)
ed il Signore verrà a visitare la tua terra trovandovi un fuoco che avrà scaldato ed illuminato molti senza fughe e proiezioni ma fisso al tuo posto, nel chiodo unico che ti è stato donato, perché fossi fedele.
PiEffe
ELEMOSINA E (È) RESTITUZIONE
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"Date piuttosto in elemosina quello che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro" (Lc. 11,41)
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,1-2)
“la santità è la perfetta unione con Cristo” (LG, 50)
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Quando trasgrediamo il grande precetto della Carità, in tanti modi, feriali o macroscopici, leggerezze e superficialità (che magari mascheriamo come, intuizione servizio e cronaca), persino con un "mi piace" o con discorsi e parole improprie, come feccia e lerciume che si riverbera con tanti rivoli mormoranti, non soltanto violiamo una legge, ma contristiamo lo Spirito Santo.
Il ché non significa che con il nostro peccato abbiamo un qualche effetto o potere su Dio ma che neghiamo a Dio la gioia stessa di poter essere come Lui dall'eterno ci ha pensato e neghiamo a noi stessi la possibilità di completare, grazie a Lui, ciò per cui siamo amati da sempre.
Rendiamo pertanto, per noi, meno efficace, la gioia della Carità. La quale non è un sentimento ma l'esperienza stessa della intimità effettiva ed affettiva con Dio e con la Chiesa.
Infatti quando trasgrediamo il grande precetto della Carità sempre meno ne conosciamo le profondità che solo dissetano il cuore fatto per la Carità stessa.
In una parola mancando verso tale precetto perdiamo le capacità ermeneutiche e "scientifiche" di conoscere veramente.
E rubiamo.
Essere dotti, umanamente dotti, senza la Carità, ci rende, paradossalmente, drammaticamente superficiali e liminali verso l'esistente, verso noi stessi, verso i fratelli e verso l'Altissimo e Padre.
E ladri.
Magari da una vita.
Piegare il ginocchio, stare sottomessi e piangere le lacrime dell'anima non è mai tardi per tornare a comprendere il grande elemosiniere e vivere nel Suo fiume immarcescibile di Amore.
CATECUMENATO DELLA PAROLA
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"Beati coloro che ascoltano la parola di Dio
e la osservano."
(Lc 11,28)
L’ascolto nella Sacra Scrittura e nell’esperienza del popolo di Dio non è legato solo ad una attività cognitiva catechetica. Allo stare attenti e al capire.
Anzi.
È legata ad una esperienza polarizzante. All’uomo e al noi, alla persona e alla Chiesa che è polarizzata verso Dio.
"Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo! Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze".
(Deuteronomio 6,4-5)
Come ricorda Gianfranco Ravasi: “.. “ascoltare” è sinonimo di “obbedire”. Si tratta, quindi, di un’adesione intima e non di un mero sentire esterno, di un orecchio libero dalle “ortiche” delle chiacchiere (per usare l’espressione della poetessa ebrea Nelly Sachs). È il non essere «ascoltatore smemorato ma colui che mette in pratica», come scrive san Giacomo (1,25). «Ascolta» e «amerai» sono, infatti, nel nostro testo in parallelo tra loro.”
Dunque non si può separare Ascoltare ed Osservare, con tutto il Cuore, con tutta l’Anima e con tutte le Forze.
Ecco perché, più correttamente, l’esortazione del Deuteronomio e la beatitudine che Gesù fa di Sua Madre e dei Suoi discepoli, è più catecumenato che catechesi.
A volte nei nostri gruppi biblici si capitola in una comprensione mentale ed in una appropriazione cognitiva della Parola. Ma questo porta ad emergere il nostro sé malato, il nostro protagonismo.
C’è il rischio che, iperbolicamente, dietro il molto conoscere della Bibbia non la si “conosca”, in senso biblico, affatto.
Uno dei suggerimenti che porto e che ho visto applicati in una sola Parrocchia, ad onor del vero, in vita mia, 25 anni fa, è quello di fare, nei gruppi biblici sulla Parola della Domenica, di tanto in tanto, non la riflessione precedente la domenica successiva ma la riflessione e la risonanza sulla domenica appena trascorsa. Cioè dopo la proclamazione liturgica, per eccellenza, e la frammentazione sapiente ad opera del Sacerdote nell’omelia. Cioè di fare il gruppo su quella Parola dopo la potente proclamazione liturgica.
È senza dubbio buono andare alla Santa Messa della Domenica avendo meditato e fruito della Parola che verrà proclamata. Ci fa entrare in una specie di sano “effetto larsen”, di “Vibrazione simpatica” nei suoni della Parola.
Il sacerdote, ad esempio, non può di certo arrivare al momento donativo e risonante dell’omelia senza preparazione. Ma è altrettanto buono, fruttuoso, rispettoso della natura intima della Parola che essa risuoni in noi dopo l’evento dell’Opera di Dio nella Liturgia. Anche per spezzare, almeno di tanto in tanto, quella gnoseologia biblica, presente in una sorta di protestantizzazione della Parola presente nei gruppi che si svolgono nella Chiesa Cattolica. Che capitolano più nella conoscenza vivisezionistica della Parola che sulla sua messa in pratica, nella Grazia, specie nei passaggi della Parola che non hanno metabolizzato il nostro cuore.
Altro stratagemma utilissimo per “Osservare” la Parola è quello del ruminare costante della medesima nella giornata. Come ci hanno insegnato i “padri del deserto”.
Piccole invocazioni, ripetute, respirate, desiderate, sospirate, magari tratte dalla Parola del giorno e dal quel bene immenso della Liturgia delle Ore.
Perché il cuore, le labbra, la mente e le mani si ritmino su quella Parola che ci modella pian piano come la discepola per eccellenza, la sempre Ancella: Maria.
PiEffe
ERESIA E NARCISISMO, UMILTÀ E BELLEZZA
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"Dio si manifesta in molti modi al mio spirito, ma vado cauto nel parlare di ciò per non perdermi, cadendo nella vanagloria. Proprio adesso devo maggiormente temere, né intendo prestar orecchio alle lodi. Coloro che mi lodano, mi flagellano. Certo desidero soffrire, ma non so se ne sia degno. La mia impazienza non si manifesta ai più, ma mi tormenta senza tregua.
Ho bisogno di umiltà con la quale si sconfigge il principe di questo mondo.
Vi scongiuro, non io ma l'amore di Gesù Cristo: nutritevi solo della sana dottrina cristiana e tenetevi lontani da ogni erba estranea, qual è l'eresia. Ciò avverrà se non vi lascerete gonfiare dall'orgoglio e non vi separerete da Gesù Cristo Dio e dal vescovo e dai comandi degli apostoli. Chi sta all'interno del santuario è puro; ma chi ne è al di fuori, è impuro. In altri termini: chiunque compie qualche cosa senza il vescovo, il collegio dei presbiteri e i diaconi, non agisce con coscienza pura.
Non già che abbia riscontrato in voi queste cose: ma vi scrivo per premunirvi, come figli amatissimi."
(Dalla «Lettera ai cristiani di Tralle» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire - Capp. 1, 1 - 3, 2, 4, 1-2; 6, 1; 7, 1 - 8, 1; Funk, 1, 203-209)
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Nei nostri tempi malati di soggettivismo, che hanno precedenti lontani, si tende a consacrare il "soggetto" e le "sue" scelte prima di ciò che fonda il "soggetto".
Già perché è l'Amore e la Verità assieme, inscindibili, che fondano il Bene che tu sei, la tua persona. E lo fondano continuamente nella creazione continua ("Gignomai", "πάντα δι’ αὐτοῦ ἐγένετο" Vangelo di Giovanni 1,3).
Ora, l'amore per la scelta della ricerca della Verità staccato dall'amore per la Verità compie proprio questo ossimoro situazionale cercando di cambiare l'ontologia, cioè sposta il centro non sulla Verità, che ti fonda, ma sul tuo soggetto (dipendente dalla Verità e dall'Amore) che fonda sé stesso nella scelta di scegliere.
E questo è propriamente il motore di ogni eresia: la vanità. Tu non cerchi la Verità perché la ami tu la cerchi per fondarla e confermarla in te stesso e, così facendo, fai della tua vita una menzogna. E, questa dinamica, questo veleggiare sul nulla ti porta ad una conseguenza prassica: tu non attui più il principio della gradualità ma la gradualità del principio.
Le mie scelte, invece, che creano un habitus, con il tempo possono o aiutare l'essere a compiersi nella Verità e nell'Amore, che tra l'altro fondano anche la mia capacità di scegliere, come un dono.
Oppure, come poco prima dicevamo, le mie scelte possono involvermi in un delirio da cortocircuito, tossico e malsano che non mi fa più vedere la luce. La Vanità acceca ed ingolfa. Come se uno amasse respirare più stando vicino al tubo di scappamento di un motore di un'auto piuttosto che stare in alta montagna, purché questa scelta tossica /e mortale) lo garantisca nel bisogno di sé di fondarsi sul sé.
Diventando peggio di un animale, seppure può apparire gradevole all'esterno. Vanità e vendita, d'altronde, vanno assai d'accordo.
Gradevole fisicamente o, peggio ancora, fascinoso all'esterno perché nutrendo il suo ego malato diventa specchio per le altrui malattie che invece di cercare la Luce della Verità e dell'Amore cercano solo la consacrazione della propria autonomia di pensiero, rifondando l'ontologia: "penso dunque sono". Oggi potremmo dire, soggettivamente parlando, come eresia comune, affermando: "scelgo dunque sono".
E il cortocircuito dell'essere è sancito, verso il degrado di sé. Ed è il principio dell'inferno.
E come direbbe San Francesco, la persona è avvoltolata come una scrofa nel vomito della propria volontà. Perché la nostra volontà può essere bella, se guarda con stupore di bimbo alla grazia, ma anche un vomito, se conferma il fondare su sé stessi.
"Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quelle che ordinano i loro superiori, guardano indietro e ritornano al vomito della propria volontà. Questi sono degli omicidi e sono causa di perdizione per molte anime con i loro cattivi esempi” (FF 148-149).
Pertanto attenzione anche a come siamo pubblicamente presenti, a come siamo presenti nei social, a come viviamo il servizio nelle comunità. L'abbiamo chiamato servizio ma spesso è una conquista di spazi e di conferme nel "non crescere" e nel "vendersi".
Occorre, infatti, sempre la coscienza di elevare noi e i fratelli e non consacrare noi stessi, i nostri pruriti e i nostri deliri.
Siamo qui per la gloria di Dio e la salvezza delle anime; anzitutto la nostra, che, se siamo onesti, sinceri e disarmati... è così piena di ferite e di putridume che ne offusca la primigenia bellezza. Ma soprattutto non coglie il dono continuo della Grazia che ci viene fatto nel disarmo incommensurabile di un Dio che si fa uomo e dona tutto, ma proprio tutto, per ciascuno di noi.
PiEffe
QUESTA VOCE NESSUNO LA SPEGNE
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Il grido dell’eterno nel cuore di una madre
Sl. 138.
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri,
osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie.
La mia parola non è ancora sulla lingua
ed ecco, Signore, già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
Meravigliosa per me la tua conoscenza,
troppo alta, per me inaccessibile.
--
Grazie ad una donna, sposa e madre, che accoglie in sé, il grido, la Parola dell’eterno, è possibile generare un figlio perduto e avvoltolato superbamente nei doni della sua intelligenza portandolo a Cristo, alla conversione.Qui il bisogno di identità di una donna si compie nel bisogno di generazione che, indubbiamente, ha in sé un ché di divino.
L’eterno entra nella storia, così come nel seno di Maria entrò lo Spirito per il concepimento dell’uomo Dio.
Questo è sacerdozio. Tout court. Beata chi lo comprende.
E come dice la protagonista nel film Aladdin nella versione italiana:
“Questa voce nessuno la spegne!”
Una voce che coglie l’identità non nel suo esserci staccata da una relazione vitale, in una sorta di narcisismo para-satanico,
come Eva,
in un mero e solipsistico affannarsi vanesio di identità staccato da tutto e da tutti,
ma piuttosto il suo esserci nella donazione e nella generazione, come la Nuova Eva; come Maria.
Qui Dio entra, amplifica e rende la voce inspegnibile come la fiamma del Roveto ardente di Mosé.
Così a Monica.
Auguri alle sorelle in cammino che portano questo nome
e a ogni madre.
PiEffe
Regni dunque la Regina
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pregustava le primizie del regno futuro,
ora innalzandosi fino a Dio,
ora scendendo verso i fratelli mediante l'amore.
Fu onorata dagli angeli e venerata dagli uomini.
Le stava accanto Gabriele con gli angeli e le rendeva servizio, con gli apostoli, Giovanni, ben felice che a lui, vergine, fosse stata affidata presso la croce la Vergine Madre.
Quelli erano lieti di vedere in lei la Regina,
questi la Signora, e sia gli uni che gli altri
la circondavano di pio e devoto affetto.
(S. Amedeo di Losanna)
Regni dunque la Regina.
Discepolato
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"Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione." (Dal Vangelo del giorno - Lc 12,49-57)
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C'è una divisione, quella che viene dalla Verità e dall'azione dello Spirito, che porta la pace.
Quella vera, che non tramonta e che non è una tregua dalla tensione della guerra.
Non viene da un atto diplomatico o politicamente corretto.
C'è una divisione e una lotta che semina pace perché tocca le corde della verità dell'uomo e non dell'ipocrisia.
Gesù è giusto e corretto ma non politicamente corretto.
Dice ciò che deve dire e tace su ciò che non va detto.
Gesù, quando entra realmente nella tua vita, rompe la falsa pace che ti sei creato.
Gli accomodamenti, le ipocrisie, i vizi, le cattive abitudini, i borghesismi e le ideologie.
Egli porta guerra dentro di te ma, con questa guerra contro il peccato, ti porta alla pace.
Quella che nessuno può toglierti.
Il desiderio di Cristo, la "sua angoscia", è che tu la smetta di prenderti in giro, di fuggire, di raccontarti delle storie incolpando altri, la storia, le persone, ecc... non perchè non possano avere, questi eventi e certe persone, una responsabilità sulle tue sventure ma piuttosto perché tu tenti costantemente a non prendere mai sul serio il tuo cammino di conversione e di cambiamento e imbocchi la via della scorciatoia della lamentela che non dona la pace.
La pace invece è frutto di lotta e violenza ma solo contro sé stessi e quella parte che ti trascina alla morte.
Questo vuol dire realizzarsi, essere protagonisti.
Convertirsi a Cristo e in Cristo.
Spezzare con il Suo aiuto tutte le catene di morte che ti porti dietro. Gli psichismi, le dipendenze, la paure, i fantasmi, le costruzioni.
I legami disordinati con i fratelli, genitori, amici.
Gesù ha un "chiodo fisso", un'angoscia costante, renderti libero e darti la pace.
Ma se tu non collabori e non lotti.
Se ti siedi sulle quattro cose che fai per Lui.
Se ti crogioli nei doni che Egli ti ha fatto.
Sui ruoli acquisiti. Su ciò che pensano di te.
Se non smetti di mormorare.
Se non fai tacere la parte oscura del tuo cuore.
Se non cerchi la retta fede e non ami veramente.
Se non zittisci satana...
come potrai, dunque, essere libero?
C'è il sospetto, infatti, che le catene che ti sei costruito e forse ti hanno messo "gli altri" o la vita stessa, ti stiano comode perché ti permettono di lamentarti togliendoti la fatica di crescere.
Ecco perché "non sai giudicare questo tempo"... ti sei costruito il tuo mondo spirituale a garanzia della tua pace.
Quella che non viene da Cristo ma dal tuo ombelico.
Ma così facendo non comprendi Gesù, né la sua angoscia.
Quell'angoscia che ha per te e che desidera, sopra ogni cosa, la tua libertà e il tuo amore.
Chiedi dunque che questa "angoscia", questo desiderio ti tocchino l'anima e il tuo cuore più profondo...
allora e solo allora, nell'amore di colui che ti ama,
non sarai più immobile,
come uno che si illude di camminare quando piuttosto
muove i piedi sul posto e sui propri passi.
PiEffe
Paternità
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la fedeltà del tuo amore.
(Isaia 38,19)
Ogni papà ha il dono ed il compito di essere un uomo di Dio;
persino attraverso le sue ferite.
Ha il dovere di appartenere a Cristo quanto più è possibile alla sua fragile natura.
Imparando anche a chiedere scusa, se necessario, facendo percepire i principi, i valori e la Paternità che tutto ama e giudica.
Può e deve far trasparire il rimando costante alla Paternità Provvidente e Amorosa del Padre.
Con disciplina, sudore della fronte, onore, fede, speranza contro ogni speranza e, soprattutto, con spirito di lode di colui che vive grazie al Padre.
Piccoli segni e gesti che aiutano ad elevare mani e cuore al rendere Lode al Padre della vita.
Comoda è la via del lamento
e stretta la porta della gratitudine.
Ed è compito della mamma non depauperare mai questo lavoro di trascendenza e di induzione spirituale (che il papà ha il dovere di porre in essere) con il pudore femminile presente nella casa di Nazareth. Come una preziosa orchestra dove ognuno suona il suo strumento ben accordato e ben intonato e, dove possibile, con le imperfezioni d'insieme.
E tutto questo non è solo punto di arrivo
ma scelta di un buon inizio.
Il figlio diventerà figlio e la figlia, figlia.
Il figlio sarà uomo e legherà ogni possibile forza all'umiltà ed alla giustizia.
La figlia sarà donna e cesserà di essere una errante amazzone ferita ed inquieta sempre alla ricerca del suo volto e della sua identità.
Ogni papà ne ha il dovere
per volgere assieme lo sguardo al Sole che sorge.
Perché Dio è Fedele.
PiEffe
Senza finzioni
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"La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene"
(Rm. 12,9)
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Ci vuole una grande dose di umiltà e di realismo per non avere finzioni.
Ovunque, e specie qui.
Dove il consenso ritma il vero.
E le maschere sono lo sforzo di una vita.
Dove le emozioni di ogni tipo vengono scambiate per virtù.
Dove chi è ancora figlio, nonostante l'età e l'esperienza, si sente già padre.
Dove chi è padre non orchestra e cade nel cortocircuito dello stigma.
Dove si postano immagini non per crescere e trascendersi nel vero, nel bello e nel buono, ma per nutrire l'ego e la popolarità.
Falsando la spontaneità con il disordine dello spontaneismo.
Eppure c'è un modo per essere presenti nell'ipocrisia con una ventata di aria fresca, da chiedere, nutrire e diffondere:
"fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene".
E questa è l'infanzia spirituale, ben diversa dall'infantilismo colmo di finzioni.
Il dovere morale nell'amore è anzitutto un dono di Dio, una immersione audace nel Cuore di Cristo
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"Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.
Dov’è il tuo baricentro?
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«Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Dal Vangelo del giorno - Lc 10,38-42)
La dicotomia fare ed essere per l’uomo della Bibbia non esiste.
Perché?
Semplicemente perché Dio stesso, che è l’esemplare di ciò che è, dice e compie, parla e fa.
Ora noi non siamo Dio. Non lo siamo tanto più dalla caduta che ci ha feriti ed inclinati al disordine, anzitutto dentro di noi.
E questo disordine è proprio l’incapacità di sceglierci di volta in volta la parte migliore e mantenere il baricentro, cioè la dignità dello stare in piedi nella parte migliore.
Nelle arti marziali, quando si combatte con un avversario, mantenere il baricentro è essenziale per non perdere il combattimento ed avere il dominio di sé. Ma se nelle arti marziali questo avviene sostanzialmente mantenendo contatto con il tuo “chi”, con la forza vitale dello spirito (comunque autoreferenziale ed ego-narciso-centrico); dazio magico all’ego. Nella Via di Cristo, che è l’unica, il tuo “chi” è lo Spirito Santo, sgorgante dallo scegliersi di essere scelto da Lui ed “essere nella parte migliore”.
La saggezza sta nel non affannarsi per creare o mantenere un nostro baricentro che, prima o poi, si rivela atto a farci cadere.
Ma nello “scegliersi la parte migliore” e vivere fedeli nella fedeltà di questa forza ontologica che è l’Amore di Dio.
È Lui, il Suo sguardo, il Suo esserci sempre ed innanzi, prima e dopo, durante; il Suo amarci.
Ora a cominciare da Gen. 3 è tutto un susseguirsi per l’uomo nel creare e mantenere un proprio baricentro, una propria immagine, una propria proiezione. Ed accade in ogni ambiente: io sono perché opero con le mie mani, perché penso con la mia mente, perché creo con il mio ingegno e la mia fantasia.
Che questo si chiami sogno, “opera delle nostre mani”, nostro affaccendarsi, super lavoro, super lavoro pastorale, auto-stima, persino mistica, se è nostro e non parte dalla “parte migliore” cioè dall’incontro costante con Lui.. tutto è vano, fallace, fumoso, ridicolo, dissipante. E noi perdiamo la dignità possibile.
E, sovente, ci accontentiamo della dignità e della riconoscenza tutta umana, mendicanti di fama, stima, di riconoscenza. Siamo imprigionati nel cortocircuito del sé.
Il baricentro, nel nostro corpo è situato più o meno in zona dell’ombelico, cioè il luogo dove eravamo satellizzati naturalmente con il seno di nostra madre. E che, dopo la nascita, è segno di un solo luogo dove avere il “cordone ombelicale”, con l’Altissimo. Qui ci portano i nostri genitori, di desatellizzazione in desatellizzazione. Anche “cruenta”, se ci vogliono bene.
Quando noi ci creiamo il “nostro” baricentro è come se spostassimo il nostro baricentro, il nostro "ombelico", secondo capriccio.
Invece Dio ci ricorda, in Cristo, che il baricentro si fonda e cresce nella sua bellezza e nella sua duttilità situazionale, stando con lo sguardo in Lui.
Occhi su occhi, mente su mente, cuore su cuore.
Gesù ci tiene al nostro baricentro, alla nostra dignità, al nostro stare in piedi e amandoci e coinvolgendoci nel Suo Amore, ci libera da questo gioco di morte, da questa catena, che pare immarcescibile.
Ma solo l’Amore di Dio in Cristo ti dona un baricentro, ti dona dignità, ti chiama per nome e amandoti ti rende amante.
Paul Freeman
Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore?
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Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore?
Mt. 9,4
Ἱνατί ἐνθυμεῖσθε πονηρὰ ἐν ταῖς καρδίαις ὑμῶν
Perdonare i peccati non è atto inerte.
Che richiama ad una staticità, ma ad un movimento.
Anzi all’unico movimento, quello che muove a vita nuova. Quello che dona le gambe reali ad essere uomini.
Figli nel Figlio.
Esiste invece un altro movimento, anzitutto interiore, il turbamento del male, del pensiero cattivo, distorto; per noi più comodo. Carico di vanità nascosta e cammuffata.
Specie quando si ammanta di pre-occupazione che curva su di sé.
Esiste infatti una pre-occupazione che muove fuori di sé, muove al dono, alla Gloria di Dio ed al bene reale e vero dei fratelli.
Ma esiste anche una pre-occupazione, un turbamento, specie quello che si ammanta di spirituale, anzi a volte di servizio per il Regno: il mormorare interiore, le critiche interne, le ossessioni/fantasmi, la preoccupazione di smodata di sé e delle situazioni.
Persino l’affermazione di Gesù:
“Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini.” (Mt. 6,33-34), viene deformata.
Perché sembra che cerchiamo il Regno ma in realtà siamo curvi nel turbamento, pensiamo cose malvage e non confidiamo nella Grazia.
Ma non perché vogliamo il male ma perché la nostra ferita e l’azione del nemico colgono il valore della sensibilità per curvare. Non per elevare ma, piuttosto, per paralizzare.
Non per muovere a movimento che il perdono dona.
E si spegne la fiducia e la speranza che man mano distorce tutto. Anche il logos, anche il ben ragionare nello Spirito del Signore.
Ed ecco che, la sensibilità e magari la competenza, viene usata per creare una nuova paralisi. Speriamo non strutturata. Un "lettuccio" su cui stare fermi e guardare l'ombelico delle malformazioni e delle contraddizioni. Sempre oggettivate fuori di sé.
Cosa ci scioglie?
Il perdono di Dio e la grazia colta nella carità sincera, nel dono di sé, nell’occuparsi fuori di sé del bene dell’altro nel farci scomodare dal movimento che la Grazia crea, dentro e fuori di noi. Anche con situazioni inopportune e non previste.
"Cosa vuol dire: cammina? Avanza, avanza nel bene.." ricorda Agostino (S. Agostino, Discorso 256 nei giorni di Pasqua)
Purtroppo i social e i media, aumentano la malattia, se mal usati, perché costringono all’immobilismo e allo spegnere la speranza.
E, ammantata di spiritualità, compare l'accidia.
Il grande nemico dei discepoli di Cristo.
Rimane sempre vera la domanda:
“Signore cosa vuoi che io faccia?”
e la sua risposta:
“Prendi il tuo lettuccio e cammina, perché ti sono stati perdonati i tuoi peccati!” (Mt 9, 1-8)
PiEffe
Il Padre è il mio cuscino, la Sua volontà è il mio riposo
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«Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»
(Mt. 8,20)
Αἱ ἀλώπεκες φωλεοὺς ἔχουσιν καὶ τὰ πετεινὰ τοῦ οὐρανοῦ κατασκηνώσεις, ὁ δὲ υἱὸς τοῦ ἀνθρώπου οὐκ ἔχει ποῦ τὴν κεφαλὴν κλίνῃ
Non ha, il Figlio dell’uomo non ha.
Non ha nemmeno il legittimo conforto genitoriale.
Con linguaggio lirico e poetico, non ha nemmeno una casa, non ha nemmeno (per scelta) il legittimo conforto sponsale.
Il Figlio dell’uomo, divino-umano, umano-divino, ha solo un’urgenza (ed un solo conforto): Il Padre e la Sua volontà.
Il Figlio dell’uomo per farci vedere, chiaramente, e senza scuse, la polarità, la purezza, l’orientamento a Dio solo, al Padre,
ricorda, non a parole, ma con la propria vita, la priorità:
il Padre e la Sua volontà.
Nel tempo estivo, agitato da mille questioni, pur importanti, perché toccano i fondamentali della vita civile, sociale, nazionale, e, anzitutto, umana, dobbiamo chiederci se tutto non diventa un’immensa distrazione dal fermarci e ripetere a nostra volta, con la stessa determinazione, con il Figlio, nello Spirito Santo, se anche noi abbiamo questa priorità che disciplina ed orchestra tutte le altre: Il Padre e la Sua volontà.
Ed accogliere l'esortazione:
"Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti".
Perché anche i vivi e ciò che è vivo, vitale, diventa morto se non c’è la Priorità del Padre.
PiEffe
Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità
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“Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”
(Dal Vangelo del giorno, Mt 7, 21-29)
καὶ τότε ὁμολογήσω αὐτοῖς ὅτι Οὐδέποτε ἔγνων ὑμᾶς· ἀποχωρεῖτε ἀπ’ ἐμοῦ οἱ ἐργαζόμενοι τὴν ἀνομίαν
Chi è l’operatore di iniquità?
οἱ ἐργαζόμενοι τὴν ἀνομίαν, colui che lavora costantemente come se fosse senza legge, disobbediente. Strutturato nel sé malato.
Ma non è una mancanza di legge formale è un vivere riferiti a sé stessi senza legame reale con Dio e con i fratelli. Una sorta di narcisismo esistenziale dove si adora il sé e non si è mai entrati realmente in comunione con Dio e con i fratelli. Senza obbedienza, senza appartenenza, senza legame se non quello viscerale alla proiezione di sé.
L’iniquo, dunque, è proprio il progenitore che, toccato dal maligno, di cui ascolta direttamente o indirettamente la voce, disordina i suoi bisogni fondamentali, quello dell’identità, del ricevere amore e del dare amore, che Dio stesso gli ha dato per essere in comunione con Dio e con i fratelli. Per il Paradiso.
Ed usa questi bisogni, queste tensioni, queste potenzialità, in maniera disordinata, per crearsi un “suo paradiso”, effimero e vanesio, per non amare nessuno.
E paradossalmente, neanche sé stesso.
L’iniquo, dunque, non è altro che un fuggitivo, un derelitto, un senza patria, un gonfiore dell’ego ripieno di vuoto.
Sembra essere a servizio ma sta adorando la proiezione di sé e il dio che si è creato.
Sono i prodromi del clericalismo, di chierici e laici.
Uno che non “conosce”, biblicamente, Dio. Al più conosce il “concetto” di Dio, conosce delle “cose” (poche o molte) su Dio, ma, nonostante tutti gli aiuti, i sussidi, la Grazia ricevuta, incessantemente, non si è giocato nella sequela di Cristo e nell’amore donato ai fratelli.
L’iniquo rischio di essere io.
PiEffe
Postilla agostiniana:
"Voi dunque vedete come sia esteso il prossimo di ciascuno: comprende tutte le persone in cui uno si imbatte e tutte quelle alle quali può unirsi. E` dunque cosa da chiarire bene come uno debba amare se stesso, dato che il suo amore deve comprendere un prossimo così esteso. Nessuno dunque se ne abbia a male che io mi soffermi su questo punto: mentre io svolgerò la riflessione, ciascuno esaminerà se stesso. Io parlo proprio perché ciascuno si interroghi e arrivi a una conoscenza chiara di sé, senza nascondersi, e non si butti dietro alle spalle l'immagine di sé, ma fissi bene gli occhi su di essa: mentre io parlerò, ciascuno farà questo esame di sé, senza che io ne sappia nulla. Come dunque ami te stesso? Ti invito a esaminarti mentre qui ora, in questa scuola di vita cristiana, tu mi ascolti e anzi attraverso me ascolti Dio. Alla domanda se ti ami, tu rispondi di si perché - dici - nessuno si odia. E poiché nessuno si odia, tu, amando te stesso, non puoi amare il male. Se infatti amassi il male, ti inviterei ad ascoltare non quello che dico io, ma quello che dice il Salmo: Chi ama l'iniquità odia la propria anima 7. Ma se tu ami l'iniquità, ascolta la verità che senza blandimenti ti dice apertamente che tu ti odi. Hai tanto più odio di te quanto più dichiari di amarti, perché è scritto appunto: Chi ama l'iniquità, odia la propria anima. Mi riferisco all'anima, ma potrei dire lo stesso quanto alla carne, che è la parte di minor valore dell'uomo: chi ama l'iniquità e odia la propria anima, tratta con turpitudine la propria carne. Se poi tu ami l'iniquità e mandi in rovina te stesso, non è possibile che tu pretenda ti sia affidato il prossimo da amare come te stesso, perché come perderesti te stesso con il tuo modo di amarti, così faresti perdere il tuo prossimo amandolo allo stesso modo. Ti proibisco dunque di amare alcuno, perché sia tu solo a perderti. Ti pongo l'alternativa: o correggere il tuo modo di amare o astenerti da ogni rapporto con altri."
(Sant'Agostino, LA DISCIPLINA CRISTIANA, 4)
Il trovarla è già percorrerla
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Mt. 7,14
Perché Gesù passa dal descrivere la strettezza e l’angustia della porta stretta, entrando nella memoria visiva dei suoi ascoltatori che hanno ben presente le porte strette di Gerusalemme, questa specie di carruggi, tipici dei paesi, che spesso permettono il passaggio di una persona sola per volta, e poi conclude parlando dei pochi che la trovano?
Perché non ne parla pensando a quelli che la percorrono?
Il Verbo greco Euriskontes (καὶ ὀλίγοι εἰσὶν οἱ εὑρίσκοντες αὐτήν) ricorda non tanto una ricerca superficiale ma una ricerca approfondita. Frutto di catecumenato. Cioè di fatica nella fede e nell’azione teandrica costante che essa richiede, in un intrecciarsi mirabile.
Noi, dopo una pessima interpretazione del Concilio Vaticano II, ma che ha avuto eco anche in altre epoche, per esempio nel tardo tomismo, releghiamo alla sola logica e alla sola ragione, al solo sapere di “nozioni”, alla catechesi e finanche al solo conoscere teologico, il nostro cammino.
Il catecumenato, invece, pur ampiamente presente, ad esempio, nel Concilio, proprio ad incipit, in quel Culmen et Fons (SC. 10) include un cammino più esperienziale per l’uomo. Per tutto l’uomo. Certamente non una sfiducia nella ragione e tanto più per la logica ma un entrare nella Fede.
La fede la comprendi se la sperimenti.
Puoi sapere tutto dell’acqua e del suo equilibrio salinico, del PH, della quantità di cloro e della temperatura, ma finché non ti tuffi in essa non sai cosa significa quell’esperienza e non sai cosa significa nuotare. E la bellezza che vi è nell’esperienza. Esperienza che ti trascende.
E, poiché di Fede parliamo, ti trascende nell’io e nel “noi”.
Potresti conoscere ogni cosa e vivisezionarla con la ragione e persino avere una logica ineccepibile ma finché non entri nella logica divina della Fede non trascendi te stesso.
E qual è questa logica?
Quella di obbedire a ciò che Dio ti chiede, sapendo che nell’ascolto vivo e fatto di passi, durante e poi potrai comprenderlo.
"Noi serviremo il Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce!" (Gs. 24,24)
Serviremo, obbediremo.
Comprenderemo Dio nella fatica di compiere ciò che ci chiede.
Ed in effetti il termine Eureka viene proprio da Eurisko, dalla fatica dedicata, e con tutto sé stessi, nel cercare.
Ed “Eureka” questo grido entusiastico di compiutezza, di uscita da “fuori di sé e fuori da sé”, nasce dall’aver trovato.
Ed è per questo che Francesco, dopo circa due anni di dedicata penitenza e mortificazione, dopo l’incontro con Cristo a San Damiano e nel lebbroso, alle mura di Assisi, sempre, presumibilmente presso San Damiano, poté esplodere finalmente alla Porziuncola:
"Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!" (FF, Tommaso da Celano, Vita prima, 356-357)
Francesco comprese la sua strada dopo aver partecipato alla Santa Messa, chiedendo spiegazione/conferma al sacerdote di quanto aveva già intuito nella Grazia della Parola, “spirante Dio”, proclamata nella liturgia, nella terza Chiesa da Lui restaurata.
Egli aveva trovato la via stretta e, da buon amante, non esitò a percorrerla per conformarsi, fisicamente, all’amato.
PiEffe
L’Eucarestia è tutto
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È Pane per nutrire
È Sangue per dare vita
È Carne per la nostra carne malata e ferita
È Logos per orchestrare con ordine e giustizia
È Bellezza per rendere casti
È Inabitazione per trasformare e trasfigurare
È ciò per cui siamo creati e ciò che possiamo essere
È vista per vedere il Padre.
Oh Dio, oh Santo Spirito, che per sola Tua Grazia sei in noi
rendici capaci di accogliere il Verbo fatto Carne
ed avere occhi solo per il Padre
e dare alla Santissima Trinità perfetta e semplice Unità,
gioia e gloria.
Amen, Amen, Amen, Alleluia!
Essere ai tuoi piedi
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Essere calpestato dai tuoi piedi santi, oh Signore, è tutto.
Benedetto il tuo Corpo e benedetto il tuo Sangue.
Infiorata preparata all'Abbazia di Casamari
Psalterium meum, gaudium meum
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Ricorda Il Santo Ambrogio, proprio oggi:
“Il salmo canta il sorgere del giorno, il salmo ne fa risonare il tramonto.
Nel salmo il gusto gareggia con l'istruzione. Nello stesso tempo si canta per diletto e si apprende per ammaestramento. Che cos'è che non trovi quando tu leggi i salmi? In essi leggo: «Canto d'amore» (Sal 44, 1) e mi sento infiammare dal desiderio di un santo amore. In essi passo in rassegna le grazie della rivelazione, le testimonianze della risurrezione, i doni della promessa. In essi imparo ad evitare il peccato, e a non vergognarmi della penitenza per i peccati.
Che cos'è dunque il salmo se non lo strumento musicale delle virtù, suonando il quale con il plettro dello Spirito Santo, il venerando profeta fa echeggiare in terra la dolcezza del suono celeste?”
(Dal «Commento sui salmi» di sant'Ambrogio, vescovo Sal 1, 9-12; CSEL 64, 7. 9-10)
E il suo discepolo Sant’Agostino, aggiunge: “È pregato dunque per la sua natura divina, prega nella natura di servo. Troviamo là il creatore, qui colui che è creato. Lui immutato assume la creatura, che doveva essere mutata, e fa di noi con sé medesimo un solo uomo: capo e corpo.
Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi.” (Dal «Commento sui salmi» di sant’Agostino, vescovo Salmo 85, 1; CCL 39, 1176-1177)
Cosa dire dunque?
I Salmi, senza nulla escludere, compiono in noi, dopo l’Opera di Dio della Santa Messa, in tutte le sue parti, la Sacra Liturgia più matura, perché ci immettono nel compimento quotidiano che è quello di vivere, nella nostra carne, per quanto possibile, i misteri di Cristo. Di entrare timidamente e senza alcun merito in quell’abisso di Scienza, Intelletto e Sapienza che è la unione ipostatica tra la Natura Divina e la natura Umana, gloriosa ed immacolata, del Cristo.
I salmi fanno questo, ci plasmano l’umanità perché sia più umana.
Costruiscono l’io ed il noi della Chiesa, rispettando pienamente, per sommo dono, ciò che ciascuno è nel Cuore del Padre.
Sono la Preghiera per eccellenza. Sono pneumatismo puro, santo e santificante.
E si compiono ancor meglio, ove possibile, nel canto gregoriano e poi nell’abbandono in Jubilo.
Come Maria.
Senza frode
- Hits: 2363
"Senza frode imparai la sapienza e senza invidia la dono, non nascondo le sue ricchezze. Essa è un tesoro inesauribile per gli uomini; quanti se lo procurano si attirano l'amicizia di Dio, sono a lui raccomandati per i doni del suo insegnamento."
(Sap 7, 13-14)
---
Auguri a "noi" teologi, di ogni ordine e grado di servizio,
chiamati
senza frode
a ri-donare i tesori di Scienza, Intelletto e Sapienza.
Senza nulla trattenere, come il "ladro",
nemico dell'uomo e di Dio,
frodatore antico,
ma, per sola Grazia,
a condividere quanto abbiamo ricevuto, senza meriti,
per la stessa sola Grazia.
E siamo umili e servi, prostrati,
senza turbare le anime per cui il Verbo si è incarnato,
ha sofferto nella carne ed è Risorto.
"Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto." (Sl. 4,7)
Ed auguri a chi si chiama Antonio.
PiEffe
---
Is 61, 1-3
Lo spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati,
a proclamare la libertà degli schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l'anno di misericordia del Signore,
un giorno di vendetta per il nostro Dio,
per consolare tutti gli afflitti,
per allietare gli afflitti di Sion,
per dare loro una corona invece della cenere,
olio di letizia invece dell'abito da lutto,
canto di lode invece di un cuore mesto.
Essi si chiameranno querce di giustizia,
piantagione del Signore per manifestare la sua gloria.
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2 Cor 3, 15 -4, 1. 3-6
Fratelli, fino ad oggi, quando si legge Mosè, un velo è steso sul cuore dei figli d’Israele; ma quando vi sarà la conversione al Signore, il velo sarà tolto.
Il Signore è lo Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore.
Perciò, avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo.
E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio.
Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.
Lo Spirito Santo dona l'intima natura di Dio: la Comunione
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Voi, carissimi, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell'amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna. Convincete quelli che sono vacillanti.
(Lodi del giorno, Lettura Breve Gd 20-22)
Voi
costruite
vostra
pregate
conservatevi
attendendo
con-vincete
Il "Noi" trinitario fonda, sostiene, genera ed illumina il "noi" della Chiesa. Ognuno per la sua parte. Certo non senza dialettica, anche interna, interna anche a ciascuno di noi.
Può accadere, infatti, che lo Spirito susciti in noi una intuizione e addirittura un carisma ma poi ci chieda di mortificarlo.
Perché questo?
Per prendersi gioco di noi?
Per ingannarci?
Certamente no.
Per portarci alla natura più alta della comunione che è la diakonia, la donazione nell'Amore.
Che è innestata nel Battesimo.
Al sacrificio di Isacco.
In cui ciò che conta di più non è la "nostra intuizione" ma l'agire di Dio nella storia anche attraverso la mortificazione necessaria della "nostra" intuizione che Lui stesso ha donato.
Perché Egli è fonte di fecondità ben oltre le nostre membra.
E questo si deve storicamente vedere.
In tal modo la nostra resa a Dio è perfetta ed esprime la cristificazione compiuta e la figliolanza nel Figlio.
Per quanto possibile, dunque, la nostra volontà si adegua alla volontà divina, ed impariamo, nell'obbedienza tanto quanto ciò che patiamo.
Perché l'obbedienza non solo rimane una virtù ma il mezzo più appropriato, battesimale, per vivere la nostra "conformatio" divina.
Poiché sembra, in apparenza, negare la nostra individualità, che è l'essenza del nostro esser-ci nel mondo come unicum, scalpitiamo e ci lamentiamo.
In modi a volte erronei ed imperfetti, ed il fomito della ribellione è spesso presente in noi: vogliamo dar-ci un nome.
Nell'irriducibilità dell'io-sono-io.
Posto che ci sono alcune lamentele, suppliche e quasi "bestemmie" (come ci insegnano i santi e i profeti) che sono più preghiera di tante orazioni, in noi permane la difficoltà di obbedire, perché manca la possibilità di ob-audire, di ascoltare e, preferiamo, quella di osare, pensando in tal modo di essere audaci, condottieri dell'unicum che ci è stato rivelato.
Invece l'obbedienza, sana, resa, spirituale, cioè nello Spirito Santo è principio vivificante e dunque pienamente spirituale di adesione all'unica volontà divina delle tre persone.
E libera realmente l'azione di Dio nel mondo.
E costruisce l'edificio spirituale.
Ricordando che io-sono-perché-amato.
Lo Spirito Santo conduce alla Vita per la morte
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"Preziosa agli occhi del Signore
è la morte dei suoi fedeli."
(Sl. 116,15)
"Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio."
(Gv. 21,19)
"Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata"
(Dal Canone dei defunti)
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Preferisco vivere la morte del lecito per amore di Cristo
e della Chiesa,
che vivere il lecito alla Sua Luce. (Paul Freeman)
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Circa la mortificazione, specialmente interna.
"L’uomo da Dio fu creato retto, sicché senza contrasto il senso ubbidisse allo spirito e lo spirito a Dio: Deus fecit hominem rectum3. Venne il peccato e scompose questo bell’ordine; e quindi la vita dell’uomo cominciò ad esser una continua guerra: Caro enim concupiscit adversus spiritum, spiritus autem adversus carnem4. Questi erano i lamenti dell’apostolo:Video autem aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis meae et captivantem me in lege peccati5. Quindi nasce esservi due sorte di vita per l’uomo: la vita degli angioli che attendono a far la volontà di Dio, e la vita delle bestie che attendono a soddisfare i sensi. Se l’uomo attende a fare la divina volontà diventa angelo; e se attende a soddisfare i sensi diventa bestia. Onde quel che disse il Signore a Geremia: Constitui te hodie… ut evellas et destruas… aedifices et plantes6, dobbiamo eseguire ancor noi in noi stessi; dobbiamo piantar le virtù, ma prima dobbiamo svellere l’erbe cattive. E perciò bisogna che stiamo sempre colla zappetta della mortificazione alla mano per recidere gli appetiti malvagi che nascono e sempre ripullulano in noi dalle radici infette della concupiscenza; altrimenti l’anima diventerà una boscaglia di vizj. Bisogna in somma mondare il cuore se vogliamo aver luce per conoscere il sommo bene ch’è Dio: Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt7. Onde disse poi s. Agostino: Si Deum videre vis, prius cogita de corde mundando8. Dimanda Isaia9: Quem docebit scientiam?… ablactatos a lacte, avulsos ab uberibus. Iddio non dona la scienza de’ santi, ch’è il saper conoscerlo ed amarlo, se non a coloro che sono slattati e staccati dalle poppe del mondo: Animalis autem homo non percipit ea quae sunt spiritus Dei10. Chi attende, come bruto, a soddisfarsi de’ piaceri sensuali non è capace neppur d’intendere l’eccellenza de’ beni spirituali.
Dice s. Francesco di Sales che siccome il sale preserva la carne dalla putredine, così la mortificazione preserva l’uomo dal peccato. In quell’anima dove regna la mortificazione regneranno ancora le altre virtù.Myrrha et gutta et casia a vestimentis tuis11. Scrisse su questo passo Guerrico abate: Si myrrha prima spirare coeperit, consequentur et aliae species aromaticae12. E ciò appunto disse la sacra sposa: Messui myrrham meam cum aromatibus meis13. Tutta la nostra santità e salute stanno nel seguire gli esempj di Gesù Cristo: Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imaginis filii sui14. Ma non potremo mai seguir Gesù Cristo, se non neghiamo noi stessi ed abbracciamo col mortificarci quella croce ch’egli ci dà a portare: Qui vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam et sequatur me1. La vita del nostro Redentore fu tutta piena di patimenti, dolori e disprezzi; onde Isaia lo chiamò: Despectum et novissimum virorum, virum dolorum2. Siccome la madre prende la medicina amara per sanar l’infermo suo bambino che allatta; così il nostro Redentore, dicea s. Caterina da Siena, volle assumere tante pene per guarire noi poveri infermi. Ma se Gesù Cristo tanto patì per nostro amore, è giusto che noi patiamo per amor suo. Bisogna dunque essere quali ci vuole s. Paolo: Semper mortificationem Iesu in corpore nostro circumferentes, ut et vita Iesu manifestetur in corporibus nostris3. Ed allora ciò noi faremo, dice s. Anselmo in detto luogo, quando ad eius imitationem assidue mortificamur. E specialmente dobbiamo ciò eseguire noi sacerdoti, che continuamente celebriamo i misteri della passione del Signore: Quia passionis dominicae mysteria celebramus, debemus imitari quod agimus, dice Ugone da s. Vittore."
(Dalla Pars II della Istruzione VIII di S. Alfonso Maria De Liguori)
Tradimento
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«Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto»
(Dal Vangelo del Mercoledì Santo Mt 26, 14-25)
Due tipi di tradimento sono presenti.
Quello della debolezza e quello antico di voler usare Dio per sé,
a vantaggio di sé, cosificando l'Altissimo.
È questo secondo che ha generato la prima forma di tradimento.
Dio serve a me.
Dio mi garantisce l'immagine che io voglio avere e che penso sia giusta.
Dio è la stampella dell'opera delle mie mani.
Dio è moneta di scambio per il narcisismo dell'ego.
Io sono.
Che assurdità ontologica, anzitutto. Che delirio alimentato anche dal nemico, che ben conosce i deliri di una creatura.
Più grave il tradimento di Pietro, affettivamente, ma aperto ad accogliere il perdono. A piangere lacrime di pentimento e di confessione.
Meno grave affettivamente quello di Giuda ma impermeabile nel cogliere lo sguardo dell'Agnello e perfetto nella cosificazione di Dio. Nella grande truffa e nel ladrocinio.
Eppure, Signore, se guardo onestamente il mio cuore, scorgo entrambi. Vedo chiaramente queste due forme di tradimento.
Miserere mei, Deus: secundum magnam misericordiam tuam.
Io sono Pietro, io sono Giuda.
Salvami dalla mia debolezza e soprattutto salvami dalle mie strutture di peccato che hanno preso il posto dell'Agnello
e mi rendono ladro di bene.
Accettare la nudità perché si è già rivestiti
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Accettare la nudità perché si è già rivestiti
"Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore, così è avvenuto: sia benedetto il nome del Signore! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?"
(Dalla lettura breve delle Lodi, Gb 1, 21 (Volg.); 2, 10b)
La nudità è essenziale perché riporta l'uomo alla sua condizione primigenia, ossia al dipendere in tutto e per tutto dalle mani del Padre.
Qui risiede la bellezza.
Però, anche se è relativamente semplice spogliarsi dei beni non essenziali,
diventa difficile rendersi docili ad essere spogliati da quelli essenziali
e diventa sovrumano accogliere lo spogliamento di quelli vitali
dal punto di vista fisico, psichico ed affettivo.
Eppure il desiderio della nudità non arriva se prima non si è ampiamente rivestiti da quella mano luminosa e calda che tutto sostiene.
E che sola ci basta.
Che il Padre ci porti qui e a fuggire,
per quanto possibile,
le quotidiane cisterne screpolate.
"Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?"
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Lc 6,27-38
Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.
Dal vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.
Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».
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"Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete?"
Quando sentiamo nel Vangelo la parola merito la filtriamo secondo una logica giuridica greco-romana.
Non è così che dev’essere accolta questa Parola del Signore. Il merito per la Sacra Scrittura è l'abilitazione a vivere giustamente, cioè secondo Dio. Il merito è legato ad un'armonia più che a un diritto.
È legato più ad una potenzialità di sé e del Bene che ad concetto retributivo.
Armonia e potenzialità del Bene nel Bene è ciò che svela e compie la carità di Dio nel discepolo:
"ποία ὑμῖν χάρις ἐστίν" che potremmo tradurre: "come potrà la Carità di Dio essere presente e visibile in voi"?
Amare quelli che non ci amano e rivestire di amore quelli che non sono degni di amore rende degni di amore noi e coloro che appaiono indegni perché la Carità, come un fiume che tutto irrora, non si ferma ma si svela. Dio si svela nell'amare come Dio in Dio. L'acqua della Carità non ristagna ma continuamente circola e vivifica chi la riceve e chi la dona.
Qui si svela la richiesta della forma vitæ del Padre nostro: "rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a noi debitori". Rendici degni di amare come ami tu nel Tuo Amore che coprendo una moltitudine di peccati (soprattutto i nostri) compie il Regno in noi e in mezzo a noi. Espande, dunque, la Carità.
Per il Vangelo, ancor più chiaramente, si tratta di vedere, pensare, giudicare e vivere come figli di Dio, suoi consanguinei nel Figlio.
Perché è Dio che ti invita ad amare i peccatori. Attenzione, non a confondere il bene con il male per ideologia o mera opportunità. In questo il nostro cuore soggettivo e collettivo, che è malato, è abile nel travisare e nel manipolare la Parola del Signore. Ma sempre nel chiamare bene il bene e male il male e, nel contempo, amare, grazie a Dio, chiunque, anche colui che compie ciò che è male agli occhi del Signore. Anzi, soprattutto.
Se sei onesto e casto nel vedere, quel male che tu non hai compiuto avresti potuto compierlo moltiplicato, perché anche tu sei costato la Passione, Morte e Resurrezione di Cristo. E se questo non lo vedi il tuo cammino è debole ed ancora molto ego-centrato. Sei miope, avaro, lussurioso e necessiti ancora di tanto correttivo alla vista che il Padre deve intessere nel tuo cuore perché tu sia veramente casto.
E perché questo è fondamentale?
Perché tu possa conoscere Dio e diventargli figlio nel Figlio ad opera dello Spirito Santo.
Il perdono, dunque, senza confusione nel discernimento, è tra le vie più efficaci e definitive per essere ciò che siamo agli occhi di Dio. Compierci.
Se si cerca una via del sé, un "soggettivismo sano", un "protagonismo" autentico e non vanesio, una fruttuosa realizzazione di sé, questa è la strada... ama in Dio, ama come Dio, ama per Dio, e chiedi questo incessantemente perché "una buona misura, pigiata, scossa e traboccante ti sia versata, ora, nel grembo".
Chi perdona in Dio, per Dio, come Dio, si compie. Si cristifica. Compie il dono del Battesimo che ha ricevuto. Compie la sua vocazione filiale, consolida la sua Immagine, l'Immagine che ha ricevuto come Persona e come Persona Battezzata. Rende operativa la "Somiglianza" e la rende aderente all'immarcescibile "Immagine".
Slega la Grazia battesimale per irrorare di vita sé stessi e ogni fratello e sorella prossimi.
E la fatica che questo costa è preludio a dilatarti per la Vita Eterna che ti è promessa, sin da adesso. La gioiosa fatica del Perdono è azione teandrica, è capolavoro di immortalità, è l’immissione scardinante dell’Eternità nella storia.
Alle parole del Signore: “perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato” non c’è una promessa futura ma immediata che come un seme nella tua Persona ti eleva e ti trasfigura per essere ciò che sei sempre stato dall’Eternità, in Cristo, nel cuore del Padre.
Credi per ottenere, credi per vedere, credi per ascoltare, credi per scegliere, credi per toccare, credi per amare, credi per non essere avaro e lussurioso, credi per essere casto, credi per cambiare, credi per essere operatore di Bene nel Bene.
La cultura del Perdono è l’unica che edifica cattedrali immarcescibili perché le fonda non sui propri sforzi ma sull’onnipotenza di Dio.
PiEffe
Dio compie, tu stai
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"Noè poi fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dal suolo; ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò a lui nell’arca, perché c’era ancora l’acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare presso di sé nell’arca.
Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. Aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui.
L’anno seicentouno della vita di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque si erano prosciugate sulla terra; Noè tolse la copertura dell’arca ed ecco, la superficie del suolo era asciutta. Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo:
«Non maledirò più il suolo a causa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto.
Finché durerà la terra,
seme e mèsse,
freddo e caldo,
estate e inverno,
giorno e notte
non cesseranno»"
(Dalla prima lettura del giorno, Gn 8, 6-13.20-22)
È Dio che compie i tempi della Pace.
Non sta a te compiere le contraddizioni, le incongruenze,
le contraddizioni, risolvere le impotenze.
Egli compie.
Tu però devi far uscire la colomba e verificare.
Devi faticare, seminare, lavorare duramente, preparare con il duplice effetto:
quello di restituire quanto puoi senza risparmiarti
ed in seconda misura verificare empiricamente che solo Dio compie le situazioni, le slega, le risolve.
Il Potere appartiene a Dio.
Quest'ultima consapevolezza significa (cioè dona senso) alla prima fatica e rende lievito la seconda dove riconosci che Dio è Dio.
Nella tua carne riconosci che Dio è Dio.
Che Dio regna!
La tua storia e la tua carne diventano il Credo quotidiano e continuo
che ti diventa corona di giustizia e fecondità per il ricostruire come Lui vuole.
A cominciare da quel piccolo lembo di terra che è il tuo cuore.
Tu stai con fiducia, in silenzio,
senza manipolare, senza dissipare,
ed Egli compirà la Sua opera.
Perché Egli non abbandona l'opera delle Sue mani
tanto più se tu la "sleghi"
con la tua umile resa e con il docile e radicale abbandono.
Nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre
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Nessuno può avere Dio per Padre,
se non ha la Chiesa per Madre
- S. Cipriano di Cartagine, De Ecclesiae catholicae unitate, 6: CCL 3, 253 (PL 4, 519) -
Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra»
(Dalla prima lettura del giorno, Gn 4, 1-15. 25)
Parla il Signore, Dio degli dèi,
convoca la terra da oriente a occidente:
«Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici,
i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti.
Perché vai ripetendo i miei decreti
e hai sempre in bocca la mia alleanza,
tu che hai in odio la disciplina
e le mie parole ti getti alle spalle?
Ti siedi, parli contro il tuo fratello,
getti fango contro il figlio di tua madre.
Hai fatto questo e io dovrei tacere?
Forse credevi che io fossi come te!
Ti rimprovero: pongo davanti a te la mia accusa»
(Dal salmo responsoriale del giorno, Sl. 49)
CCC: 166 La fede è un atto personale: è la libera risposta dell'uomo all'iniziativa di Dio che si rivela. La fede però non è un atto isolato. Nessuno può credere da solo, così come nessuno può vivere da solo. Nessuno si è dato la fede da se stesso, così come nessuno da se stesso si è dato l'esistenza. Il credente ha ricevuto la fede da altri e ad altri la deve trasmettere. Il nostro amore per Gesù e per gli uomini ci spinge a parlare ad altri della nostra fede. In tal modo ogni credente è come un anello nella grande catena dei credenti. Io non posso credere senza essere sorretto dalla fede degli altri, e, con la mia fede, contribuisco a sostenere la fede degli altri.
167 « Io credo »: 212 è la fede della Chiesa professata personalmente da ogni credente, soprattutto al momento del Battesimo. « Noi crediamo »: 213 è la fede della Chiesa confessata dai Vescovi riuniti in Concilio, o, più generalmente, dall'assemblea liturgica dei credenti. « Io credo »: è anche la Chiesa, nostra Madre, che risponde a Dio con la sua fede e che ci insegna a dire: « Io credo », « Noi crediamo »
La Chiesa
C'è stato un tempo, te lo ricordi Signore?
In cui riuscivo ad accettare solo la Chiesa dei perfetti
ogni piccolo strappo nella sua veste mi scandalizzava
ogni schizzo di fango m'indignava
ogni ruga sul suo volto m'infastidiva
ogni debolezza provocava condanne implacabili
da parte del piccolo giudice rannicchiato dentro di me.
Oggi, per Grazia, comincio a guarire da queste pretese idealistiche,
comincio a capire che quella era la Chiesa dei miei sogni
non la Chiesa fondata da Te e su di Te.
Mi sto rendendo conto, senza farne un dramma,
che la Chiesa rivela,
ma anche nasconde Dio,
lo manifesta, ma in certi momenti lo oscura,
lo presenta, ma talvolta, ce Lo allontana.
Già, la Tua Chiesa, Signore, è santa, ma fatta di peccatori.
La Chiesa mi consegna il tuo Vangelo, certamente,
ma me lo consegna nello sforzo della propria miseria,
nell'interno delle proprie contraddizioni.
In Dio non c'è ombra, né ruga, né macchia,
la Tua Chiesa, e nostra Chiesa, invece,
è fatta di uomini e quindi fatta di poveri,
piccoli uomini,
fatta di miserie, di debolezze,
colpe, cedimenti, compromessi, ipocrisie, disordini assortiti...
Ha ragione il nostro pastore quando osserva:
... che i deliranti di una purezza idealistica della Chiesa sono i nemici del Regno…
Non hanno senso di appartenenza,
non hanno il cuore di Cristo,
predatori, mercenari,
non vibrano della passione di Sua Madre.
Ed il nostro pastore aggiunge:
.. è sommamente gradito a Cristo chi, pur continuando a chiamare le cose per nome, così come Dio le vede, ed avere in odio il peccato,
non smette di abbracciare il peccatore..
Io sto imparando ad amare e ad accettare con gioia la Chiesa così com'è.
Questa Chiesa; perché anch'io sono Chiesa,
e anch'io ho bisogno di essere accettato dalla Chiesa
con il mio peso di miserie e le mie ombre,
ben più grandi di quelle che sono fuori di me
e su cui ho puntato il dito non per la ricerca della Verità
e per piacere sinceramente a Cristo
ma per sentirmi giustificato, migliore, a posto...
già, mi ero relativisticamente costruito
un dio tutto mio,
una chiesa tutta mia,
un paradiso tutto mio;
con la scusa di servire, ero carico di una superbia incontenibile che mi allontanava,
nell'inganno,
sempre più da Cristo e dalla Sua Chiesa Cattolica.
Non voglio più vergognarmi della Mia Chiesa,
della tua Chiesa,
nemmeno di ogni suo membro,
fosse il più putrido, infame ed innominabile,
davanti a nessuno,
ovunque sarò e mi porterà la Tua volontà per le strade del mondo...
.. anzi, le sarò sempre riconoscente,
perfino per le sue ombre e per le sue vite ferite.
I piedi del messaggero
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i piedi del messaggero di lieti annunzi
che annunzia la pace,
messaggero di bene che annunzia la salvezza,
che dice a Sion: "Regna il tuo Dio". "
(Dalla prima lettura della Festa dei Santi Cirillo e Metodio, Patroni d'europa, Is 52,7-10)
La consapevolezza piena che "Dio Regna" unisce realmente i popoli, li forma, li sostiene e crea la comunità.
Non è una forma larvale o mascherata di teocrazia, che sempre porta i rimasugli della carnalità dell'umano.
Perché il Regno di Dio non è come ogni regno di questo mondo ma libera l'uomo dal di dentro e lo rende, finalmente, capace di amare e di essere amato.
Lo rende capace di vedere come Dio vede e di amare come Dio ama, buoni e cattivi, vicini e lontani, amici e nemici.
Lo rende capace di stupore.
Affermare dunque "Regna il tuo Dio!" significa finalmente essere liberi e realisti,
costruttori di futuro e di gioia.
Costruttori di civiltà.
E tutto questo inizia dalla tua casa e dalla tua resa docile.
L’ipocrisia: mutevole e dinamica con l’apparenza di bene
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«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
E diceva loro: «Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: “Onora tuo padre e tua madre”, e: “Chi maledice il padre o la madre sia messo a morte”. Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”, non gli consentite di fare più nulla per il padre o la madre. Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte»
(Dal Vangelo del giorno, Mc 7, 1-13)
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Vi sono molteplici forme di ipocrisia che ingrassano il nostro ego quotidianamente.
Perché la funzione dell’ipocrisia è quella proprio di deformare il sé senza amore reale di sé, di Dio e del prossimo.
Coprire il vero con la dottrina fatta di uomini è uno dei metodi più grossolani. L’ideologia rimane dunque il fulcro che usa, letteralmente “usa”, il “sacro” per non rendere culto né a Dio né onorare gli uomini, né amare sé medesimi secondo Dio. E di queste cose ne facciamo molte.
Poi esiste anche l’ipocrisia più velata di riempirci la bocca, la catechesi e le prediche (clericali e laicali) di parole che colpiscono l’immaginario.
Misericordia,
accoglienza,
integrazione,
inclusione.
Che sono importanti, fondamentali, per un contesto sociale ed ecclesiale ma spogliamo tali valori e tali principi dimenticando che siamo feriti e che anche qua, proprio qua, rischiamo quotidianamente, ferialmente, con una patina sopraffina, di operare ladrocinio.
Perché quello che conta, per il nostro io vorace e dissonante, non è accogliere o integrare, in definitiva, ma garantire al nostro io che stiamo accogliendo ed integrando perché dobbiamo sentirci e, soprattutto apparire, più buoni.
E guai a chi ci smonta il giochino proiettivo, diverrà oggetto della nostra stizza furiosa; del nostro, apparentemente santo, sdegno.
Da come smascheriamo questa truffa sopraffina?
Proprio dall’odio che proviamo verso chi non è accogliente e magari è anche razzista.
Non combattiamo il disvalore del razzismo, l’obbrobrio dell’emarginazione, la colpa della mancanza di Carità, l'ingiustizia della mancanza di inclusione.
No. Stigmatizziamo a nostra volta. Diventando razzisti verso i razzisti. Incapaci di integrazione verso chi non integra.
Proiettiamo verso il “nemico” tutto il marcio che abbiamo dentro perché incapaci di dargli un nome nella nostra personalissima truffa e nella nostra personalissima ipocrisia.
L’arte dell’umiltà non si raggiunge se non dopo un lungo cammino di umiliazione in cui realmente si smette di guardare a sé per guardare Cristo. Ove presente. Persino nel razzista. Persino nel nemico, senza smettere di chiamare bene il bene e male il male.
Non spezziamo dunque la catena iniqua del narcisismo e del soggettivismo, ma la nutriamo a nostra volta e, cosa più drammatica, ci spacchiamo dentro. Nutriamo il cancro.
Questo meccanismo disumano, duole dirlo, poiché parodia dell’umano, viene alimentato dai mezzi di comunicazione, tra l’altro in mano a chi di questo ci fa mercato.
Come dunque uscirne?
Onorando Dio con il cuore, facendoci scavare nel cuore e chiedendo perdono anche per il bene quotidiano che ci è dato di compiere. E perdonando, e chiedendo di perdonare, realmente i "nostri nemici".
Capendo che la guarigione deve raggiungere il cuore del cuore, perché “non sia lontano da Lui”, per quotidiana e continua salvezza.
Il Kerygma paolino nella lettera ai Romani offre la soluzione. Che è personale ed ecclesiale nel contempo, mistericamente:
“Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore,
e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti,
sarai salvo.” (Rm. 10,9)
Inenarranza nella Sequela
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"Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»"
(Dal Vangelo del giorno Gv 2,1-12, II domenica del TO)
Su questa pericope gli esegeti di ogni tempo (e persino i mistici delle rivelazioni private) si sono trovati in difficoltà: perché Gesù risponde così a Sua Madre?
Una cosa è certa e l’abbiamo imparata bene, sin da dodicenne Gesù non smette di essere il Signore ed il Maestro e tutto vive e proietta verso la Luce della Pasqua, Egli vive e porta a questa centralità i suoi interlocutori.
Non lo fa con la fretta di spiegare ogni cosa, non è didascalico ma introduce al mistero; Egli è il Sommo Liturgo.
Con la pazienza del Sommo Artista del Grande Contadino che conosce che il seme depositato porta frutto a suo tempo.
Non dobbiamo scandalizzarci, dunque, di una risposta così dura di Gesù, essa è in realtà un gesto di Amore e di fiducia grandissima che è consapevole nel contempo che anche la Beata tra le donne potrebbe non comprendere sul momento.
Ma nessuno dei figli è stato intimo con la Madre come il Cristo.
Nessuno ha assomigliato alla propria madre, anche fisicamente, più di Lui.
Il legame indistruttibile tra Gesù e Maria non è in discussione, sotto ogni piano.
Ma Egli è anzitutto il Verbo incarnato proiettato alla Pasqua e qui Cristo conduce e porta, chi ama di più.
Sai quanto Gesù ti ama, da quanto ti porta alla Pasqua.
Cioè a vivere, nella tua carne, i Suoi Misteri Pasquali.
Ad abbattere ogni proiezione di Dio, anche la più bella che ti sei costruito.
Anche la più santa che persino Dio stesso, consapevole della gradualità, ti ha messo nel cuore:
Egli ti chiama oltre.
E Maria che questo lo ha compreso da sempre come nessun altro e nessun’altra e dice, ai servi, a noi, quelle parole immarcescibili che esplicano l’inenarranza nella sequela:
Ὅ τι ἂν λέγῃ ὑμῖν ποιήσατε”
«Qualsiasi cosa Egli possa dirvi, fatela»
E Cristo compie la Pasqua dove sembrava impossibile.
Finchè c'è la salute.. quella del cuore
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«Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella e cammina”?»
(Dal vangelo del giorno, Mc 2, 1-12)
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La somatolatria non passa solo per il culto vanesio dell'immagine corporea che passa dal rotocalco dei selfie, dei media, alle palestre come nuovi "centri di liturgia",
ma soprattutto sposta l'ordine di valore e di importanza dalla salute spirituale a quella fisica. Inverte l'ordine naturale.
Se infatti dedichiamo ed abbiamo cura, com'è giusto, nell'avere tanta accortezza alla salute fisica, e ai suoi effetti in tutte le parti del corpo, specie quelle più delicate,
perché siamo così dimentichi della paralisi spirituale
e dei disordini che essa infligge a tutta la nostra vita?
Modi di pensare e di "essere" compresi?
Non ci accorgiamo di quanto siamo deformi?
E soprattutto non ci accorgiamo di quanto potremmo essere belli se seguissimo il Suo Cuore?
La guarigione interiore non è una richiesta che si compie nel culmine del cammino cristiano
ma una richiesta prioritaria e quotidiana che è insita nel dono del Battesimo che abbiamo ricevuto.
La Tua Parola silenzia, ordina e cambia il cuore
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«Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!»
(Dal Vangelo del giorno, Mc 1, 21-28)
Il caos presente nel cuore dell'uomo che si esprime nell'impurità
dei sensi e della lingua
strettamente legati,
lussuria e mormorazione vanno sovente a braccetto,
Cristo lo ordina e lo calma intimandogli di tacere.
Egli dunque compie non solo l'esorcismo e la liberazione
da chiedere senza paura su di sé,
soprattutto con la preghiera, il digiuno e l'umorismo dei fratelli,
nei momenti di forte prova,
perché sia ancora più chiaro che nessuno si salva da sé,
ma anche ordina e rende fecondi i Bisogni Fondamentali
orientandoli al "Cosmos", all'armonia, all'orchestrazione,
alla temperanza, al loro autentico sbocciare.
Così che possiamo proclamare la nostra Professio Fidei:
"So chi Tu sei
Tu solo sei
e sei venuto per salvarmi,
oh Santo di Dio!"
La sequela francescana
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«Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Dal Vangelo del giorno, Mc 1, 14-20)
Francesco di Assisi fu il primo, e forse il più completo, nel cogliere la sequela non tanto come un atto formale,
né tantomeno solo morale,
ma piuttosto come un evento esistenziale.
In questo Francesco ricalcava perfettamente
i primi discepoli e gli apostoli.
Non si basava solo un aspetto, meditare la Parola, metterla in pratica, vivere la morale del Vangelo, scrutare teologicamente, vivere la carità, curare la dimensione del Sacro Culto e tanti altri colori dell'unico spettro.
Egli andava al cuore:
Gesù è passato di qui? Anch'io vi devo passare.
Egli ha creato delle orme? I miei piedi devono passare "dentro" quelle orme, per come posso. Dentro le "vestigia".
Questo anzitutto per amore di Lui, per conformità sponsale, carnale.
Lo esprime l'inarrivabile preghiera dell'Absorbeat
Rapisca, ti prego, o Signore,
l'ardente e dolce forza del tuo amore
la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo,
perché io muoia per amore dell'amor tuo,
come tu ti sei degnato morire
per amore dell'amor mio.
Questo permette di abbracciare il lebbroso che è in me
e quello presente nei fratelli.
Certe scelte si fanno solo per Amore,
mossi dall'Amore,
crescendo nell'Amore.
Il peccato che conduce alla morte
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"Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a coloro, cioè, il cui peccato non conduce alla morte. C’è infatti un peccato che conduce alla morte; non dico di pregare riguardo a questo peccato." (dalla prima lettura del giorno, 1 Gv 5, 14-21)
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"ἁμαρτία πρὸς θάνατον", il peccato che conduce alla morte
è uno dei passaggi più difficili per gli esegeti di ogni tempo.
Averne dunque la pretesa di semplificarlo e spiegarlo qui è improprio, proprio perché è inerente un altissimo discernimento di Vita Spirituale e di Vita Pastorale.
Tuttavia qualcosa possiamo balbettare.
Dal contesto in cui scrive l'apostolo Giovanni alle comunità di Efeso si evince che vi è una situazione possibile di evidente Apostasia. La negazione della Signoria di Cristo. Dunque non si parla solo del peccato ordinario che rompe in maniera più o meno grave la comunione fraterna ma di quella scelta che viene perseguita scientemente per rompere definitivamente ogni comunione con Cristo e la Chiesa di Cristo.
Tale passaggio dunque facilmente può essere ricondotto, in certo qual modo, anche alla "Bestemmia contro lo Spirito Santo" ed anche alla "consegna a satana" di natura paolina.
Questo non significa che la preghiera non sia più necessaria ma solo che essa non fa più appello alla situazione di relativa illuminazione o di parziale "ricostituente" da chiedere a Dio verso chi è caduto ma ad una resa totale a Dio perché possa operare un ravvedimento radicale, un cammino medicinale ed una amputazione se necessaria, come solo il Divino Medico e Chirurgo può fare.
Un conto è somministrare un farmaco, magari anche forte, per una più o meno grave malattia ed un conto richiedere l'aiuto di un esperto per eliminare una gravissima cancrena, reiterata, perseguita e magari data per legittima e giusta.
Ecco perchè, a mio avviso, l'esortazione dell'apostolo va colta come un impegno della comunità a non fermarsi alla "sola preghiera" ma ad accompagnarla con il digiuno (ogni tipo di digiuno), la carità e la riparazione.
“Certa specie di demoni si scaccia solo con la preghiera e col digiuno” (Mt 17,21)
"Soprattutto conservate tra voi una grande carità, perché la carità copre una moltitudine di peccati." (1Pt. 4,8)
Ed aggiungiamo che la Carità "sana" una moltitudine di peccati propri ed altrui.
E la Riparazione. Come disse Gesù a Margherita Maria: « Ecco — disse — quel Cuore che ha tanto amato gli uomini e li ha ricolmati di tutti i benefìci, ma in cambio del suo amore infinito, anziché trovare gratitudine, incontrò invece dimenticanza, indifferenza, oltraggi, e questi arrecatigli talora anche da anime a lui obbligate con il più stretto debito di speciale amore ».
(Margherita Maria Alacoque citata nella Miserentissimus Redemptor).
Ma questo si comprende solo con le parole di S. Agostino:
« Dammi un innamorato e capirà quello che dico »
(S. Agostino, "Da mihi amantem et sentit quod dico", De cons. Evang. 26, 4)
O come direbbe il card. J. H. Newman “Cor ad cor loquitur”.
Infine occorre il discernimento per non farsi cogliere da quel sentimento di falsa pietà, e di superbia larvale, per cui, nell'aiutare la persona caduta in evidente apostasia, anche noi vi "cadiamo con tutte le scarpe",
fallendo il compito da cui siamo partiti nell'Amore,
aiutare il fratello a salvarsi e salvare anche noi stessi nell'amarlo.
La Forma Vitæ del battezzato
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"Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire»" (Dal Vangelo del giorno, Gv 3, 22-30)
Se
"Lui deve crescere; io, invece, diminuire"
vediamo efficacemente
quanto sono patetici i nostri affanni quotidiani
per mendicare un po' di stima, chierici e laici,
e toglierla al Re dei Re, al Signore dei Signore, allo Sposo.
"Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti...
La malizia uccide l'empio" (Sl. 34,6.22.)
Guardare a Lui, portare a Lui, evitare l'empietà,
che è ladrocinio, fonte di ipocrisia
e ateismo rivestito di spiritualità,
vuol dire riconoscere che l'unica Luce che illumina ogni luce, ogni Scienza ed Intelligenza e dona ogni Sapienza,
è solo Lui.
Colui nel quale il Padre si è Compiaciuto.
Nella Carità attenta, dinamica e veritiera i cieli si aprono
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«In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo» (Giov. 1,51)
"Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida ha più la vita eterna che dimora in lui.
In questo abbiamo conosciuto l’amore, nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come rimane in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità." (1Giov. 3,14-18)
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ὀφείλομεν, possiamo e dobbiamo, per debito interiore e rispetto della nostra natura profonda, dare la vita per i fratelli.
Non un dovere esterno, non un comando che non è già nel tuo cuore.
Se adempi a questa spinta interiore, a questa possibilità, a questo dovere, tu sei in grado di vedere i Cieli aperti.
Dunque è nella Carità viva e reale, a similitudine di quella di Cristo,
che tu compi e vivi ogni atto liturgico
ed entri "nell'Opera di Dio".
Avere cura della Sacra Liturgia è avere cura dell'Amore,
ed avere cura dell'Amore è avere compreso la Sacra Liturgia
ed entrare a piene mani "nei Cieli aperti"
nell'Opera di Dio, nell'Ergon tou Theou.
Il non comprendere è fondamentale nel cammino di fede. Vocazione del singolo e della famiglia.
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La Famiglia di Nazareth ha due sposi di eccezione: Maria Immacolata, progrediente di santità in santità nel dono ricevuto (serbava tutte queste cose meditandole nel Suo Cuore) e Giuseppe, uomo giusto davanti a Dio, affidabile, fedele, silente, generoso e pronto a tutto.
Eppure questi due colossi unici di santità e grazia non comprendono le parole adeguate e giuste del giovane Gesù.
Bene, proprio questa “non comprensione” è l’aspetto più importante del loro peregrinare nella fede, sia personalmente che come sposi.
La non comprensione in noi genera fughe, addomesticamenti, ribellioni, mormorazioni, palliativi di ogni genere, intellettualizzazioni, psicologismi, vanità.
In loro, in Giuseppe e Maria, genera lo “stare con Gesù”.
E questo “stare con Gesù”, non comprendendo, permette a Gesù di crescere in età e grazia a Nazaret, cioè con caratteristiche nascoste ben precise, e permette a Gesù di servirli meglio, stando sottomesso.
C’è dunque più santità ed amore in questo “non comprendere” che in tutto ciò che Maria e Giuseppe hanno compreso,
perché nulla, ma proprio nulla,
è più grande dello “stare” con Gesù, nella resa di sé (personalmente e come coppia) e nel non cercare la soddisfazione dell’intelletto che cercare, piuttosto, la soddisfazione profonda di un cuore umile.
Di un cuore “scientifico” che vede, ciò che vede, nello Spirito Santo e, sovente, nell’aridità del deserto e nella lingua secca attaccata al palato, incapace di parlare, come un coccio arso dal sole (Sl. 22,16); in cui le lacrime sono la sola irrorazione (Sl. 42,4).
E come ha scritto un nostro collaboratore: “Ecco perché la Sacra Famiglia è "sacra". Non solo perché ha Gesù, non solo perché "custodisce" Gesù, ma anche perché lo fa crescere dentro di sé come la cosa più preziosa nell'incipit e nell'orizzonte delle "cose" del Padre.
Qui, nella custodia e nell'occuparsi delle "cose" del Padre con e come Gesù, sta la vocazione di ogni famiglia che diventa anch'essa "sacra" tanto quanto rispetta questa chiamata e dunque, in definitiva, rispetta sé stessa.”
Occupiamoci dunque, con Gesù, magari non comprendendo, anche noi delle cose del Padre.
È il perno, l’onore, il compito e la gioia profonda,
di ogni famiglia.
La vera mistica
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"Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò"
(Gv. 20,5)
La grandezza di San Giovanni apostolo è tutta racchiusa in questo gesto di onore e di rispetto verso i misteri Redentivi e verso Pietro, scelto da Cristo.
Grazie a questo gesto l'apostolo manifesta la sua retta coscienza che lo portò, dopo la Pentecoste, ad immergersi nei misteri cristologici che aveva esperienzialmente vissuto e a trarne sistematizzazione teologica nella catechesi del suo Vangelo, con il glorioso e contemplativo Prologo e nel corpus catechetico, nelle lettere e nel testo della Rivelazione.
In questo fu aiutato da un rapporto unico con la Madre di Dio che, indubbiamente, trasmetteva all'apostolo, per comunione, gli altissimi misteri e lo slancio contemplativo.
Maria compie la contemplazione, la sempre Ancella Scientifica.
L'amore arriva sempre prima e più velocemente di ogni legge, purché sia amore vero, quello che ha "toccato la vita", per intenderci, e dunque, se autentico, si ferma e attende Pietro.
Questo amore è frutto dell'esperienza vera, trasformante e toccante di colui che "tocca la vita" e ne viene intimamente e continuamente trasformato.
La gioia perfetta comunica questa esperienza e non la conserva per sé gelosamente ma ne fa partecipi i fratelli.
La gioia perfetta si verifica dal fatto che Giovanni attende sempre Pietro.
La mistica, intuizione nell'amore, serve la Chiesa se è umile; se crede che la propria coscienza può anche ingannarsi e crede più in Pietro che in sé stessa.
Di questa azione dello Spirito egli ha bisogno più della pacificazione e del narcistico arrotolarsi della sua coscienza.
Più di ogni intuizione. Più di ogni carisma.
Certo, questo... se veramente ha "toccato" il Verbo della vita.
C'è infatti il rischio che quella che sembra essere una visione mistica sia solo "un rigurgito ferito di vanità".
Che quella che sembra essere una luce di rivelazione sia una superbia molto, molto sottile. Che inganna sé e molti.
Se dunque la coscienza è il sacrario ultimo dal punto di vista operativo non lo è dal punto di vista valoriale.
La coscienza sana riconosce l'azione dello Spirito nella Chiesa, nel Papa e nei pastori,
come azione più grande di ogni intuizione personale.
Questa scelta, seria e consapevole, è lucidissima e tutt'altro che omologata.
Anzi è un'offerta di sè chiara e potente alla luce del cammino di Gesù. È la cristificazione compiuta. È il vero amore alla Chiesa.
Questo, Giovanni, e ogni "Giovanni" nel tempo, lo sa bene.
Per questo, se è stato toccato dall'amore, aspetta Pietro ed entra per secondo per vedere e credere.
Giovanni non avrebbe potuto vedere e credere se fosse entrato per primo.
Anzi si sarebbe ingannato.
Ma ha visto e creduto perché è entrato dopo Pietro.
Con la sua fede preventiva nella Chiesa ha rivelato la gioia perfetta di un cuore umile e posto le basi autentiche del sano discernimento.
Francesco di Assisi, chiamato così dal padre, fu chiamato inizialmente Giovanni, dalla Madre. Per questo il poverello, sempre minore, pur affiancato dall'iconografia postuma a San Giovanni il Battista, per evidenti motivi ecclesiali e contingenti, aveva assunto tutte le caratteristiche amanti dell'apostolo amato.
Seguono l’Agnello dovunque vada
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"Essi sono coloro che seguono l’Agnello dovunque vada."
(dalla prima lettura del giorno, Ap 14,1-3.4b-5)
E come puoi seguire l'agnello prontamente se non essendo
tu stesso
libero agnello dai fardelli della disobbedienza
del risentimento
del rancore
dei vizi
e delle cattive abitudini?
Quando sentiamo durante la Santa Messa:
"Ecco l'Agnello di Dio"
tra la distrazione di chi continua a scambiarsi
il "segno della pace", come fosse, tra l'altro, un impegno nostro
più che una fruizione di un dono..
ebbene quando sentiamo: "Ecco l'agnello di Dio!"
dovremmo cadere tramortiti a terra.
E se questo non è possibile
consideriamo che vi sia uno slancio dell'essere.
La pace di Cristo regni nei vostri cuori
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"La verità va cercata, trovata ed espressa nell'« economia » della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità." (Caritas in Veritate, 2)
Un appello alla Comunione
quello scaturito dalla Solennità odierna.
E dove la comunione non è possibile
per tanti motivi
rimane pur vero che ad essa occorre obbedire.
Come?
Chiedendola incessantemente come dono dall'alto
prima che come nostro sforzo.
E poi riconoscere che Dio, che è buono, fedele
e non inganna nessuno,
non manca di donare quello che chiede
e che, tale dono,
sorpassa non solo ogni intelligenza ma anche ogni limite.
Dio regna anzitutto nella nostra Resa
alla Sua Signoria.
La prima apologetica è con sé stessi.
La prima Signoria è nel cuore del tuo cuore
fino a raggiungere, capillarmente
ogni tua cellula, perché sia glorificata
nella Sapienza di Cristo Re.
Amen, gloria, azione di grazie, potenza e forza
al nostro Re. Amen.
“La mia casa sarà casa di preghiera”
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(Dal Vangelo del giorno, Lc 19, 45-48)
La Parola non è solo per il tempio esterno
ma anzitutto per il tuo tempio, per te e per il tuo cuore.
Ed allora scopri che occorre veramente che Cristo prenda un frustino e cacci da te, con la tua collaborazione decisa,
ora e come habitus,
tutte le parti di te che fanno mercato,
che rubano,
che dissipano,
che si difendono pensando che fuori di te è il problema,
mentre invece il tuo tempio, il tempio della tua persona,
è stato affidato ad una spelonca di ladri
che lasci agire indisturbati
con la veste spiritualizzata di fare cose immonde
nel tempio che ti è stato affidato.
Dovresti chiedere perdono anche per il bene che compi
ogni giorno.
"Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode;
poiché non gradisci il sacrificio
e, se offro olocausti, non li accetti.
Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.
Nel tuo amore fa grazia a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
Allora gradirai i sacrifici prescritti,
l'olocausto e l'intera oblazione,
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare." (Sl. 50,17-21)
Vigilante e gioioso nello Spirito Santo
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Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.» (Mc. 13,24-31)
La fine del mondo non è il compimento di una catastrofe,
non è la fine di tutto o se preferite dell'inizio del nulla,
non è la fine dell'unica vita che abbiamo, da giocarci,
ma è il compimento di ogni speranza che va al di là e al di sopra di ogni nostra attesa:
il tutto avverrà in una pienezza che va al di là di ogni nostra immaginazione. Il compimento della gioia.
Questo è, e deve essere, il pensiero del credente, dell'uomo di fede riguardo all'evento apocalittico della fine del mondo. La bocca del credente deve sempre essere pronta a dare voce all'invocazione di colui che vive in questo mondo come in esilio in attesa di "cieli nuovi e terra nuova":
"Maranàthà, vieni o Signore Gesù"!
La fine del mondo è la meta agognata,
il fine talmente desiderato che San Paolo sperava avvenisse mentre lui ancora era in vita.
E' l'incontro della sposa - cioè noi singolarmente e come Chiesa - che nello Spirito Santo grida:
"Vieni",
e lo sposo che risponde: "Sì, verrò presto" (Ap 22,17).
Per fare in modo di assumere questo atteggiamento, di avere in noi questo "modus pensandi e vivendi", questo modo di vivere e pensare,
dobbiamo rimanere in uno stato di vigilanza gioiosa.
Solo colui che vigila e conserva nel cuore la gioia prepara il suo cuore all'attesa dell'evento del ritorno di Gesù:
il tempo che abbiamo è un dono prezioso e non possiamo sprecarlo!
Lasciamoci andare alle ispirazioni dello Spirito;
ma non a quelle ispirazioni che si rivestono di spirituale ed alimentano l'ego come falsa estasi e delirio animistico.
Piuttosto quelle ispirazioni delicate, quei sussurri che non cercano compiacimento altrui o proprio,
nella vita e tantopiù nei mezzi di comunicazione,
ma quelle che cercano il compiacimento dello sposo.
Il Suo sguardo e che in questo sguardo si perdono per ritrovarsi.
Sii vigilante e gioioso.
Se senti il desiderio di farlo, mettiti ora in preghiera, in comunione con Gesù.
Se desideri adorarlo nel Santissimo Sacramento, cogli l'attimo e corri, vola davanti al Santissimo.
Se senti il desiderio della prostrazione a terra
non indugiare e sdraiati nella tua pochezza.
Se cadi in ginocchio, non indugiare.
Se sgorga il pianto non trattenere le lacrime.
Se erompe la lode
guarda a Lui e ringrazialo perché Egli è.
Dobbiamo imparare a non rimandare a dopo ciò che lo Spirito ci chiede di fare ora.
E se questi sussurri avvengono durante la Santa Messa dove ci sono i ritmi dei gesti comunitari?
Volentieri, nel nome dello Spirito, sacrifica questi gorgoglii, questo fiume di grande acque che lo stesso Spirito ha suscitato.
Perché grande frutto, per sé e per il Regno, porta il carisma che sacrifica ogni carisma.
Perchè questi impeti dello Spirito non cesseranno ma si manifesteranno a tempo opportuno. Magari nel segreto della tua stanza, quella che vede il Padre.
L'ascolto della richiesta dello Spirito ci riporta ad una condizione simile di Scienza preternaturale,
ad una innocenza perduta,
ad una obbedienza dimenticata,
ad una gioia immarcescibile.
E' un esercizio che ci fa crescere nel dominio di noi stessi e appunto nella vigilanza.
E, soprattutto, ci fa permanere nella gioia di Cristo, quella vera, più forte delle nostre tristezze e delle nostre accidie:
"Maranàthà, vieni o Signore Gesù"!
PiEffe
Tu sei il Fariseo
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“Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze.
Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore” (da Dt 6,2-6)
Qual è la colpa dei Farisei?
Avere dimenticato la natura, l’essenza del comandamento.
Ora, se ben riflettiamo, questa non è la colpa di alcuni rigidi precettisti ma anche di quelli che, con linguaggio moderno, chiameremmo modernisti e progressisti.
Anzi è la colpa di tutti noi.
Infatti tutti rientriamo in questa colpa e meritiamo il “guai” del Signore.
La natura del comandamento di Dio è una sola: riconoscere con amore la Parola detta per Amore, anche se non si comprende.
Anzi. Soprattutto se non si comprende.
Ho parlato in questi giorni, come potevo, delle “proiezioni di Dio”.
Ed è qui il punto. La proiezione di Dio, magari accattivante, a volte comoda, a volte esigente, a volte terribile, a volte fatta di linguaggio rassicurante ed alla moda, è una proiezione che nasce da una sfiducia di fondo:
non voglio incontrare Dio, voglio possederlo,
cosificandolo e dunque riducendolo.
Questo non deve certo farci cadere in una dimensione apofatica della conoscenza di Dio perché Dio ha parlato e la Sua Parola è Gesù Cristo.
Purtuttavia occorre da parte nostra una resa, aiutati dalla grazia, una continua scarnificazione, che compia il gioiello dell’Ascolto, dello Shemà!
Perché Ascoltare non è atto solo uditivo. Non è atto solo intellettivo, ma atto d’amore che coglie il punto essenziale:
Dio chiedendo dona sé perché tu possa essere.
Altrimenti tu non diventi ciò che sei.
E tu comprendi vivendo il comando.
Egli ti ama unicamente e perfettamente perché tu possa essere, distinto ed in comunione nel Noi.
Dio ti dona con stupore, come all’inizio della creazione, perché tu possa vivere in quello stupore.
Ma non è fatto emotivo, ma profondo, effettivo; solido. La Santità è essere inseriti nella Gloria di Dio che un peso, una profonda ed unica sostanza.
Quella gioia solida, fondante, che si riceve nei Sacramenti, nell’Ascolto onesto della Parola, nello stare in ginocchio davanti all’Eucarestia.
Ascoltare ed obbedire è dunque una cosa sola e si comprende solo nell’amare l’Amore e nel farsi amare dall’Amore, soprattutto ascoltando/obbedendo ad esso quando ci chiama a trascendere la natura verso il suo compimento nella grazia. Soprattutto nel lume intuito e non posseduto, nella fiammella tiepida e lontana; soprattutto nella scarnificazione delle certezze.
Solo così si innesta quel moto virtuoso nello Spirito Santo per cui si diventa figli e figlie, in continua maturazione, verso il Cielo.
Infatti
Gratia supponit naturam et perficit eam
Gratia supponit naturam et extendit eam
Gratia supponit gratiam et profectum in ea
Ascolta Israele,
se tu Ascolti,
tu Amerai, e dunque entrerai nel cuore di Dio,
con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.
Ecco cos'è il comandamento:
un dono del Cuore
per farti entrare in esso.
Paul Freeman
Il più radicale esorcismo
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"Addirittura (il demonio) vuole che tu lo accusi, vuole accollarsi lui stesso qualunque tua recriminazione, perché tu non faccia la confessione." (Sermoni 20, 2 , S. Agostino)
Se fossimo realmente attenti a richiedere,
cogliere e coltivare il dono dell'umiltà
con fiducia e resa
la confessione sarebbe pronta.
Questa è l'arte più difficile e più necessaria.
Perché tutti i nostri problemi nascono dal "senso di colpa" che nega e non porta alla "coscienza di colpa".
Il "senso di colpa" che colpisce i nostri bisogni profondi, legati all'Imago Dei, dell'identità e di amore, si difende nell'addossare ad altri il problema.
Il fratello, la sorella, il marito, la moglie, il prete, il papa... lunga è la catena quotidiana dell'addossare, del caricare ad altri nella lamentela del nulla.
Si addossa finanche al demonio, come dice Agostino.
E il nemico se la ride perché è riuscito nel suo intento.
Perché tutto questo è, sovente, una distrazione ed una fuga. A volte compiuta in vari modi per una vita intera. Perché sì su una cosa siamo virtuosi: sulla fuga.
Mentre l'uomo che scopre di essere radicalmente amato dice: "Sono io quell'uomo!", come Davide.
Più è profonda la confessione, nel roseto spinoso, più si riesce finalmente a vedere.
E così si compie il più radicale esorcismo possibile, dentro e fuori di sé.
Ma, soprattutto, si compie sempre meglio ciò per cui siamo stati amati, creati, redenti: la possibilità di amare, senza riserve e, finalmente, liberi.
Pieffe
Così, con questo sorriso, si fa la storia della Chiesa
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«Nudo uscii dal grembo di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
sia benedetto il nome del Signore!» (dalla prima lettura del giorno, Gb 1, 6-22)
Sono rivestito solo dell'infanzia spirituale.
Così, con questo sorriso, si fa la storia della Chiesa.
I 5 punti della buona meditazione
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Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno»
- dal Vangelo del giorno, Lc 9, 18-22 -
La consapevolezza rivela la divinità del Cristo di Dio.
Egli è presente a sé stesso di ciò che vivrà
per intensità inarrivabile:
sofferenza inenarrabile,
rifiuto inspiegabile da chi aveva la grazia per discernere,
rifiuto drammatico dai suoi,
deicidio
e Resurrezione gloriosa.
La meditazione quotidiana di questi cinque punti è un cammino di perenne Direzione Spirituale per ciascuno e per la comunità.
Perché pregare il mattino presto
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"Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni." (Sl. 90,14)
Il perchè pregare presto al mattino te lo dice la Parola stessa
che ti conosce più di quanto tu ti conosca
e ti porta dove tu, da solo, non andresti mai.
Ascoltare è mettere in pratica
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«Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Dal Vangelo del giorno, Lc 8, 19-21)
Per l'uomo della Bibbia, l'uomo e la donna di Dio,
ascoltare e mettere in pratica non sono due momenti separabili
ma retorica descrittiva, e rafforzativa,
di un unico gesto di amore
che trova nell'Amore la sua stessa ragione d'essere.
".. perché chi entra veda la Luce"
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".. perché chi entra veda la Luce"
(Dal Vangelo del giorno, Lc 8,16-18)
Indegnamente, radicalmente indegni,
siamo Teofori, portatori di Luce.
Di quella Luce che ci ha investito
con la Sua Bellezza.
Non tratteniamola
e ridoniamola con tutte le opere di Misericordia
per non essere trovati ladri e mancanti.
Induriti e sterili.
Perché la Luce non è nostra
e deve circolare.
"Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti"
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"Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti" (Mc. 9,35)
Francesco di Assisi, il santo della minorità, aveva ben compreso che l'essere "minore" è una condizione dinamica non statica.
C'è sempre qualcuno di cui essere minore, servo.
C'è sempre una situazione in cui si è chiamati a servire.
La minorità non smette mai di cercare l'ultimo posto.
E quando non le è possibile, vive con il massimo distacco ogni "prestigio e ogni onore" non considerando il "privilegio" come un diritto ma come un regalo e, nel contempo, cerca di condividere questo regalo con i fratelli.
La minorità infatti ha ben presente che l'unico prestigio è appartenere a Cristo.
I figli della Sapienza
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«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.
È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.
Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli» (Lc 7, 31-35)
Lei è colei che sta, nell’itineranza del peregrinare.
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Sommo Amore
somma compassione
sommo dolore
somma donazione
somma vocazione.
Read more: Lei è colei che sta, nell’itineranza del peregrinare.
Santa Monica, Mai scoraggiarsi di fronte al rumore del male e mai amplificare tale rumore
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Fernando Álvarez de Sotomayor, Sant'Agostino e Santa Monica
(sull'autore del dipinto)
".. È impossibile che un figlio di tante lacrime vada perduto” (s. Agostino parla della Madre, Confessioni, Libro III, 12.21)
".. a volte si ha una sorta di timore del silenzio, del raccoglimento, del pensare alle proprie azioni, al senso profondo della propria vita, spesso si preferisce vivere solo l’attimo fuggente, illudendosi che porti felicità duratura; si preferisce vivere, perché sembra più facile, con superficialità, senza pensare; si ha paura di cercare la Verità o forse si ha paura che la Verità ci trovi, ci afferri e cambi la vita, come è avvenuto per Sant’Agostino”. (Udienza generale, 25 agosto 2010)
Il male non "gode" solo del tuo fare il male e compiere i peccati
ma anzitutto dello spegnere la Speranza che è in te, nel trascinarti nell'abisso.
Davanti ai mali tuoi e della Chiesa è da stolti amplificare tale rumore e non farsene carico con la virilità e la maternità che l'Amore comporta.
Con il cercare cavilloso e, se si è onesti, anche narcisistico, la verità, si obnubila la Verità della Speranza e non vi si fanno entrare i piccoli.
"Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare." (Mt. 23,13)
Perché la Verità non è data solo dai fatti ma dai fatti visti con Sapienza.
Uno pensa di vedere e di ragionare ma in realtà non sta né vedendo, né ragionando, perché gli manca il collirio e gli manca il giusto respiro.
E chi sono i piccoli? Sono i bambini?
Non solo.
Sono anche i deboli nella fede, i feriti sul campo, i feriti perché nessuno li ha mai veramente amati con cuore di padre e di madre. Gli smarriti.
Anche il tuo cuore ha delle zone che lo rendono un "piccolo" del Vangelo e a cui devi il "pane della Speranza".
Allarmismi, chiacchiere, litigi, fazioni, inimicizie, mormorazioni, detrazioni, millenarismi,
tutto rumore a cui spesso si risponde con la dissipazione.
Monica ci insegna un'altra via
e dobbiamo essere grati anche a Lei
se abbiamo avuto Agostino.
PiEffe
La Parola di Dio e la Grazia trasformano il cuore dell’uomo
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«Figlio dell’uomo, ecco, io ti tolgo all’improvviso colei che è la delizia dei tuoi occhi: ma tu non fare il lamento, non piangere, non versare una lacrima. Sospira in silenzio e non fare il lutto dei morti: avvolgiti il capo con il turbante, mettiti i sandali ai piedi, non ti velare fino alla bocca, non mangiare il pane del lutto» (Ez. 24,16-17)
- La Parola compie ciò che chiede, purché accolta con cuore umile da discepolo. Non importa quale sia la tua conoscenza nozionistica di essa o della teologia. Più e alta più deve immergersi nella consapevolezza, altamente reale, di essere un nulla di nulla nelle mani del Padre. Quest’ultima infatti è la vera conoscenza, fine della compunzione. La Parola co-muove, profondamente. Nasce e si compie nella Grazia Liturgica e Sacramentale.
- La Parola addomestica e ridisegna i contorni del cuore. Della tua affettività, delle emozioni, del tuo io profondo giungendo fino alle midolla, per tirare fuori il vero sé, quello bello ed immacolato, uscito dalle mani di Dio per farlo germogliare senza difese e fughe.
- La Parola ti compie non senza di te e non senza passare per il crogiolo che raffina. Le cose di Dio sono gratuite ma infinitamente preziose e necessitano di questa coscienza che le valuta per quello che esse sono: il tesoro dei tesori, sopra ogni tesoro e sopra ogni desiderio. Lo Spirito del Signore è leggero come un venticello, come una velina delicatissima e non sopporta la vanità.
- La Parola ti dona esperienza perché tu sia credibile. Nessuno annuncia con efficacia, in Spirito e Potenza, se non passa per la via stretta della ridisegnazione di sé nella Grazia. Quello che vivi, nei misteri di Cristo, ti rende autentico.
- La Parola è per te e per molti. La tua esperienza è per te e per molti. Per tale motivo il cammino di discepolato è un cammino di autenticità. E più si cresce nel cammino più si è consapevoli che occorre chiedere perdono anche del bene che si compie.
Laeti bibamus sobriam profusionem Spiritus
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“Non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore” (Ef 5,18-19)
C’è differenza. “Uscire fuori di sé” non è come “uscire fuori da sé”. In entrambi le situazioni si appare extatici, talvolta febbricitanti.
Ma mentre la prima situazione nasce dall’ubriacatura del vino delle passioni. Di qualunque passione, persino alcune passioni sane, magari le passioni che nascono dal sapere e saper argomentare, possono essere pervertite e pervertire il "da sé" trasformandolo nel "di sé". Ogni passione rischia la ferita nell'involuzione dello sguardo. Compresa l'ubriacatura dei mezzi affascinanti, di per sé neutri, come internet ed i social. L’altra invece, l'uscire fuori "da sé" ripercorre quel moto inaugurato da Dio nella Sacra Liturgia, cioè quella sobria extasi che porta fuori da sé per guardare il Tu ed il tu e riporta la persona a comprendere chi essa è. E spesso nasce e si compie a Betlemme ed a Nazareth. Senza alcun riflettore e con scarne informazioni.
Anzi chi comprende questo, o perlomeno lo intuisce, ricerca il nascondimento non per fragilità dell'io e per quella falsa umiltà che è una truffa (un rubare sopraffino) ma pe coscienza del proprio sé malato e si espone solo per obbedienza, con l'unico scopo cosciente di dare gloria Dio e a Dio solo.
È uno sguardo non sul sé ma sul Tu di Dio e sul tu del fratello e della sorella.
Non cerca il trend dell'autodeterminazione ma cerca di farsi fare da Dio che solo compie l'umano da Lui tanto amato e desiderato.
Senza questo sguardo sanamente estatico, sobrio, reale, attento, presente (“Non hanno più vino!”), che si prende cura, persino della gioia altrui, non vi è bellezza.
È questo sguardo che beve alla sobrietà del vino dello Spirito (come indicato nel testo proposto a titolo di S. Ambrogio) che ci apre al rendere viva la vita battesimale che scorre in noi.
Ci si apre al Bene.
Al Bene comune e dunque, anche alla vita politica, intesa come carità effettiva per il bene della Polis.
Attenzione a discernere bene, specie le ipocrite mascherate spirituali che il nostro cuore compie, rivestendosi superficialmente di “fuori da sé” quando invece siamo ancora nella fase, animale e legata alla terra, dell’uscire “fuori di sé”.
Perché l’io comanda e si maschera affannosamente, una vita intera, con mille strategie, pur di non perdere le proprie fallacie certezze e non farsi "scarnificare" dal Padre.
Volentieri inganna sé stesso pur di non rischiare fino in fondo per Cristo ed i suoi misteri.
Arriva persino a "bruciare il proprio corpo" con molteplici impegni, conferenze, libri, scritti, immagine pubblica e notorietà, pur di sostenere le stampelle corrotte dell'io.
Ripetiamo, uscire fuori di sé per ubriacatura non è come uscire fuori da sé per ebbrezza spirituale.
Nel primo caso ci si perde e ci si riempie di vuoto sotto l’apparenza di soddisfazione.
Nel secondo caso uscendo da sé, per Lui, con Lui, in Lui, nella ferialità scardinante di Nazareth, ci si riempie dell’unico cibo che sazia.
Infatti, come ricorda il Vangelo
“.. colui che mangia me vivrà per me”. (Gv. 6,57)
Ed qui la vera allegria e gioia;
che nessuno e niente può togliere.
PiEffe
Sant'Elena
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Sant'Elena ebbe un ruolo fondamentale, forse è stata lei a contribuire alla conversione, poco prima di morire, del figlio. (santiebeati.it)
L'epoca costantiniana, con luci ed ombre, dev'essere forse recuperata e rivalutata. Troppo spesso si guarda ad essa, almeno in alcune aree del cattolicesimo, non scevre da neo manicheismo, di sinistra o di destra, come momento di Teologia Politica e degrado della purezza delle origini. Della commistione di Chiesa e potere, comunque nefasta. In ogni tempo.
Forse, anche quest'epoca, come altre, è stata strumento della Provvidenza, in parte consapevole, di innestare le radici della Chiesa.
Non solo quelle mondane, che mutano e di cui è bene scrollare di dosso le miserie, ma quelle più autentiche e più profonde che non mutano con il tempo.
Riconciliarsi con la storia e vederla con uno sguardo attento ma anche sapiente ci aiuta (sia nella storia personale che macroscopica) a cogliere la comunque presente mano della Provvidenza e a non disprezzare la mano del Padre presente in essa, seppur a volte velata dalla ferita e dal peccato dell'uomo.
Ovvio che questo sguardo è prima che un atto della volontà ed una scelta, un dono, da chiedere sempre.
Non vive di nostalgie ma di claritudine.
Sapiente, a tal proposito, la testimonianza di Claudia Koll ad una vecchia intervista: "Come vede ora il suo passato di attrice erotica?",
rispose Claudia Koll: "Con tenerezza".
Con tenerezza, non con giustificazione.
Rompere con il peccato ma non con il bene seminato nella storia, personale e comunitaria, microscopica e macroscopica, fatto anche di aneliti e richieste disordinate, che necessitano di essere orientate dalla grazia e dalla disciplina nella grazia,
è uno dei modi per Lodare Dio e riconoscere che Egli Regna,
nonostante noi.
E auguri di cuore di Buon onomastico a mia moglie Elena Francesca, alla nostra piccola Maria Elena e a tutte coloro che portano questo glorioso e meraviglioso nome.
Forza care donne aiutate la conversione di ogni Costantino presente nei vostri passi.
".. vi sono eunuchi che.. si sono resi tali per il regno dei cieli"
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Almeno cinque punti:
1 - Occorre avere "conosciuto" il "Regno dei Cieli" tramite chiamata, gusto, desiderio, internalizzazione e prospettiva
2 - Occorre essere "virili", altrimenti perché ci si fa eunuchi?
3 - Visto il contesto della pericope non riguarda solo i "celibi" o i vergini ma anche i coniugati, nel rispetto della loro chiamata procreativa ed unitiva. No ad ogni forma di adulterio, fisico, mentale, distrattivo.
4 - È vero si parla di eunuchi ma le donne non sono esentate dalla chiamata, al gusto, al desiderio ed alla prospettiva del Regno. Sia come Vergini che come Spose. Secondo la loro specifica bellezza ed unicità. Per le donne la virilità non significa che debbano essere "amazzoni ferite" o dei maschi con l'apparato genitale e riproduttivo femminile, ma che debbono/possono essere nella pienezza consapevole della loro integrità femminile e potenzialità psico-fisica, nonché spirituale. Per il Regno.
5 - Tra i vergini ve ne sono alcuni ed alcune che, pur volendo e potendo, con più o meno consapevolezza, non hanno trovato la compagna o il compagno. O che hanno subito un lutto esperienziale ed un abbandono. Tale parola illumina anche loro purché il Regno dei Cieli rimanga il fondamento e la fonte della loro condizione.
“Caro salutis est cardo” (*)
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Ma se la Sua venuta nella Carne è stato pensiero di Dio dall'Eternità
Ma se la Sua Venuta nella carne è stata oggetto e visione dei Patriarchi, dei Padri e dei Profeti
Ma se il Verbo si è fatto carne
nel seno di Maria,
Se Egli si è donato con la Sua vita nascosta a Nazareth
e, poi, apertamente, per le strade con la predicazione
Se Egli ci ha donato di vedere il Padre
Se Egli si è donato con l'Eucarestia
Se Egli ha sofferto Passione e Morte
Se Egli è Risorto dai morti
Se Egli è asceso al Cielo e ci ha preparato un posto
Se la Sua Madre Beatissima è diventata nostra Madre
ed è stata Assunta al Cielo..
quanto è preziosa la nostra Carne per Dio?
* (Tertulliano, De carnis resurrectione, 8,3: PL 2,806)
Anche dall'orgoglio salva il tuo servo
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"Anche dall'orgoglio salva il tuo servo *
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile, *
sarò puro dal grande peccato." (Sl. 19,14)
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La "fascinazione" che il diavolo compie non è manichea,
ma subdola.
Quella di illudere il "fedele" che compiere bene il male
renda il male un bene.
Ed è fascinazione che compie da Gen. 3 ingannandoci e legando tale distorsione alla stima di sé, al "bisogno di identità".
Purtroppo tale inganno produce il primo infausto effetto non solo distorcendo il principio ed il valore che da esso deriva, ma anzitutto disordinando, dal di dentro, il cuore dell'uomo.
Amplificando la ferita con l'illusione di guarirla.
E l'uomo è sempre più mendico di bene
e sempre più lontano da Dio
e più vicino al suo io ferito e malato.
E più si avvicina al sé ferito
più si allontana dal suo vero sé.
Davanti al peccato più evidente e grossolano
questa è opera sopraffina
che porta le vestigia del "grande peccato".
Fuit mira mutatione commotus
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Gratia supponit naturam et extendit eam
Gratia supponit gratiam et profectum in ea
Allora, sospirando, Tommaso gli confidò: «Reginaldo, figlio mio, te lo dico in segreto, ma ti proibisco di rivelarlo ad alcuno finché resterò in vita. Il mio scrivere è giunto al termine, mi sono state rivelate, infatti, cose tali al cui confronto ciò che ho scritto e insegnato mi sembra ben poca cosa (palea est: è paglia); per questo confido nel mio Dio che, così come è giunta la fine del mio scrivere, giunga presto anche la fine della mia vita» (Gugliemo di Tocco, Storia di san Tommaso 47)
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La Natura compie ordinariamente i salti per cui è predisposta.
Come spesso ho scritto, ho "ampliato" lo stichwort tommasiano "Gratia supponit naturam et perficit eam"con i seguenti:
Gratia supponit naturam et extendit eam
Gratia supponit gratiam et profectum in ea.
Solo sintesi formale di quanto già presente in Teologia, Fondamentale e Spirituale.
Non potevo che arrivare a questa sintesi come figlio di Francesco e lettore di San Bonaventura.
Questo è accaduto a Tommaso d'Aquino e questo ricorda il Vangelo di oggi:
"Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre..
Io sono il pane della vita...
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo." (Gv. 6,44.48.51).
ed ancora
"Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.
Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Gustate e vedete com'è buono il Signore;
beato l'uomo che in lui si rifugia." (Dal Salmo 33)
ed ancora
"Fratelli, non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione." (Ef. 4,30)
La fede non è un esercizio della mente o una serie di pratiche, la fede è cuore di bambino amoroso,
è nudità che coglie Gesù nudo che si dona. (cit. Elena Francesca)
Anzitutto come Pane e Sangue della Vita.
Importante la forma? Certo.
Importante conoscere contenuti e saperli esplicitare? Certo.
Ma sopra ogni cosa quello che conta, che è appunto principio e culmine, è la Santa Devozione, cioè l'intima coniugalità con Dio,
da cercare e difendere sopra ogni cosa.
Talvolta anche da sé stessi.
Perché la nostra parte malata e ferita, sempre presente,
non comprende che per pronunciare "io" deve prima pronunciare con stupore "Dio!".
Solo dimenticandosi e morendo a sé troverà il sé.
Solo mirando, lodando, glorificando Dio
ciascuno saprà chi è e sarà compartecipe dell'edificare il "noi".
Difendiamo lo "spazio" della Grazia, dunque, come il bene sommo per cui ci è dato di camminare su questa terra e restituirlo ad ogni volto.
Perché la Carità deve circolare,
nel pudore.
Custodiamo la nostra bocca
perché possa accogliere il Pane che ci rende ciò che siamo e ci porta al nostro destino.
"Noi costatiamo che la grazia ha maggiore efficacia della natura, ma la grazia della benedizione profetica è ancora superiore. Se poi la parola del profeta, cioè di un uomo, ha avuto tanta forza da cambiare la natura, che dire della benedizione fatta da Dio stesso dove agiscono le parole medesime del Signore e Salvatore? Giacché questo sacramento che tu ricevi si compie con la parola di Cristo. Che se la parola di Elia ebbe tanta potenza da far scendere il fuoco dal cielo, la parola di Cristo non sarà capace di cambiare la natura degli elementi? A proposito delle creature di tutto l'universo tu hai detto: «Egli parla e tutto è fatto, comanda e tutto esiste» (Sal 32, 9). La parola di Cristo, dunque, che ha potuto creare dal nulla quello che non esisteva, non può cambiare le cose che sono in ciò che esse non erano? Infatti non è meno difficile dare alle cose un'esistenza che cambiarle in altre." (Dal Trattato sui Misteri di S. Ambrogio, Vescovo, Nn. 52-54. 58)
Dio costruisce in maniera salda le relazioni e le conferma. Tu hai bisogno di essere salvato dal predatore.
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“Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
Invano vi alzate di buon mattino,
tardi andate a riposare
e mangiate pane di sudore:
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno.” (Sl. 126,1-2)
Essere piccoli significa essere intimi delle processioni trinitarie
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Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (Mt 11, 25-27)
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Il "guai" biblico un avviso che scaturisce dal Padre e che genera il movimento del ritorno
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«Guai a te, Corazìn! Guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a voi, già da tempo esse, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché, se a Sòdoma fossero avvenuti i prodigi che ci sono stati in mezzo a te, oggi essa esisterebbe ancora! Ebbene, io vi dico: nel giorno del giudizio, la terra di Sòdoma sarà trattata meno duramente di te!» (Mt 11, 20-24)
Le vostre mani avare, grondano sangue
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Contra Avaritiam
"Le vostre mani grondano sangue.
Lavatevi, purificatevi,
allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni.
Cessate di fare il male,
imparate a fare il bene,
cercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso,
rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova." (Is. 1,15-17)
"Chi non prende la propria croce e non mi segue,
non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà." (Mt 10, 38-39)
Il Padre vede ogni stanchezza
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C’è stanchezza che nasce dalla fatica, quella fatica onesta e quotidiana.
C’è stanchezza che nasce dai vizi e dai comportamenti che assecondano tali vizi e che può portare in discesa libera alla morte.
C’è stanchezza che nasce dalla dissipazione e dalla confusione.
C’è stanchezza che nasce da chi è assetato di giustizia e di verità e piange lacrime che consumano gli occhi.
C’è stanchezza di coloro che come pecore, senza pastore, non hanno punti di riferimento dove persino “il sacerdote ed il profeta vagano per il paese senza sapere cosa fare” (Ger. 14,18)
Eppure il Padre ha compassione.
Vede, si prende cura, è attento.
Da Lui la Vergine Madre ha imparato a dire “Non hanno più vino!” (Gv. 2,3)
Solo chiede che anche tu maturi il tuo cuore alla Sua misura. Non solo dicendo sì!
Non solo con la disponibilità personale ma, anzitutto, con la preghiera perché qui Egli concede operai, angeli, profeti, apostoli, apologeti, pastori, sotto spoglie, luoghi e tempi e modi, per te inaspettati.
Perché Egli, vede ogni stanchezza ed è Signore della storia. Di ogni storia.
La preghiera ti dona di vedere in questa vista, di desiderare in questo desiderio e di avere la compassione del Padre, resa visibile dal Cristo, perché diventi carne e vita.
Perché la Compassione del Padre scorra nelle tue vene e tu diventi figlio nel Figlio.
Solo chi esce dal mondo può uscire nel mondo
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Per uscire nel mondo, ognuno secondo propria vocazione, occorre uscire dal mondo
e non portarvi le nostre malattie, ferite e frustrazioni
Non si esce nel mondo con un travaso di vanità, di pavoneggiamenti, di sgomitate per gli spazi di attenzione e visibilità (mascherati da servizio) gridando "io, io, io.." pensando di parlare di Dio.
Piuttosto si parla di Dio secondo l'uomo rinnovato nello Spirito seminando frutti di donazione, di perdono, di amore e verità.
Portando Dio con la libertà profonda che viene da Dio e non dall'avarizia dell'io e dagli inganni della carne.
Si deve vedere il più possibile e senza ipocrisie a chi sei reso e consegnato.
Dare voce al profondo: mi consumo del desiderio di te grazie al Tuo desiderio di me
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Nephesh, in italiano, potremmo indicare così "la coscienza profonda", quella che lo Spirito (Ruah) ha dato all'uomo per essere ad Immagine e Somiglianza di Dio (bə-ṣal-mê-nū e del kiḏ-mū-ṯê-nū , Gn. 1,26); essa è il luogo del retto "concupire".
Tale coscienza lo pone al vertice della creazione perché l'uomo tramite questa peculiarità è più simile a Dio di ogni creatura.
Liberamente e razionalmente casto nell'aderire a Dio, sommo Bene, ogni Bene, Tutto il Bene.
Read more: Dare voce al profondo: mi consumo del desiderio di te grazie al Tuo desiderio di me
Non la fretta e l'abitudine
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Non la fretta e l'abitudine
ma lo stupore, il Timore, la Lode
di chi ha ri-avuto la vita per non morire più
come vibra e freme
un tubicino d'acqua percorso
al suo interno
da un fiume di acqua inarrestabile
come una fraternità immeritevole
che assiste attonita alla luce dell'Alba.
Mt 9, 1-8
"In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portavano un paralitico disteso su un letto. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati».
Allora alcuni scribi dissero fra sé: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa infatti è più facile: dire "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Àlzati e cammina"? Ma, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di perdonare i peccati: Àlzati - disse allora al paralitico –, prendi il tuo letto e va' a casa tua». Ed egli si alzò e andò a casa sua.
Le folle, vedendo questo, furono prese da timore e resero gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini."
La priorità
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ἀλλὰ μενοῦνγε καὶ ἡγοῦμαι πάντα ζημίαν εἶναι διὰ τὸ ὑπερέχον τῆς γνώσεως Χριστοῦ Ἰησοῦ τοῦ κυρίου μου δι’ ὃν τὰ πάντα ἐζημιώθην, καὶ ἡγοῦμαι σκύβαλα ἵνα Χριστὸν κερδήσω
Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza radicale di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come avanzo di porcheria inutile e putrida, al fine di guadagnare Cristo
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Come a dire
“Preferisco morire del lecito alla Luce di Cristo
per amore di Cristo e della Chiesa
che vivere il lecito alla Luce di Cristo
E se questo non sempre è possibile e conveniente,
sia presente almeno la tensione costante sulla Via di Damasco"
Se dici di Amare Cristo
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e fai germogliare l'appartenenza.
Solo allora potrai veramente essere fecondo e critico,
se necessario, perchè ciò che ti anima è sia l'amore e sia la risposta che dai, ogni giorno,
alla domanda di Gesù: "E tu chi dici che Io sia?"
Chiedi al Signore umilmente che tu possa incontrarlo sovente sulla via di Damasco perché tu possa conoscerlo sempre più e smettere realmente di perseguitare i tuoi fratelli.
Quali fratelli perseguiti, tu mi dici?
In certo qual modo tutti quelli che incontrandoti non hanno riconosciuto in te un Figlio di Dio, uno sposo di Cristo,
un figlio della Chiesa ma un lamentoso borbottante
incapace di lode e stupore
della gioia indicibile e nascosta,
animata dal realismo della Speranza.
Le due forme di empietà
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L’empietà ha sostenzialmente due forme. Quella propria di chi non crede, di chi non rivolge culto a Dio, ed è immediata e grossolana. Essa semplicemente, come ricorda l’apostolo è così strutturata nel variopinto caleidoscopio dell’anima pagana:
A poco serve celebrare una messa con l’altare rivolto ad Oriente se poi le nostre mani grondano di omicidio della Carità e non vivono l’urgenza mariana del “non hanno più vino”; di ogni tipo di “vino”.
A poco serve il salmodiare latino e gregoriano se la nostra lingua non è frenata nella mormorazione, nella detrazione, nella condanna. D’altronde a poco serve essere “papisti” se poi ci si perde nelle piccole battaglie, spesso radical-chic, e non si scorge l’urgenza dei “segni dei tempi”.
Ed ancora a poco serve se totalmente immersi nelle battaglie dei “segni dei tempi” perdiamo la Speranza, sia come dimensione Teologale che come dimensione orante e di totale resa e fiducia nelle Mani del Padre.
Nel secondo caso, similmente alla prima forma di empietà, ci si ammanta di quella ignobile furbizia in cui “Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà” (Lc. 12,47).
La volontà del Padrone, infatti, non è comando solo diretto ma legame di vero Amore.
E chi ama obbedisce speditamente perché è fuori di sé, pur essendo pienamente sé stesso. Questa è la Pietà.
L’accidia, infatti comporta l’uccisione della vita naturale e della vita di grazia e, come un baratro senza fondo, ingoia tutto nutrendosi persino della propria disperazione.
Che è già castigo in sé stesso.
L'umiltà è festa degli angeli
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La castità e l'integrità, intellettiva e morale, mossa dal perfezionismo e dall’amore malato di sé è portone spalancato alla Superbia. Alla festa dei demoni. L’umiltà, invece, tutto vince, perché tutto reputa un dono immeritato di Cristo. Ed ama il posto che Cristo dona come il migliore possibile.
"Quando lo spirito impuro esce dall’uomo, si aggira per luoghi deserti cercando sollievo e, non trovandone, dice: “Ritornerò nella mia casa, da cui sono uscito”. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende altri sette spiriti peggiori di lui, vi entrano e vi prendono dimora. E l’ultima condizione di quell’uomo diventa peggiore della prima»." (Lc. 11,24-26)
Angolo dell'orazione luglio 2017 - Apostolato della Preghiera
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Questo mese preghiamo per..
Evangelizzazione: "Per i nostri fratelli che si sono allontanati dalla fede, perché, anche attraverso la nostra preghiera e la testimonianza evangelica, possano riscoprire la vicinanza del Signore misericordioso e la bellezza della vita cristiana.”
Vescovi: “Perché la Chiesa con sollecitudine materna accolga i giovani e ne valorizzi le potenzialità."
Mariana: “Perché Maria ci ottenga la fedeltà anche nell’ora della prova e del dolore."
Bene comune: "Perché l'attenzione su Charlie Gard e la sua famiglia non sia solo mediatica e porti al miglior interesse del Bimbo secondo morale e diritto naturale, anche se questo dovesse contraddire le leggi degli uomini."
Del nostro Sito: "Perché i vescovi, ricolmi del massimo grado e grazia del sacerdozio,possano assumersi,
con amore,
responsabilità
e con coraggio, la cura del gregge loro affidato,
senza atteggiamenti e scelte che riconducano alla Sindrome di Giona
e ad accomodamenti con la mentalità del mondo".
Il sospetto sul Padre principio di tutti i mali
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Lo adorino tutti gli angeli di Dio
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"In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta." (dal Prologo Giovanneo, Gv. 1,1ss)
La sobria onnipotenza di Dio nei cinque modi del Suo svelare
Che meraviglia il nostro Dio!
Egli rovescia ogni desiderio di essere nella potenza con il nascondimento e la sobria presenza.
Egli che tutto può, sceglie di essere nella tenerezza.
Tenerezza che tutto è fuorché un sentimento melenso e sdolcinato ma piuttosto il fragore di grandi acque racchiuse nel seno di Maria e nel silenzio di Giuseppe.
Tutto il resto è vanità.
Questi i cinque modi nascosti che Egli ci consegna come Forma Vitæ.
Il primo modo è il silenzioso esserci tra noi, rivelando il Suo nome, nel seno di Maria, nell’incarnazione. Possiamo dire "sì" con Maria, ed allora qui si ripete il mistero, per quanto possibile.
Il secondo è quello della nascita povero tra i poveri ed i disagiati a Betlemme nel seno della Famiglia di Nazareth. Adorato anzitutto da chi sa riconoscere la presenza di Dio, colui che tutto può, con semplicità di cuore. Alla Sua Luce vediamo la Luce.
Il terzo modo è sulla Croce e nel mistero Pasquale che passa per il silenzio gravido del sabato santo. Sulla Croce vediamo come Dio è, perfettamente e compiutamente donato, in un traboccare che compie l’incarnazione e spalanca l’Eternità nel tempo. Il Sabato santo sono le doglie finali e la Resurrezione sono il fulgore della realtà che ci è consegnata.
Se nella tua carne cogli il Dio del terzo giorno, conosci; finalmente conosci, e non per sentito dire.
Il quarto modo è l’Ascensione. Gesù partito dal seno del Padre, ivi ritorna e con il Padre si nasconde. Asceso al Cielo si nasconde per lasciare lo Spazio all’azione di Bellezza, coerente tra le apparenti contraddizioni, dello Spirito Santo. È il tempo pneumatico dove l’azione dello Spirito può Cristificare i fedeli e rendere Mariana la Chiesa.
La docilità allo Spirito Santo è la sobria ebbrezza nello Spirito.
Il quinto modo è il Suo stare alla porta e Bussare fino alla fine dei tempi. Egli che è l’Alfa e l’Omega, bussa alla porta del cuore di ogni uomo e di ogni donna, e attende che noi gli apriamo. “Posso, sono il tuo Re, il Signore!”. E noi possiamo aprire al Re e proclamarlo realmente Signore della nostra vita: "Vieni Signore Gesù, Maranatha!"
Alla fine dei tempi sarà svelato questo unico sostenere ogni istante nella storia nella sobria presenza di Dio e il nostro destino angelico, poiché è scritto:
«Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Amen, amen, amen!
PiEffe
Fac hoc, illud devita
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"Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare."(Gv.21,7)
"In imo conscientiae legem homo detegit, quam ipse sibi non dat, sed cui obedire debet, et cuius vox, semper ad bonum amandum et faciendum ac malum vitandum eum advocans, ubi oportet auribus cordis sonat: fac hoc, illud devita." (Gaudium et Spes,16)
L'amore riconosce l'Amore e la "carne" lo segue con slancio.
Questo moto è il contrario della Lussuria, ed è il retto amore che precede e, nel contempo, segue una retta coscienza.
Perché cerca sempre, sempre, sempre di piacere a Dio e di dargli gioia.
Per questo, sovente, si pone in obbedienza e sottomissione, mortificando, come lo Spirito richiede nell'intimo e nelle situazioni, il suo uomo (o la donna) di carne e la sua vanità.
Qualunque vanità.
Cosicchè rimanga Cristo, il Signore, e il suo abbraccio di Risorto, che tutto sostiene.

Il segno dei chiodi
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che per l'eternità hai il segno dei chiodi
a perenne memoria d'amore..
fa che in essi veda
ciò che mi segna la carne e la vita
per vivere nella mia carne
come possibile
i tuoi misteri.
Oh, mio Dio!

Li amò totalmente sino al compimento
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“.. li amò totalmente sino al compimento” (Gv. 13,1)
… εἰς τέλος ἠγάπησεν αὐτούς.
I desideri, nel Desiderio Desiderato
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«Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi…»
(Lc. 22, 15)
Con desiderio ho desiderato
Ἐπιθυμίᾳ ἐπεθύμησα
Soliloquia: Le Parole di Dio compiono ciò che chiedono, ciò che comandano, ciò che esortano.
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Deponi,(ἔκδυσαι), o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria
che ti viene da Dio per sempre. (Bar. 5,1)
Sorgi (Ἀνάστηθι), o Gerusalemme, sta' in piedi sull'altura
e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti,
dal tramonto del sole fino al suo sorgere,
alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. (Bar.5,5)
Preparate (Ἑτοιμάσατε) la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri! (Lc.3,4)
Deponi, levati, spogliati dalla veste, dalla struttura della tristezza, e del lutto.
Alzati, Risorgi da morte, Levati in piedi e guarda l’orizzonte imminente di Dio.
Preparate, preparatevi, state pronti al cambiamento. Non attaccatavi alla vostre certezze ma a quelle che Dio vi dona. Magari stravolgendovi.
Il più bel regalo che possiamo chiedere a Dio e donare ai fratelli è proprio quello di mantenere lo sguardo fisso su l'Emmanuele e preparargli la via.
E questi gesti, consapevoli "dell'ora di Dio", avvengono nella liturgia e si riverberano nella vita.
Meno distrazione e più adorazione!
Meno social, più orazione!
Meno dissipazione, più sguardo contemplativo!
Meno lamentele, più gioia e speranza!
Perché possiamo essere “Ricolmi (πεπληρωμένοι) di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.” (Fil.1,11)
Addobbiamo la cameretta del cuore, personalmente e assieme, al Bimbo che viene, al Re dei Re.
"ecco faccio una cosa nuova, propria ora germoglia, non ve ne accorgete?" (IS. 43,19)
Ascoltare, dunque, non è un optional, un sovrappiù, non è neanche una consolazione spirituale,
ma l'essenza stessa della fede e il fondamento dell'attesa del Natale.
Umanizzare, divinizzare, cristificare il tuo desiderio profondo, la tua coscienza. Il tuo esserci.
Qui il catecumenato è dovere esistenziale.
Significa "fare il tagliando" a noi stessi per ri-entrare nella dimensione sapienziale della vita.
Significa trascendersi per opera di Dio.
Il massimo della discesa e del disarmo di Dio ha l’effetto della nostra massima ascesa e della nostra piena umanità divinizzata.
Se permettiamo alla grazia di esserne “ricolmi”.
Cogliere Dio in mezzo a noi, attenderlo e farlo nascere come il bene più prezioso.
Non in un'altra storia ma in questa storia; non in un altro momento, ma ora!
In questa umanità ferita perchè ricordi il suo vero, eterno, destino.
Non con mezzi umani ma con la povertà umile di riconoscere che tutto viene da Lui e procede da Lui;
come a Nazareth, come a Betlemme;
dove l'infanzia spirituale e la visione nella sapienza fa scuola, ritmo, habitus,
per i credenti e gli uomini di buona volontà di ogni tempo.
Veni, Veni, Emmanuel..
Paul Freeman
Continua ricerca dei beni eterni
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senza di te nulla esiste di valido e di santo;
effondi su di noi la tua misericordia
perché, da te sorretti e guidati,
usiamo saggiamente dei beni terreni
nella continua ricerca dei beni eterni. (colletta del giorno)
Continua ricerca dei beni eterni.
Dove hai il tuo cuore?
Dove hai i tuoi pensieri?
Dove hai i tuoi passi?
Non potrai essere cittadino della terra se prima non sei cittadino del Cielo.
Non potrai valorizzare ogni bene della terra e nemmeno ogni affetto
se non metti nell'altro piatto della bilancia della tua vita, l'Eternità.
L'Eternità, il volto di Dio in Cristo.
Non sarai fecondo, ovunque, se non ti fai permeare radicalmente, con violenza evangelica,
con gioia e speranza, dalla sobria ebbrezza nello Spirito.
Sobria, perché non ti appartieni,
Ebbrezza, perché santo, separato.. sei cittadino del Cielo ed hai nostalgia della tua Casa,
nello Spirito, perché è Lui che ti conduce fuori, verso l'altro, oltre te stesso per scoprire te stesso.
Da quello che cerchi e ricerchi, si scoprirà a chi appartieni.
Che io non celi il Tuo Amore
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gli orecchi mi hai aperto,
non hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato.
Allora ho detto: «Ecco, io vengo».
Ho annunciato la tua giustizia
nella grande assemblea;
vedi: non tengo chiuse le labbra,
Signore, tu lo sai.
Non ho nascosto la tua giustizia dentro il mio cuore,
la tua verità e la tua salvezza ho proclamato.
Non ho celato il tuo amore
e la tua fedeltà alla grande assemblea." (Sl. 39)
Celare l'Amore è un rischio di tutti.
Due sono i modi per celarlo.
O la celiamo per viltà.
Oppure lo celiamo, per la viltà nascosta, che è parlarne troppo.
In entrambi i casi la viltà ha la meglio. La prima perché è palesemente espressa,
la seconda, più pericolosa, perché abilmente nascosta. Spesso anche a se stessi.
Quello che invece non cela l'amore è la santità di vita, umile, feriale, che restituisce e riconosce il potere di Dio sulla storia, sulle cose, sul nostro corpo, sulla nostra mente e sul nostro cuore.
Ma questa santità è possibile come dono molto prima che come collaborazione alla grazia. E' consapevolezza e richiesta sull' "ecco io vengo" espresso dal Verbo.
Dall'azione di Dio, dalla Theourgia, prima che dalla liturgia.
Ecco che dunque ogni svelare l'amore, ogni missione, ogni evangelizzazione, ogni forma di apologia e di dialogo, ogni opera di carita fraterna, di solidarietà, di sussidiarietà e di autentica compassione è possibile dalla Sacra Liturgia e nella Sacra Liturgia ritorna.
Riconoscere Gesù venuto nella carne
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ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne,
è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio." (Dalla prima lettera di Giovanni 1Gv 3,22-4,6)
Ogni volta che riconosciamo la Chiesa,
nonostante tutte le sue fragilità, facciamo un atto spirituale.
Compiamo un atto nello Spirito Santo.
Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà
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Ez 47, 1-2.8-9.12
“… Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché quelle acque dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il fiume, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui fronde non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina”
L’acqua della grazia, il fluire dello Spirito Santo, dona la vita e fa fiorire il deserto. Dove c’era morte può nascere la vita.
E’ come un miracolo e talvolta lo è a tutti gli effetti.
Ma non produce un unico tipo di fiore e di frutto..
Ma molti tipi di fiore e di frutto, così come è concesso ai vari semi donati dalla Provvidenza.
Ma tutti insieme formano il giardino.
C’è chi vivrà il Regno come apostolo, chi come apologeta, chi come teologo, chi come studioso, chi come silenzioso servitore, chi con il calice della sofferenza, chi con l’impotenza, chi con il dono immenso della persecuzione, chi con il disprezzo di quelli della sua casa a causa di Cristo. Anche se è stato un peccatore, omicida e persino deicida e potrà diventerà fervido apostolo di Cristo Gesù.
Tutto è possibile a Dio in un cuore docile ed umile. Tutto.
Purché cessi ogni superbia ed ogni vanità e tutto venga fatto e compiuto per la Gloria di Dio, il bene dei fratelli e la bellezza.
Perché come è possibile il miracolo che il deserto diventi giardino e porti frutti di vita eterna, così è possibile che il giardino dica “io” invece di “Dio!” e che possa seccare e portare frutti velenosi, anche se apparentemente belli.
Si pieghi dunque il nostro cuore e siamo grati ed umili, non gelosi, non invidiosi, non ciarlieri e pettegoli, "prostrati adoriamo"…
mortificando di cuore quella parte che appartiene alla “carne” e che rischia di avvelenare anche le cose belle e buone del Regno.
Chi sale sul carro dei vincitori (e degli accusatori) non è cristiano
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Uno degli aspetti che differenzia chi crede in Cristo da chi lo nega e lo rifiuta (o da chi ha una fede-fai-da-te) è la capacità di farsi carico. Non si punta il dito ma si sta accanto all'uomo; qualunque delitto o peccato abbia commesso. Non si giustifica il male ma si distingue con chiarezza il malato dalla malattia.
Orandum est ut sit mens sana in corpore sano
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Quindi nel depauperare la frase dell'Orandum est.. si ottiene il contrario di quello che voleva dire Giovenale ottenendo la deformazione che è alla base del narcisismo "somatolatra" - per dirla alla Romano Amerio - così diffuso nei giorni nostri.
Siamo dunque vigili nei riguardi del salutismo e del culto del corpo
che si configurano come una delle tante moderne idolatrie.
Mangia, infatti dell'albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà
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Mangia, infatti dell'albero della scienza del bene colui che si appropria la sua volontà e si esalta per i beni che il Signore dice e opera in lui; e così, per suggestione del diavolo e per la trasgressione del comando, è diventato per lui il frutto della scienza del male. Bisogna perciò che ne sopporti la pena.
L'obbedienza perfetta. 148 Dice il Signore nel Vangelo: " chi non avrà rinunciato a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo", e " Chi vorrà salvare la sua anima, la perderà". Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo colui che sottomette totalmente se stesso all'obbedienza nelle mani del suo superiore. E qualunque cosa fa o dice che egli sa non essere contro la volontà di lui, purché sia bene quello che fa, è vera obbedienza.
E se qualche volta il suddito vede cose migliori e più utili alla sua anima di quelle che gli ordina il superiore, volentieri sacrifichi a Dio le sue e cerchi invece di adempiere con l'opera quelle del superiore. Infatti questa è l'obbedienza caritativa, perché compiace a Dio ed al prossimo.
Se poi il superiore comanda al suddito qualcosa contro la sua coscienza, pur non obbedendogli, tuttavia non lo abbandoni. E se per questo dovrà sostenere persecuzione da parte di alcuni, li ami di più per amore di Dio. Infatti, chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché sacrifica la sua anima per i suoi fratelli.
Vi sono infatti molti religiosi che, col pretesto di vedere cose migliori di quelle che ordinano i loro superiori, guardano indietro e ritornano al vomito della propria volontà. Questi sono degli omicidi e sono causa di perdizione per molte anime con i loro cattivi esempi.
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Quello che si intende per coscienza in Francesco non è certo quello che intenderemmo noi.
Basti che un superiore, il parroco, il vescovo ci chiedano qualcosina che vediamo ledere un nostro diritto che subito ci ribelliamo. Anche nei confronti del Santo Padre usiamo la stessa metodica. Ci fermiamo solo all’ex-cathedra giusto per non essere – palesemente ed ipocritamente – eretici.
I social network e la stampa, anche cattolica, sono pieni di esempi di “carnalità” dell’io.
Ciascuno di noi vigili per non cadere.
Per Francesco, invece, le questioni di coscienza riguardano solo il Santo Vangelo rettamente interpretato dalla Chiesa.
Quando infatti comparve davanti al Santo Padre che lo invitò a pascolare i porci non disse: “Queste cose non ti competono”, “non me lo stai chiedendo ex-cathedra”, “non sai che questo contraddice la legge suprema della salvezza delle anime di coloro che mi seguono”, ecc
Ma ci andò.
Questa obbedienza salvò la Chiesa. Al Papa apparve in sogno Francesco che reggeva il Laterano e dunque capì il ruolo dell’uomo che più si avvicino al Suo Maestro e Signore.
L’obbedienza spesso non è la via più comoda ma certamente è la via umana e perfetta che zittisce il nostro io malato e lo addomestica alla luce di Cristo. Purché sia autentica, cosciente, virile e sappia offrire sull’altare il male del nostro io egoista e superbo, come un vero e autentico martirio.
L'inizio del dono della legge è segnato dalla preghiera e dal digiuno.
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"Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole."
L'inizio del dono della legge è segnato dalla preghiera e dal digiuno. Questo ci ricorda che prima di ogni nostra azione, di ogni nostra parola, annuncio, attività pastorale
è necessaria l'orazione e il digiuno, l'umiltà e la retta coscienza di sé, ed in ultimo l'ascolto.
L'orazione ci ricorda che Dio è fonte di ogni opera buona e di ogni bellezza. E' Lui che crea e ricrea la storia. Quella personale e quella macroscopica degli uomini. E ci vuole sempre qualcuno che prega a nome di tutti e per tutti affinché ciò avvenga.
Il digiuno ci ricorda che Dio è il bisogno primario e che tutto il resto viene dato "in sovrappiù" da colui che provvede agli "uccelli del cielo e ai gigli del campo".
L'umiltà ci ricorda che Dio è Dio e che noi siamo creature, sempre bisognose della sua provvidenza amorosa, fatta di Misericordia e di disciplina nello Spirito Santo.
La retta coscienza di sé ci ricorda che la Provvidenza di Dio consente che in ogni istante siamo da Lui creati ed amati. Ci ricorda che la vera e prima povertà non è quella dei mezzi ma quella di un cuore umile che riconosce di essere un dono. Povertà implica restituzione, servizio, donazione, solidarietà, sussidiarietà. Sia dei beni fondamentali, che sono quelli spirituali, sia di quelli materiali.
L'ascolto ci rende docili all'azione dello Spirito Santo, ad ogni suo sussurro, ad ogni sua mozione, ad ogni sua sollecitazione. Ci rende obbedienti a Dio e alla Chiesa, calpestando il veleno della superbia e della vanità. Del vaniloquio e dell'ira. Del parlare inutile e della verbosità.
La giustizia di Dio è sovrabbondante.
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Dalla prima lettura del giorno Gn 22,1-19
«Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».
A furia di ripetere il ritornello della “Misericordia” rischiamo di dimenticarci che essa non è, per la Bibbia, il contrario della giustizia ma proprio il rivelarsi della sovrabbondante giustizia di Dio.
Nel concetto di bello e di armonioso, di buono e di meraviglioso, in ebraico “Tov” è incluso anche il concetto di giustizia. Questo termine ebraico è infatti qualitativo ed inclusivo. Contiene in sé il significato di "completezza".
La Giustizia, per la Bibbia, non è legata solo ad un ordine di rapporti umani, ma all'ordine cosmologico, armonioso e bello dato dal Creatore.
La giustizia non è mai elusa dal rapporto Dio-uomo, uomo-Dio. Solo che essa assume dei connotati diversi. Da una parte abbiamo l’uomo che è chiamato a fare tutto quanto è in suo potere in termini di volontà, dedizione, tempo, energie, affetto, priorità. Dall’altra vi è Dio che non attende altro che l’uomo dica – nei fatti e nella verità e con piena libertà – il suo si! Per riversare in Lui un oceano sconfinato di bene e di amore. “Dio che ti ha creato senza di te, non ti salva senza di te” diceva Agostino [Sant'Agostino, Sermo CLXIX, 13]. Ed è così. Egli ti vuole adulto e responsabile davanti alla tua vita perché Egli – Vita della vita – ti doni se stesso, la Vita Vera.
Ed ecco il perché del Padre benedicente davanti al figlio che torna a casa in parte pentito ed in parte per interesse e buon senso; ecco il perché del “Tu oggi sarai con me in Paradiso” promesso al “Buon ladrone”. Ecco il “Va e non peccare più” davanti alla donna umiliata e ferita da se stessa, dal suo peccato e dai fratelli.
La Misericordia non è mai elusa da una interna giustizia ma attende il suo compiersi poiché tu dia il tuo tutto, il tuo sì, la tua volontà ferma e decisa, la tua definitiva resa.
E proprio qui la misericordia ti previene e ti dona il grido che possa vincere ogni paralisi del cuore.
Non temere dunque di gridare, non temere dunque di dire sì!
Più il tuo cuore dirà sì, - soprattutto quando umanamente impegnativo e talvolta impossibile - più si allargherà e potrà cogliere l’infinito oceano che ti attende, "in una misura pigiata, scossa e traboccante"…
Ci sono alcune malattie del cuore che sono insanabili.
- Hits: 4333

Solo la grazia può guarirle. Solo il cuore di Cristo può guarire le malattie e le ferite del cuore.
E' un mistero eppure è così.
Solo il cuore di Cristo Gesù ha le proprietà, il "tessuto", la potenza, di sanare un cuore ferito o malato e renderlo vivo.
Solo il cuore di Cristo può trasformare un cuore indurito in un cuore di "carne"; vivo, pulsante, capace finalmente di amare.
La solennità di oggi è la festa che ci aiuta a contemplare, capire e a tuffarci in quel mistero di Amore inesauribile che sgorga dalla passione, la volontà, il desiderio dell'uomo-Dio Gesù.
Read more: Ci sono alcune malattie del cuore che sono insanabili.
Angolo dell'orazione giugno 2013
- Hits: 5140

Generale: "Perché prevalga fra i popoli una cultura di dialogo, di ascolto e di rispetto reciproco.”
Missionaria: “Perché là dove è più forte l'influsso della secolarizzazione, le comunità cristiane sappiano promuovere efficacemente una nuova evangelizzazione.”
Dei Vescovi: “Perché le nuove generazioni, educate a un uso corretto della libertà, sappiano compiere scelte responsabili e stabilire relazioni costruttive con tutti.”
Del Sito: "Perché l'Eucarestia ricordi a ciascuno che la "liturgia" non è tanto azione dell'uomo quanto dono e mistero di Dio da accogliere come appello e fondamento del proprio cammino cristiano".
La morte è sorella
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"Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte."
Chiamare la morte "sorella" significa comprendere che essa è un dono.
Un dono che dischiude il dono immenso della vita verso il suo luogo eterno.
Chiamare la morte sorella riscatta dalla "seconda morte", epilogo di una vita passata nel delirio e nell'idolatria di sé.
Significa comprendere che ogni morte "quotidiana" è preziosa per arrivare a questa proclamazione di fede: la morte è sorella, compagna e amica che ci traghetta verso l'abbraccio del Padre.
Non è dunque l'assenza di dolore e di fatica che dona peso e sostanza alla vita ma proprio l'esperienza del limite e della morte perché richiamano il tuo cuore, spesso distratto, alla realtà vera che sei una creatura, sommamente amata, pensata e desiderata dal Dio della Vita.
Egli che è tutto il bene, ogni bene, il sommo bene.
Lo condurrò...
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"... Dapprima lo condurrà per vie tortuose,
lo scruterà attentamente,
gli incuterà timore e paura,
lo tormenterà con la sua disciplina,
finché possa fidarsi di lui e lo abbia provato con i suoi decreti;
ma poi lo ricondurrà su una via diritta e lo allieterà,
gli manifesterà i propri segreti
e lo arricchirà di scienza e di retta conoscenza."
Non fidarti di quelle guide che ti accarezzano e ti deformano la vista dell'Altissimo proponendo un Dio ad immagine e misura del sollievo del senso di colpa e del lenimento della fatica e della lotta.
Non fidarti di chi sull'altare del politicamente corretto e del buonismo sacrifica la bontà e la verità.
Non fidarti di quelle guide che ti vogliono per sé e non per Lui e per la Sua Chiesa.
Non fidarti di chi non ti aiuta ad andare al cuore profondo del tuo destino pensato da sempre nel Cuore di Dio.
Il tuo destino da cui sempre sei fuggito con abilità vanesia
costruendo riferimenti posticci a garanzia della sopravvivenza di un sé curvo e narciso.
Se Egli ti ama ti proverà,
perché Egli si è provato senza misura per te;
perché Egli ti ama e ti ha amato senza misura, senza confini, senza risparmio,
senza allontanare mai lo sguardo verso la bellezza a cui sei destinato.
PiEffe
La gioia della Pasqua è il peso dell'esistenza
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"Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere." (At. 2,22-24)
Per quale motivo non era possibile che Cristo fosse tenuto in potere dalle angosce della morte?
Il termine angosce è una traduzione dal greco Odinas, che significa angoscia, travaglio, dolore indicibile, smarrimento totale, perdita del "sé". Legato alla "morte" non significa altro che lo stato che noi chiamiamo inferno.
Un travaglio ed un angoscia mortale che ricordano le parole di Maria al piccolo Gesù:
"Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo".
Come a dire, "perché Gesù ci hai fatto questo senza di te è l'inferno."
Ma tornando a noi, l'angoscia dell'inferno non può trattenere il Cristo. Perché?
Perché Egli è la gioia, la luce calda della gioia che illumina ogni tenebra.
Dice infatti il salmo "nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce." (Sl. 139,12)
La gioia è dunque la cifra della Bellezza che è Cristo.
È Lui quel meravigliosamente buono (טוֹב מְאוֹד in ebraico Tov meod) su cui è ritmata la creazione e la creazione dell'umanità.
Una gioia che non è sguiatezza ma stupore.
Non è prepotente ma sobria.
Non muove a facili entusiasmi ma muove a ritmica conversione e a continua trascendenza.
Attrae verso l'amato lo sguardo dell'essere e ci conforma sempre più a Lui, il più bello tra i figli dell'uomo.
La gioia non è un fuoco di paglia ma un fuoco inestingubile;
non è una solleticazione emotiva ed una lussuria del cuore,
ma una traboccante pienezza dell'anima.
La gioia non urla, se non proprio quando deve,
ma piuttosto ama stare in ginocchio, tesa, in ascolto.
Tutta attende e nulla trattiene.
Sente il gorgoglio dello Spirito che dice "Vieni al Padre" ("Un’acqua viva mormora dentro di me e mi dice: Vieni al Padre"; S. Ignazio di Antiochia alla comunità di Roma) e risponde in pieno abbandono e resa - culmine dell'obbedienza - "Abbà, abbà!" (Rm. 8,15).
Questa gioia forgia i santi, smussa le montagne e riempie le valli,
cambia i passi dell'uomo e crea ovunque il Regno di Dio, Storia nella storia,
perché non contempla l'opera delle proprie mani ma la Bellezza che esce dal Risorto.
E, in tale bellezza, rifulge di continua creatività amorosa il Bene, il sommo Bene.
Qui la vita nuova e l'eterna bellezza irrompe nella storia dissipando le tenebre della confusione e dell'eresia, dell'angoscia e del travaglio.
La gioia della Pasqua è il peso dell'esistenza.
Qui misura il tuo cuore, la tua mente, il tuo volto e la tua carne.
La gioia della Pasqua è il peso dell'esistenza.
PiEffe
Avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita
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At 3, 13-15:
Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni.
Quando ascoltiamo questa affermazione potente di Pietro "avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita" pensiamo che appartenga ad altri. A persone del passato, del contesto storico in cui Gesù fu rinnegato, torturato e messo a morte.
Invece sono parole attualissime. Sono per oggi, ora. Sono per me. Sono io che l'ho messo a morte con le mie scelte e i miei comportamenti delittuosi, ideologici e senza fiducia e speranza in Lui.
Tutte le volte che, quotidianamente, non ascoltiamo la voce della Grazia e seguiamo le passioni e le mode delle ideologie noi mettiamo a morte Gesù.
Tutte le volte che calpestiamo la "grammatica" che Dio ha messo nella natura uscita dalle Sue mani, che rinneghiamo la vita, che neghiamo l'immagine simbolica della famiglia naturale che Lui ha voluto come segno e simbolo del modo con cui Lui ci ama, ebbene, noi calpestiamo l'autore della vita.
Tutte le volte che diciamo: "faccio a meno di Te" e decido io per me perché so cosa è bene e ciò che è male. Anche in tal caso uccidiamo l'autore della vita.
Tutte le volte che lo lasciamo ai margini del nostro quotidiano e la Sua Presenza non da "forma e sostanza" ai nostri passi, noi calpestiamo e rinneghiamo l'autore della vita.
Infine, tutte le volte che consapevoli di aver fatto tutto ciò neghiamo che Egli, il Risorto possa ri-farci nuovi.. anche in tal caso rinneghiamo l'autore della vita.
Perché Egli realmente vuole per Te la vita, dona a Te la vita, ricostruisce per te la tua vita.
Egli fa fiorire il deserto e la sua specialità è un cuore amante.
Purché tu accolga la suprema sapienza. Quella della Resa.
Il vero digiuno
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Ecco, voi digiunate fra litigi e alterchi e colpendo con pugni iniqui. Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l'uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
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E quali sono le catene inique se non le nostre piccole e feriali abitudini con il peccato?
Le nostre dipendenze affettive con le cose e persino con gli affetti legittimi?
Le nostre inerzie vocazionali, imprigionati in un perenne "vitellonaggio" spirituale.. senza ampi orizzonti, senza slancio del cuore, rinchiusi nei piccoli problemi personali, nelle nostre piccole "parrocchiette", nelle nostre piccole comunità?
E quali sono i legami del giogo se non le "coniugalità" inique con le nostre ideologie, con il chiacchiericcio interiore? Invece di essere e riscoprire la coniugalità in Cristo?
Non siamo forse noi oppressi e oppressori che ci leghiamo e tendiamo a legare più che a sciogliere in Cristo? Schiavi tendiamo a rendere schiavi chi ci sta intorno. Non rimandiamo noi stessi a Lui a colui che è stato trafitto e che abbiamo trafitto. A colui a cui fissare perennemente lo sguardo. Egli che è autore e perfezionatore delle fede.
Entrare nel Riposo di Dio
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“Fratelli, dovremmo avere il timore che, mentre rimane ancora in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso.”
L’Inferno, di cui purtroppo per motivi di politicamente corretto si parla poco, non è tanto un luogo in sé quanto piuttosto uno stato nella scelta disobbediente di “non entrare nel Riposo di Dio”.
La categoria del Timore è stata confusa con quella del terrore e pertanto si è perso quello stato costante e continuo di vigilanza sulla nostra povertà e sulla nostra natura ribelle che porta sovente alla disobbedienza. Però mentre il terrore paralizza e obbliga – per difesa psichica – al fiorire del politicamente corretto, il Timore al contrario fa vedere la realtà creaturale personale per quale essa è: bisognosa dell’Amore provvidente del Padre. Anche la paura, in certo qual modo si distingue dal terrore, perché la paura rende vigili, attenti, fa fare tesoro dell’esperienza. E se uno si è scottato non si avventurerà più per sentieri che possano danneggiarlo. Anzi chiederà al Padre la forza e la sapienza per non incorrere più in simili bugie. Non tutto fa bene, non tutto edifica, non tutto nutre, non tutto fa crescere. Ritenersi più forti di quello che si è significa mancare di temperanza e contristare lo Spirito che è in noi. Chi sta in piedi, dunque veda di non cadere e non fugga da se stesso.
Il Suo riposo, il riposo di Dio, però non è una condizione passiva ma sottintende lotta e fatica. E’ luogo finale che “pesa” ogni nostro passo e che merita ogni nostra fatica. Pertanto non entrerà nel riposo di Dio non solo chi si rifugia nel politicamente corretto ma anche coloro che non avranno lottato con le unghie e con i denti per ottenere il dono di grazia che porta al Cielo. L’accidia e anche l’accidia vocazionale è preambolo all’Inferno tanto quanto la superbia.
Non solo. Qui l’autore della lettera agli Ebrei ricorda che occorre preoccuparsi anche per i fratelli, perché anche loro non cadano nella prova e non entrino nel riposo di Dio. Avere coscienza dell’Inferno è sapienza personale ed ecclesiale. Siamo responsabili dei nostri fratelli. Accoglienza sempre e comunque ma per il cammino verso il Suo riposo, verso la trascendenza e nella rinuncia e il taglio netto delle opere della carne.
“Le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto, che chi le compie non erediterà il regno di Dio.” Gal. 5, 19-21)
Ereditare il Regno di Dio significa entrare nel Suo riposo.. e non da soli.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro
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«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»
Il "giogo" di Cristo non ci toglie la stanchezza e l'oppressione ma colma ogni cosa di uno sguardo, del Suo Sguardo.
Diventando coniugi di Cristo (cum iugus), prendendo il "suo Giogo", portando i suoi stessi desideri, i suoi orizzonti, le Sue capacità donative, impariamo ad usare il dolore, la stanchezza e l'oppressione come un trampolino per amare meglio e di più.
Guai a coccolare il peso del dolore; anche di questo se ne può fare un idolo.
Cioè un fardello ego-latrico che ci impedisce di cogliere gli orizzonti della Grazia e della Donatività a cui siamo chiamati e portati. La contemplazione del dolore non ci rende "compiuti".
Questo è infatti il ristoro: comprendere che il tuo "peso" è una lacrima che lava il mondo verso il suo vero destino eterno.
Purché non contempli se stessa ma l'orizzonte infinito della Carità.
Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita
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"Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per contemplare la bellezza del Signore
e ammirare il suo santuario."
Questa è stata sicuramente la preghiera dei nostri santi ed in primis della Vergine Maria.
Come infatti ricordava un autore moderno, non è tanto grande che Maria Immacolata sia ascesa al Cielo, quanto che essa sia rimasta sulla terra tutto quel tempo.
Tanto era traboccante in Lei il desiderio del Cielo.
Lei che aveva accolto l'incontenibile, per sola Grazia dello Spirito, era talmente ricolma del desiderio di Dio da rendere pienamente umano secondo il disegno di Dio tutto ciò che faceva su questa terra, attirandolo verso il Cielo.
Questa è vera mistica, la quale non è mai disgiunta dal quotidiano camminare sulla terra, purché esso sia trasfigurato, proiettato verso il Cielo.
Dietro tante polemiche ecclesiali e dietro tante cattive pastorali c'è l'equivoco pericoloso e maligno che occorre solo un movimento verso il basso.. rimanendo impantanati.
E' invece il desiderio autentico del Cielo, accolto, curato e coltivato senza distrazioni, che ti porta verso la terra per trasfigurala e trascenderla.
Questo duplice movimento si chiama Incarnazione.
E qui c'è il culmine e la sapienza che regge l'universo.
Verbum caro factum est.
Su questo si fonda, inoltre, la dottrina sociale della Chiesa ed ogni autentica azione politica. Questo perché l'uomo sia reso più uomo e ricordi sempre la dignità che lo costituisce e l'eredità che lo aspetta.
Quanti pani avete?
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"Gesù domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette, e pochi pesciolini». Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra, prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà. Portarono via i pezzi avanzati: sette sporte piene."
Sette pani.
Sette, per quanto poco, sopratutto per le grandi necessità della folla, è comunque un numero compiuto.
Cos'è dunque che rende compiuto e pronto per la moltiplicazione della grazia il tuo "poco o nulla"?
E' la gratuità, la consegna, la non appropriazione, l'umiltà e la gioia. Riconoscere che tutto ciò che hai in beni, doni, carismi, competenze e capacità.. è comunque un suo dono provvidente, nell'economia della carità che deve sempre circolare.
Non fermarla dunque e consegna, ora, con libertà di cuore e senza fare calcoli, che non siano quelli dello Spirito, i tuoi "sette pani".
Se li doni ne avanzeranno "sette sporte piene", se li conservi per te ammuffiranno... e tu con loro.
"Il Signore ama chi dona con gioia" (2 Cor 9,7), perché chi dona con l'intraprendenza e il coraggio della gioia è vero figlio del Padre e vero discepolo di Cristo.
la venuta del Cristo tuo Figlio ci liberi dal male antico che è in noi
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".. la venuta del Cristo tuo Figlio
ci liberi dal male antico che è in noi ".
Riconoscere che per quanto tu ti dia da fare non ti puoi salvare con le tue forze ma necessiti di essere salvato, ogni giorno, ogni momento.
C'è infatti una sorta di stordimento "buonista" che è nemico della fede, delle comunità e del tuo progresso spirituale; uno stordimento che "nega" e fugge questa autocoscienza.
Una sorta di disonestà profonda verso il tuo cuore. Una stratificazione cosciente e sedimentata fatta di tutta una serie di cose che ti distraggono dalla verità del tuo cuore.
Qui nel tuo cuore e verso il tuo cuore e verso la realtà della tua persona, si compie la prima truffa.
Si passa da distrazioni semplici come a quelle più costruite e pertanto giustificanti. Da quelle futili a quelle buone e pertanto più difficili da sradicare in un cammino di autenticità.. Si passa dalle cose da fare, dagli hobby, dagli impegni (magari caritatevoli) per finire allo studio, alla cultura e alla lettura in cui, di fatto, ti costruisci il tuo vitello d'oro con la scusa di avere una "coscienza critica". Ma di fatto stai fuggendo.
Compi opere buone, sei impegnato nella comunità e magari anche stimata o stimato, ma di fatto sei metro e misura a te stesso. Ti costruisci (da buona fuggitiva e da buon fuggitivo) una morale fai-da-te, una teologia fai-da-te, e non riconosci l'unica vera dignità: il bisogno radicale di essere salvato da Cristo e dalla Chiesa.
Questo è invece il viaggio che ti attende e che comincia ora,
con il tuo si,
con il tuo passo,
con onestà,
con la tua resa.
Essi sono coloro che seguono l’Agnello dovunque vada
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"Essi sono coloro che seguono l’Agnello dovunque vada."
Affermare, come talvolta si fa, che Gesù è o deve essere il centro della nostra vita, non è totalmente esatto.
Ma con Gesù non è cosi?
Cristo è come un bimbo piccolo che ama "giocare" ovunque nel tuo cuore e nella tua vita. Non sei tu che lo devi addomesticare ma piuttosto il tuo cuore che va educato. A differenza di un bimbo che gioca e si muove per l'affermarsi di sé, Gesù invece lo fa perché tu sia pienamente te stesso.
Gesù dunque non ha il centro della nostra vita ma tutto, senza riserve. Siamo noi che siamo chiamati a seguirlo ovunque Egli vada.
Può essere che Egli cammini per la strada dell'insuccesso o quella della gioia. Della sconfitta o della riuscita. Dell'attività o della infermità per malattia.
Il cristiano, il discepolo di Gesù, proclamandolo Signore, fa una scelta ben precisa: si abbandona senza riserve. Anzi combatte ogni giorno ogni riserva che gli impedisce di seguire il Signore e maestro ovunque Egli vada.
Se ben si guarda questa è una scelta coniugale, infatti come nel matrimonio si pronuncia (si auspica) per libera scelta:
"Prometto di esserti fedele sempre,
nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia,
e di amarti e onorarti
tutti i giorni della mia vita.", così è nella sequela Christi, con l'Agnello immolato, assumendo sempre più il dono e la virtù fondante dell'arte di un perfetto abbandono. Senza riserve.
Da questa parte, guida l'Agnello e tu rispondi: Amen!
Da questa altra parte, guida l'Agnello e tu rispondi ancora: Amen!
Dolcezza e amarezza della Parola
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Allora mi avvicinai all’angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele».
Perché l'amarezza segue la dolcezza nel "frequentare" la Parola?
Anzitutto un significato pedagogico per il profeta. Egli stesso sperimenterà la dolcezza e l'attrattiva della Parola, ma man mano che essa scenderà nel profondo farà luce su ciò che è malato, su ciò che necessita guarigione e su ciò che va tagliato.
In secondo luogo ha un significato di compassione con i desideri di Dio. Dio stesso freme di "amarezza nelle viscere" per la condotta dell'uomo, per le sue scelte, per le sue fughe e per i suoi idoli.
Il profeta dunque com-patisce con Dio, "sente" con Dio per poterlo annunciare in maniera efficace. Viene detto infatti: «Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni, lingue e re».
In ultimo ha un significato di purificazione verso i destinatari. Tanto quanto il profeta ha sperimentato vittoriosamente l'amarezza su di sé, tanto sarà capace di amministrare la parola del crogiolo purificatrice con franchezza ed immediatezza, senza addolcirla con quel "mielismo" tipico delle ideologie buoniste dell'uomo che non cercano la conversione ma la cristallizzazione dei propri vizi ed i propri furti.
Santa Cecilia, vergine e martire, donna di lode
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Ascolta, Signore, la nostra preghiera
e per intercessione di santa Cecilia, vergine e martire,
rendici degni di cantare le tue lodi.
Α kai Ω
Cos'è che ci rende "degni" di cantare le Lodi a Dio?
È l'Agnello immolato, come ricorda l'Apocalisse nella prima lettura: "Tu sei degno di prendere il libro
e di aprirne i sigilli,
perché sei stato immolato
e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue,
uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione,
e hai fatto di loro, per il nostro Dio,
un regno e sacerdoti,
e regneranno sopra la terra".
Da questo momento la lode è ministero sacerdotale, per tutti, anche se in differente ordine e grado.
Da questo momento, dal mistero del Triduo Pasquale, sgorga il "Canto nuovo", la lode nuova, in cui lodiamo Dio Padre con la Parola di Dio, nella Parola di Dio, per la Parola di Dio.
Infatti quale lode può scaturire dal cuore e dalle labbra se non vivi nella tua carne, per quanto possibile, i misteri del Cristo?
Se non piangi con Lui su Gerusalemme, non per giudizio ma per appartenenza profonda?
Come puoi lodare se non scendi con Lui agli inferi del tuo cuore per risalire in alto alla vita?
Come puoi lodarLo se non partecipi della gioia del Risorto e della Vita Nuova nello Spirito?
Come puoi lodarlo se non pronunci con decisione di Amore il tuo "Amen!"?
Sangue chiama sangue, Vita chiama vita, Suono chiama suono, Gioia chiama gioia.
Qui nasce un autentico Spirito di Lode
che, ben accordato, narra, senza sosta, la Gloria di Dio
e alla Sapienza viene resa giustizia.
PiEffe
alla tua luce vediamo la luce
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"alla tua luce vediamo la luce"
Senza questa luce depositata nel cuore dell'uomo che grida a Dio, risvegliata e alimentata dalla grazia, l'uomo è cieco.
Totalmente quando non riconosce Dio nel bambino di Betlemme o nel Cristo sconfitto e trafitto come un malfattore sulla Croce; parzialmente quando "riconosce" Cristo ma non la Sua Chiesa e la successione apostolica.
Apparentemente, meno frequente la prima cecità, assai più frequente la seconda con una miriade di sfumature.
Da quella liberale a quella progressista a quella anticlericale.
Da quella di una teologia della liberazione a quella del dissenso sterile. Dal fai-da-te a presunte rivelazioni private ricevute in esclusiva.
Questo perché la Luce di Dio non solo fa vedere ma scalda, cioè rafforza la volontà indebolita e l'affettività dissipata; guarisce, sana; suscita la nostalgia della nostra vera casa.
Alla luce di questa Luce,
la ragione ragiona,
la volontà si rafforza,
le ferite si rimarginano,
l'uomo diventa uomo e a donna diventa donna.
Per tal motivo la Luce di Cristo, dove è permeata ha portato cultura, civiltà, benessere sociale. Perché la Luce di Dio è carità e grazia e non se ne conosce i confini.
Abbi di nuovo la vista
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"Gesù allora si fermò e ordinò che lo conducessero da lui. Quando fu vicino, gli domandò: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato».
Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo glorificando Dio."
Sciogliamo invece il nostro cuore alla Luce quotidiana e costante che l'Altissimo Padre ci amministra senza riserve e anche noi, senza riserve, volgiamo il nostro cuore alla lode ed al ringraziamento. Sia che piove, sia che splenda il sole.
Un cuore salvato, infatti, non è curvo su se stesso ma ritmato dalla lode.
Il Vescovo secondo il Vangelo
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"Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, deve essere irreprensibile: non arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagni disonesti, ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, santo, padrone di sé, fedele alla Parola, degna di fede, che gli è stata insegnata, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare i suoi oppositori."
Preghiamo e digiuniamo perché così sia.
Se è vero infatti che siamo stati donati ai nostri pastori è altrettanto vero che i nostri pastori sono stati donati a noi per essere custoditi dalla diakonia del discepolato e dell'orazione.
Molti desiderano pastori e guide, ma pochissimi vivono la "porta stretta" della diakonia del discepolato e dell'orazione.
Fate tutto senza mormorare e senza esitare
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"Fate tutto senza mormorare e senza esitare".
Ogni "mormorazione" e "detrazione" (per dirla con Francesco di Assisi) che compiamo verso i nostri fratelli e che è un morbo che avvelena le nostre comunità, oltre che noi stessi, prende spunto dalla "mormorazione" e "detrazione" che facciamo verso Dio.
Qualunque prova della vita, anche durissima, tanto più se autentica e non "auto-creata", comporta una reazione, talvolta legittima.. eppure i santi e i profeti prima di loro ci insegnano che esiste una reazione, persino una rabbia nei confronti di Dio che è presente come domanda, come richiesta ma il fondo del cuore appartiene a Dio, è obbediente, non mormora, accetta, accoglie anche se non capisce; anche se sperimenta lo scuotimento delle fondamenta.
Così Giobbe, il quale, in tutta la sua vicenda pur lamentandosi con il Signore per le sue prove in realtà non smuove di un millimetro il suo abbandono.
Gli amici che lo circondano sono "catechistici" e ribadiscono la buona dottrina ma anche il limite della ragione: se subisci prove hai compiuto qualche cosa di male.
Eppure Dio li riprende, anche duramente, e ricorda loro che "non hanno detto cose sagge come il suo servo Giobbe".
Perché questo?
Perché Giobbe in cuor suo non ha permesso alla "mormorazione" e alla "detrazione" di smuovere la fiducia in Dio. Come se, pur lamentandosi, chiedendo e scalpitando, persino quasi "bestemmiando", il suo cuore però fosse fisso in Lui. Senza indietreggiare, senza esitare. Senza togliere (detrarre) in alcun modo la gloria di Dio. La lode e l'ossequio, il rispetto e il timore.
Per tal motivo, appena Dio si fa sentire con la sua brezza leggera, Giobbe si scioglie come un bambino davanti all'immensità e riconosce che Dio ha ragioni più grandi e migliori della nostra piccola testa e della nostra piccola esperienza. Riconosce che Dio è Dio, ed è meraviglioso per se stesso e per il suo essere "oltre".
Per questo suo rimanere fisso in Dio, nonostante tutto, Giobbe è un uomo di Dio, che non mormora e non esita.
E questo è si un dono ma anche una quotidiana ginnastica del cuore per giungere al perfetto abbandono per cui siamo stati creati.
Abbandono che è la lode più grande e tutto quello che noi, solo noi, possiamo unicamente dare a Dio: la nostra resa.
Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù
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"Fratelli,
abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù".
I suoi desideri, i suoi sogni, il suo modo di vedere le cose, le sue scelte, i suoi passi. Non è forse questo il programma per eccellezza di chi è Cristiano?
Essere talmente unito a Lui da essere, come Chiesa, una sua presenza nella storia.
Ma come conoscere il "pensiero" di Cristo se non frequentando e ascoltando assiduamente la Chiesa che te lo trasmette come custode e maestra?
Beato chi trova in te la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio
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"Beato chi trova in te la sua forza *
e decide nel suo cuore il santo viaggio."
Iniziare un cammno di Direzione Spirituale significa far propria anzitutto questa Parola, trovare in Dio la forza e decidersi per il Santo viaggio.
Da questo desiderio, Dio fa fiorire un incontro di Direzione Spirituale personale e comunitario - entrambi necessari - affinché il discepolo possa crescere nella lode e nella fatica dell'abbandono.
Affinché il discepolo possa andare la dove non pensava ma dove la fantasia di Dio lo attendeva per consegnargli la perla nascosta della pienezza e della gioia.
Il vero corso prematrimoniale
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E voi, mariti, amate le vostre mo
Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Così anche voi: ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito."
Qui, in questa Parola, c'è il vero corso per fidanzati:
1 - il timore di Cristo e il valore ineludibile dell'obbedienza
2 - la coscienza di sé e la desatellizzazione
3 - i ministeri, più che ruoli, nella coppia
4 - una vocazione simbolica, profetica e testimoniale
Fornicazione e Purezza
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"Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi – come deve essere tra santi – né di volgarità, insulsaggini, trivialità, che sono cose sconvenienti. Piuttosto rendete grazie! Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro – cioè nessun idolatra – ha in eredità il regno di Cristo e di Dio."
Perché la fornicazione ed ogni specie di impurità è così dannosa?
Nella retorica paolina il termine viene rafforzato con "ogni specie di impurità" facendo acquisire alla "porneia" un senso ben più ampio e cioè quello che include ogni atto sessuale disordinato e non orientato alla comunione coniugale.
In entrambi i casi la fornicazione si presenta grave perché distorce e danneggia il primigenio disegno di Dio sull'uomo e sulla coppia. Nel senso esteso perché anzitutto l'uomo appartiene a Dio, e con il battesimo appartiene a Cristo e l'uso del suo corpo per altri fini che non siano quelli unitivi e assieme procreativi nel e del matrimonio, tradiscono questo significato sponsale del discepolo di Cristo con il Suo Maestro e Signore.
Nel senso specifico perché la convivenza matrimoniale (o di fidanzamento con rapporti pre-matrimoniali) crea i presupposti di definitività di un rapporto sia di carattere sociale che, soprattutto, senza la presenza oggettiva del sacramento.
Il sacramento del matrimonio è infatti un dono e non uno stato deciso dal soggetto. Il "soggetto coppia", che desidera sposarsi, ha ben presente l'accoglienza del dono della grazia sia personalmente che come coppia.
La ministerialità della coppia per la celebrazione del sacramento non sta nel fatto che essi creano il dono del matrimonio ma che essi, piuttosto, lo ricevono.
In sostanza una coppia di conviventi vive una contraddizione di natura, significati e finalità ed e contrario alla dimensione coniugale presente sia nel Diritto Naturale che in Ef. 5.
In secondo luogo la fornicazione pur essendo "meno grave" del peccato della superbia in senso assoluto, incide però pian piano nella coscienza del soggetto che pian piano si crea alibi che rafforzano la sua scelta disordinata. Questo "modo disordinato" di vivere la sessualità porta a indebolire la volontà del soggetto ed il suo generale discernimento ed a creare quella famosa mentalità borghese del "vizi privati e pubbliche virtù".
Oppure della giustificazione con ideologie create per giustificare il peso oggettivo della colpa.
Dualismo impossibile presente talvolta anche in coloro che operano pastoralmente nelle parrocchie, i quali si costruiscono una morale a propria immagine e somiglianza.
Oppure in coloro che creano campagne e lobby atte a sostenere il loro comportamento disordinato.
L'autoconvinzione diventa tale e strutturale che essi si illudono di essere felici ma in realtà stanno scappando dal peso delle responsabilità delle loro scelte confondendo la coscienza di colpa con il senso e il peso della colpa.
Pertanto, come si nota, a monte del peccato di fornicazione esiste sempre un peccato di superbia: il soggetto decide alla luce di se stesso e delle sue pulsioni ciò che bene e ciò che male. Fino a che diventa talmente obnubilato che è incapace di discernere con limpidezza e con chiarezza ogni scelta vocazionale della sua vita.
Esiste in ultimo un aspetto spiritualizzato della porneia.
Quello dei quali, pur essendo puri ed "immacolati" fisicamente e nei loro comportamenti sessuali, ritengono questa purezza non un dono (seppur mantenuto con gioiosa fatica) ma un fatto che nasce dalla propria volontà superiore. Si creano una "casta" interiore.
Giudicando le debolezze altrui non alla luce della Verità - che giudica tutti, anche chi giudica - ma alla luce della propria "esterna" integerrimità.
Qui, nella maschera del moralismo, della rigidità e spesso della "musoneria", pur non essendo presente la "lussuria" fisica è presente quella estremamente più grave (e spesso nascosta) della "lussuria spirituale". Il maligno non è entrato ed ha corrotto per la porta o dalla cantina, ma ha inflitto un danno più grande partendo "dalla soffitta".
Tuttavia, come visto, ogni caso di porneia, in senso stretto, in senso ampio ed in senso spirituale è una sorta di tradimento della sponsalità che il credente ha con Cristo.
Siamo infatti stati riscattati a caro prezzo.
Il potere d'Amore che sorprende
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"A colui che in tutto ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che opera in noi,
per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen."
E' questo Tuo potere di Amore, Signore, che mi sorprende,
crea estasi e giubilo,
mi fa uscire fuori da me stesso
e mi spinge a conversione.
E' questo Tuo potere di Amore, Signore,
che genera in me la resa,
una consegna sempre più profonda delle mie resistenze,
anche le più profonde e le più intime,
zittendo pian piano, ma con fermezza, la parte malata
e facendo parlare il gorgoglio dello Spirito.
Vengano i gemiti inesprimibili, "Abbà, Padre"!
Verso la tua parola guida il mio cuore
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"Verso la tua parola guida il mio cuore"
Fare questa incessante richiesta è fondamentale. Si riconosce da una parte di essere feriti e malati e quindi bisognosi di salvezza e di aiuto.
In secondo luogo si riconosce che nessun passo, nessuna decisione, nessuno moto del cuore, della mente e delle mani può essere possibile senza l'aiuto della Parola.
E' Lei infatti che ci plasma e ci rende veramente discepoli di Cristo, veramente capienti di Dio, veramente umani.
Vieni al Padre
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"Fratelli,
in Cristo siamo stati fatti anche eredi,
predestinati – secondo il progetto di colui
a essere lode della sua gloria". (Ef 1,11-14)
E qual è la gloria di Dio?
La "gloria di Dio è l'uomo vivente"(Ireneo di Lione, Contro le eresie).
Perché dunque vivi come se fossi morto?
Perchè ti trascini?
Perché il tuo cuore è appesantito dalla tua miseria?
Per questo "Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità."(Sal 32)
Perché Egli ha cura di te e desidera il tuo bene e la tua gioia vera, questa è la sua gloria.
Tu sei la sua gloria. Il tuo benessere è la sua gloria, non il benessere che il mondo o la "carne" ti danno.
Non temere dunque ".. quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui.
Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!" (Lc 12,1-7)
Fuggi l'iocrisia, la maldicenza, la mormorazione, le isterie, ogni forma di peccato e soprattutto "il nemico dell'uomo".
Che non solo è nemico di Dio ma anche tuo nemico; nemico determinato della tua gioia.
Riconosci di essere malato e talvolta ferito, senza paura di guardare in alto e gli immensi orizzonti della tua casa a cui il tuo cuore anela - se veramente lo ascolti - e dice "vieni al Padre". («Lettera ai Romani» di sant'Ignazio di Antiochia)
Evangelizzazione ministero di consolazione
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"Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Crist
Il termine consolazione, non solo per motivi retorici ma, soprattutto, per motivi teologali, ricorre spesso nella Seconda Lettera ai Corinti e specie in questi versetti. E' il Padre Misericordioso, anzi il Padre delle Misericordie - quindi di ogni tipo di misericordia - che dona la Consolazione.
La Consolazione non è una consolazione che si percepisce "affettivamente" ma una Consolazione che "pesa" ha valore ontologico, teologico, salvifico. E' per San Paolo un fatto. La percezione "affettiva" di questa Consolazione - che è azione spiccatamente dello Spirito Santo, il Consolatore - può anche non esserci, ma rimane la realtà certa che Dio te la dona non per gratificazione ma perché tu diventi "parakaleo", cioè uomo di consolazione nello Spirito Santo. Assumi in te stesso le caratteristiche del Ministero dello Spirito, l'intercessione, la consolazione, l'avvocatura, la misericordia.
Solo se entri nel "gioco" divino del donare quello che sai per intima certezza di fede entri nell'autentica gioia. Proprio perché non trattieni nulla per te stesso e per la tua infantile consolazione ma immediatamente la doni perché i fratelli possano crescere nella Fede e nella Speranza; cioè maturare sempre più l'intima certezza che Dio li ama radicalmente.
Ecco perché, giustamente, il Beato Giovanni Paolo II diceva che "la fede si rafforza donandola". Non perché ripetendo "la fede" ti convinci e convinci... ma perché donando e annunciando, ciò che è vero e buono, cioè Cristo morto, disceso agli inferi e Risorto, ne dischiudi tutta la bellezza.. e questo irriga il deserto della tua vita e l'arsura del fratello.
Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà
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"Fratelli, Cristo ci ha liberati per la libertà! State dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. "
L'etimo della parola è simile in libertà e liberale ma ci sono punti di partenza, di percorso e di arrivo diversi.
La Libertà pertanto nasce da una condizione che ci precede e ci stimola, non è frutto delle nostre mani se non quel tanto che si chiama "restituzione", "impegno", "responsabilità", insomma misericordia, lode e ringraziamento.
Le ideologie invece, di sinistra o di destra, gnostiche od immanentiste, vecchie e "nuove" partono tutte da un "soggetto" che si autocertifica nell'essere. Da un essere che non vive a braccia aperte perché così riceve e dona ma da un essere che pensa di essere creatore e non creatura. Tutte le ideologie nascono mortifere perché effetto del peccato originale.
Non lasciamoci dunque imporre il giogo della schiavitù ma cogliamo della Libertà donata a caro prezzo dal Cristo per essere immersi a pieno titolo nel mondo ma senza essere del mondo. Perché noi, e il mondo, necessitiamo di salvezza e solo Cristo salva e dona la Vita.
In Lui per Lui soltanto c'è libertà e l'orizzonte immenso del'Eternità.
Solo in Lui ogni Libertà è moltiplicativa e non sottrattiva, feconda e non solipsistica, gioiosa e non egoista.
Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano
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Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!»."
Qui la vera beatitudine e la dignità di ciascuno di noi.
Per quanto importanti e talvolta importantissimi i legami affettivi sono subordinati all'ascolto e all'osservanza fedele della Parola.
Cioè all'ascolto e alla sequela Christi.
La superbia è un cancro
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"Chi sta in
e il modo più semplice per cadere è la superbia.
Il diavolo se la ride che tu possa essere casto, povero, caritatevole, evangelizzatore, compiere grandi opere, dare il tuo corpo per esere bruciato, se poi cadi nel tranello della superbia. Egli, da buon opportunista, anzi da opportunista professionista, è ben lieto che tu possa guarire dal raffreddore o dall'emicrania purché tu possa avere il cancro. E questo è la superbia, un cancro.
Nessuno lo vede, anzi tutti vedono se non la tua apparente buona salute, ma dentro sei ripieno di te stesso e quindi schiavo e non libero.
L'umiltà e il Timor di Dio, invece, hanno sempre la meglio e rendono la "tua casa" pronta solo per lo sposo e non per la "scimmia di Dio".
Amministratori buoni della multiforme grazia di Dio
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"Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. "
Fin dall'inizio di questo giorno ispiraci il desiderio di servirti,
perché nei pensieri e nelle opere glorifichiamo sempre il tuo santo nome.
La Carità è Cristo
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"La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta."
Quando Paolo parlava della C
Né aveva in mente un atteggiamento morale.
Egli aveva davanti a sé una persona: Gesù Cristo.
Egli non compiva secondo Carità, Egli era la Carità fatta carne.
Nei suoi gesti le sue scelte, i suoi pensieri, il suo silenzio, la sua incarnazione e il suo donarsi, istante per istante; eternità nel tempo.
Pertanto stiamo bene attenti a non considerare la Carità un'idea, oppure una pratica morale, perché invece la Carità è Cristo.
Vogliamo lo sguardo di cuore, mente, occhi a Lui per essere anche noi trovati nella contemplazione di Lui da cui ogni cosa esiste e procede e per fuggire il peccato, il male dell'autonomia e della superbia.
Il male del fai-da-te e del mi-giustifico-da-me.
Chi sei Tu e chi sono io, Signore
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Giobbe prese a dire al Signore:
«Comprendo che tu puoi tutto
e che nessun progetto per te è impossibile...
ma ora i miei occhi ti hanno veduto.
Perciò mi ricredo e mi pento
sopra polvere e cenere».
Giobbe è l'esplosione del dono dello Spirito del Timor di Dio.
Solo questo dono, infatti, permette di conoscere Dio personalmente e non "per sentito dire".
Solo questo dono dello Spirito permette di conoscere se stessi.
vd anche
Timor di Dio
Nudi
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«Nudo uscii dal grembo di mia madre,
e nudo vi ritornerò.
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto,
In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nulla di ingiusto.
La povertà, consiglio evangelico battesimale, cioè per tutti, non è altro che la coscienza serena di essere nudi, e dunque, capaci di essere vestiti, in ogni cosa, dal Padre e dalla Sua Provvidenza.
Appartenenza non gelosia
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"... Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!"
Una lezione chiara quella data da Mosè a Giosuè.
L'amore, se autentico, non è mai sottrattivo ma moltiplicativo.
Persino le ineludibili "relazioni particolari", quando sono un dono di Dio, non tolgono nulla alle altre relazioni ed alla comunità.
La predilizione di Gesù per Pietro, Giacomo e Giovanni non toglieva nulla agli altri apostoli, anzi.. aggiungeva amore su amore, ricchezza su ricchezza.
Così nella pastorale.
Se uno opera nella "recta fede", anche se con prassi diverse, aggiunge gli orizzonti dello Spirito a tutta la comunità.
La stessa Chiesa Cattolica è una grande orchestra dove ognuno suona uno strumento particolare ed in cui Pietro, vicario di Cristo, è chiamato ad orchestrare perché "il tutto" suoni bene e sia armonioso a vantaggio di tutti e del mondo intero.. purché però, si rimanga nel solco della "retta fede" di cui Pietro, è tra l'altro custode.
Perché dunque essere gelosi se uno suona il flauto e non la tromba?
Perché impedire che uno suoni l'arpa se tu suoni le percussioni?
Ciò che conta è il suono intero, la sinfonia che ne esce.
Pertanto diventiamo gelosi ma per senso di appartenenza e cura
e non per invidia del carisma dei fratelli.
Perché nel legame di Cristo quello che è di uno è non solo per tutti ma di tutti.
Chi dite che io sia?
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«Ma voi, chi dite che io sia?»
E' domanda fatta al "noi" e domanda fatta al "tu".
Dalla risposta che tu dai dipende la tua storia e la tua gioia e il bene dei fratelli.
Dalla risposta dipende il bene e il destino del mondo.
Pietro l'ha data (e la dà per noi) perché ciascuno possa proclamarla ora e in ogni respiro.
Quando dunque vi radunate insieme
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"Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco."
E' norma di buona educazione andare a casa di altri, quando invitati a mangiare, con lo stomaco non pieno per gustare le pietanze offerte. E'
Ma se io vado alla cena domenicale con il cuore e la mente colma e sazia di idoli, ideologie e fantasmi.
Se assisto e partecipo a quella cena ebbro di me e delle mie schiavitù, come potrò saziarmi di Lui e dello stupore che la Sua presenza sempre comporta?
Come cambierò il cuore?
Quando mai entrerò nella gioia?
Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime
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"Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito.
Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono."
Così è per ciascuno di noi, con il vantaggio però, che il nostro grido, trova la porta aperta del cuore del Padre grazie al sacerdozio unico del Figlio nell'esempio della Madre.
L'obbedienza è arte che si impara con amore ed è scuola per tutti.
E tu a chi obbedisci?
Chi regna e comanda nella tua vita?
Chi ritma le tue scelte e i tuoi passi?
Insegnaci a contare i nostri giorni
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"Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio."
Per la Bibbia la Sapienza non è la conoscenza mentale delle cose, non è neanche solo nozione acquisita dall'esperienza, ma la capacità di vedere il reale con intelligenza, con scienza biblica, in definitiva con il cuore di Dio. La Sapienza è un dono dello Spirito, la Sapienza è Cristo.
Contare i nostri giorni per l'autore del salmo significa dunque :
insegnaci Signore a non divagare ma piuttosto ad essere realisti e cogliere che solo Tu realmente sei importante e fondante la nostra vita.. tutto il resto passa, persino la croce, persino la gioia, e senza di Te, come dice la prima lettura (Qo 1,2-11) è vanità.
Non prendete nulla per il viaggio
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"Non prendete nulla per il viaggio".
Il consiglio evangelico di povertà è un consiglio battesimale, cioè donato con il dono del battesimo.
Persino sopra le cose utili, indispensabili e sopra addirittura gli affetti.
Dio non toglie nulla ma dona e restituisce ogni cosa.
E questa richiesta è fatta al singolo ed al noi, a ciascuno ed al corpo della Chiesa.
La povertà è dunque una scelta del cuore che passa per la mente e le mani, ed è la scelta di non sentirsi proprietari di nulla ma oggetto della Provvidenza amorosa del Padre.
La povertà è una resa.
Non c'è dunque condanna di alcun bene ma, piuttosto, la condanna all'attaccamento a quei beni, piccoli o grandi che siano. Attaccamento che non segue la gerarchia precisa di non dare primato a Dio, sempre.
Il nostro cuore ferito tende ad appropriarsi di tutto, persino delle cose belle.
Il cuore del povero, invece, porta all'adorazione ed alla lode.
Anche per le pieghe oscure e velate e, apparenemente, vuore di senso della nostra vita.
La famiglia di Gesù
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"In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.
Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».
Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica»."
Con l'avvento del Regno, cioè di Gesù, cambiano le modalità e la sostanza delle "prossimità".
L'intimità non è data solo dalla vicinanza affettiva ma dalla realizzazione della Parola nella propria carne, nei propri passi, nella propria vita.
Anzi talvolta è necessaria una certa "desatellizzazione" di umana affettività perché si compia realmente la "prossimità".
E questo non solo con Dio ma anche con i fratelli.
"Il giusto abiterà sulla tua santa montagna, Signore
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"Il giusto abiterà sulla tua santa montagna, Signore."
L'altura è condizione simbolica di una protezione dall'alto.
A colui che si abbandona alla Provvidenza, non manca mai un aiuto proporzionato all'abbandono.
Dio trae a sé, protegge, cura e sostiene donando riparo, fortezza, significato e pienezza a colui che sceglie, in maniera compiuta e responsabile, ed attiva, di abbandonarsi al suo cuore.
Non rende immune al dolore, anzi.
Ma riempie di letizia e di speranza il cuore verso la "santa montagna", il destino eterno che, sin d'ora, ci attende.
"Sul monte il Signore provvede".
Sali spedito e senza paura questo monte che ti è indicato.
Questo è il luogo che ti rivela chi sei tu e chi è Dio.
E' il luogo che ti allarga il cuore e suscita lode.
Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore
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"Fratelli, qualcuno dirà: «Come risorgono i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore."
Il primo ad essere stolto è proprio il credente perché dimentica che ogni suo passo, per essere fecondo, ogni sua scelta, per avere radici, deve passare per il mistero Pasquale.
Chi stai seguendo?
Il tuo "ombelico" o Cristo?
"Andiamo, dunque, a morire con Lui" per Risorgere con Lui il terzo giorno.
Il perdono è la chiave
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"Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato."
La chiave del Perdono e della riconciliazione è il molto amore.
Chi invece indurisce il suo cuore sulla vendetta e sul "suo" senso di giustizia è destinato alla tristezza, perché non spalancherà mai il suo cuore a Cristo e sarà vittima della sua stessa superbia.
La superbia è infatti un cancro che porta la peggiore malattia:
l'impermeabilità alla Grazia.
Desiderate invece intensamente i carismi più grandi
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ζηλοῦτε δὲ τὰ χαρίσματα τὰ μείζονα.
(1Cor. 12,31)
Vuoi un carisma più grande che veramente ti faccia santo?
Qualunque sia il tuo carisma sii pronto a rinunciare ad esso
per amore di Dio e per il bene della Chiesa.
è il più grande carisma.
Anche se ci fosse un carisma che Dio stesso ti ha dato
dopo lungo e faticoso percorso
sii pronto a rinunciare ad esso
come Abramo che era pronto a sacrificare il proprio figlio unico,
il figlio della promessa di Dio.
Rendi vivo con la tua carne,
la tua mente ed il tuo cuore
la certezza
che Dio è più grande di ogni suo dono
e che tu sei un nulla prezioso
perché amato da Lui.
Piangi, lacrima, scalpita,
ma non indugiare a piegare il tuo ginocchio
per il bene della Chiesa.
Qui c'è il vero progresso della Chiesa e la vera libertà.
Qui la vera "parresia".
Questo ti basti.
Dio avrà così l'unica cosa che Egli veramente cerca:
il tuo cuore.
E tu avrai l'unica cosa che veramente ti compie:
avrai Lui.
E la Chiesa avrà l'unica cosa che veramente Le serve:
un figlio innamorato del Padre.
Sei tu il primo nemico di Dio
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"Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso."
e del suo vitale bisogno di essere perdonato,
può iniziare ad amare i nemici e perdonare i fratelli,
non con il "mielismo" del politicamente corretto e dell'ipocrisia
ma con la virilità degli innamorati di Cristo.
Via mistica e laicità
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"... Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti
Seguire Gesù significa essere immersi a pieno titolo nel mondo ma con il desiderio ardente del cuore e della misura di ogni cosa, pensiero, scelta, desiderio, sogno, lotta, fatica, gioia, dolore, affetto, amore, che si confronta con l'Eternità.
Su un piatto della bilancia hai tutto, anche gli affetti più grandi e più santi e sull'altro piatto l'Eternità.
Una Eternità che desideri non solo per te ma per ogni volto, amico e nemico, che la Provvidenza ti ha consegnato.
Esiste forse vera laicità senza vita mistica?
Non illudetevi, non prendete in giro voi stessi
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".. Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio."
Il Regno di Dio non è solo questione futura ma è, anche, questione dell'ora, di questo istante.
E' questione di autentica vita e di autentica libertà.
Cessare di compiere le opere del male e sgradite a Dio e permettere alle scaglie degli occhi di cadere e vedere come vede Dio.
Chi compie, persegue, sostiene, propaganda, anche solo velatamente, anche solo per condiscendenza o per quieto vivere, le opere di cui sopra non può comprendere né Dio né le sue opere; non lo conosce ma parla solo della sua proiezione di Dio. Una proiezione rassicurante a garantire le sue isterie, le sue ideologie e i suoi ladrocini.
Essere lievito buono
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"Non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi. E infatti Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con àzzimi di sincerità e di verità."
Guardati allo specchio; quello vero.
Chiediti: qual è il mio lievito?
Scegli, finalmente, per Cristo, senza indugi.
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
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".. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi."
e un impegno di ciascuno.
Occorre pregare sempre per i nostri fratelli atei, per i fratelli lontani e persino per gli anticlericali.
Sebbene siamo tenuti, per dovere battesimale, a dare le ragioni della nostra speranza, senza sconti e senza "diluizioni" mondane, abbiamo ancor prima il dovere di chiedere luce e guarigione per chi è nemico o per chi è lontano da Cristo.
Se non altro per restituzione.
Perché chi ha avuto il dono della fede sa bene,
se è onesto fino in fondo,
che in ognuno di noi si cela
un "nemico" di Cristo,
un "ateo",
un "giuda",
un "eretico".
Con la stessa grazia con cui siamo stati guariti
abbiamo il dovere di chiedere il dono della guarigione
per ogni menomazione del cuore e della mente
ed ogni paralisi dell'anima.
Natività di Maria, la Donna.
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Maria si erge come diritto e dovere della donna di essere per Dio in Cristo; a servizio e aperti alla vita.
Affida al Signore la tua via
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"Affida al Signore la tua via,
confida in lui ed egli agirà"
La Fede è un dono che comporta un altro dono mirabile:
La Luce illumina e scalda,
l'acqua irrora e rende feconda ogni cosa,
il vento leggero rinfresca e parla al cuore.
Nei nostri tempi ego-centrati, riteniamo la fede una "forza" ed una "capacità" nostra e nel contempo riteniamo di poter piegare Dio ai nostri capricci e alle nostre visioni, spesso isteriche.
Invece chi accoglie il dono della fede, e lo coltiva, ottiene quello che è sopra ogni speranza ed attesa: Dio agisce, compie, regna.
Comprende che "il braccio di Dio non si è accorciato";
non smette, Egli, di agire con potenza, ma l'Altissimo agisce nella logica di Betlemme e di Nazareth, che sostiene e governa l'Universo ed ogni suo respiro...
Se il mio braccio è incapace
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"... ma sulla tua parola getterò le reti".
Se il mio braccio è incapace di gettare la rete, Signore,
rafforzalo;
rendilo generoso;
se il mio braccio è infermo nel gettare la rete, Signore,
rendilo sano;
se il mio braccio è pauroso nel gettare la rete, Signore,
rendilo audace;
se io sono malato e infermo, Signore,
gettami tu con la tua rete,
se il mio cuore è piccolo e piegato su di sé, Signore,
aprilo nell'orizzonte dei tuoi occhi.
Amen.
La tifoseria è una maniera semplice e tutta carnale di distrarsi dal seguire il Signore
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"..Quando uno dice: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il Signore gli ha concesso.
Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irri
La tifoseria è una maniera semplice e tutta carnale di distrarsi dal seguire il Signore. Carnale e talvolta lussuriosa - anche in persone castissime, spiritualissime, devotissime - perché sposta l'attenzione del cuore da Cristo al proprio "idolo".
Mendicando autostima per identificazione.
Tuttavia Dio non è geloso che un suo collaboratore riceva stima e plauso, come non lo è un genitore verso il proprio figlio ma soprattutto è geloso di noi; ci tiene a ciascuno di noi.
Non vuole, per il nostro autentico bene, che confondiamo il vaso dal vasaio, il fondamento di ogni bene e gioia da una scintilla. Compito della scintilla di luce è richiamare ciascuno alla luce vera; luce che scalda ed illumina e porta alla vera crescita e fecondità del cuore.
Compito del collaboratore è ripetere con parola e gesti:
"non a noi Signore, non a noi, ma la Tuo Nome dà gloria!"
Invochiamo senza stancarci lo Spirito Santo
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"Fratelli, lo Spirito conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio."
Lo Spirito di Dio non è un "accessorio" immateriale della fede e della conoscenza umana. Ma solo lo Spirito ci permette di ragionare pienamente.
Rende sempre più salda, ben oltre l'emotività e l'esperienza personale, ogni ragione della nostra speranza.
Egli ci dona il giusto rapporto con Dio. Egli rivela Dio. Egli ci rivela a noi stessi. Egli ci dona di vedere come Dio e amare come Dio.
Sopisce le intemperanze e rafforza le debolezze.
Invochiamo senza stancarci lo Spirito Santo (come Chiesa e nella Chiesa) per conoscere e amare meglio Dio, meglio ogni sorella e fratello e fugare ogni nostro fantasma e sciogliere ogni catena e, dunque, amare finalmente, e correttamente, noi stessi.
L'Accidia è uno dei mali peggiori della nostra vita
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"Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha."
L'Accidia è uno dei mali peggiori della nostra vita e delle nostre comunità. Anche dietro il molto fare per il Regno si nasconde un'accidia radicale, una pigrizia del cuore che ci fa in realtà essere "faccendieri" di Dio trattandolo come una "cosa", come un oggetto accanto agli altri, senza mai realmente interrogarci e metterci in discussione davanti alla Sua Parola.
Incapaci di far realmente fruttificare la Grazia di Dio che largamente ci viene donata.
La Sapienza del triduo Pasquale
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"Fratelli, Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo."
Senza la Croce di Cristo, preludio al
Senza il mistero di questi tre giorni l'uomo non ragiona bene.
Non è la ragione ad essere corrotta dal peccato ma la nostra capacità di entrare in essa a piene mani.
L'uomo si obnubila e si "incarta" da se stesso.
Pensando di essere sapiente - senza la croce - è immerso nella stoltezza.
Senza il mistero di questi tre giorni tu sei un mistero a te stesso e non porti né gioia né bene sociale, né vero progresso.
Pertanto qualunque sia il tuo posto nel mondo, da piccolo a grande, da semplice o "potente", da cittadino o da responsabile primo della cosa pubblica,
fatti illuminare da Cristo morto veramente in croce, veramente disceso agli inferi, veramente e gloriosamente Risorto.
Nel tuo silenzio amante davanti alla croce sta la salvezza.
L'apologetica è un dovere battesimale
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"Tu, stringi la veste ai fianchi,
àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti di fronte a loro...
Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno,
Ci si dimentica troppo spesso che l'Apologetica è un dovere battesimale.
Apologetica e non soggettivismo.
Il soggettivismo non è solo un frutto dei nostri tempi ego-centrati ma anche di coloro che si sentono "investiti" dall'alto con compiti speciali, rivelazioni private, carismatiche intuizioni, ecc, in cui alla fine il protagonista non è Dio ma il proprio ego; a garantirsi l'autostima.
L'Apologetica invece è un dono, una chiamata ed un mandato; ed è radicato nel battesimo. E necessita sempre di una conferma di Pietro e degli Apostoli.
C'è chi la farà con la Parola, c'è chi la fara con il silenzio umile facendo parlare chi ne ha il dono, come dice Pascal.
C'è chi la farà con la testimonianza di una vita.
C'è chi la farà con il sorriso.
Chi con il richiamo e chi con l'abbraccio.
Ma sempre ed ovunque nel nome e nella potenza di Gesù e sempre come Chiesa.
Sempre per amore dell'Amore.
Questo è "l'annuncio in Spirito e Potenza".
Il cristiano, cioè colui che incontrato Gesù e coltiva per dono e grazia l'intimità con Lui, non può non essere apologeta.
Ne va della sua salvezza prima ancora di quella dei fratelli.
Salvezza che è anzitutto realizzazione piena, compiuta e gioiosa della sua esistenza.
Perché chi annuncia e condivide la speranza che ha nel cuore fa fiorire tutta la sua umanità.
Come Maria, come Giuseppe.
Attenzione alle ideologie, false dottrine del nemico dell'uomo
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"Fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera."
Il grande menzognero, il nemico dell'uomo e di Dio, sin dall'inizio ha cercato di confondere, disturbare e, peggio ancora, diluire il messaggio di Cristo consegnato a Pietro ed agli apostoli con false dottrine.
Nella storia queste dottrine false si sono succedute con il veleno del peccato originale. Peccato padre di ogni soggettivismo.
In età moderna si sono "generate" nell'etica laica con le moderne ideologie che conosciamo e che scimmiottano la Bibbia garantendo una paradiso senza Dio in cui l'uomo è principio e fine di se stesso.
Un vero e proprio delirio e negazione della ragione e della realtà e, soprattutto, della gioia.
Queste moderne ideologie hanno, da tempo, cercato di infiltrarsi anche nella comunità cristiana con la loro fascinoscità e facendo leva sulla nostra natura ferita di perenni adolescenti immaturi.
Ma noi non colpestiamo né la Parola, né la Tradizione, né Pietro, né gli Apostoli e chiediamo a Dio di rimanere saldi nella fede.
Ogni giorno.
La tirannia delle ideologie e del moralismo
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".. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare."
Troppo facilmente e
Tuttavia Gesù non condanna una categoria ma condanna il moralismo che è tutt'altro di un cammino morale.
Anzi è l'anticamera dell'immoralità.
Il moralismo a sua volta è figlio dell'ideologia.
Che sorpresa allora scoprire che questa Parola è indirizzata a moltissimi laici, ai costruttori di ideologie di ogni tempo i quali, con il veleno delle loro contraddizioni, laiciste e tutt'altro che laiche, scandalizzano i piccoli, le anime che realmente cercano e potrebbero incontrare il Signore. E così questi "farisei di ogni tempo", questi idolatri di se stessi e del vitello d'oro della loro ideologia, che si beano di parole come "democrazia, tolleranza, laicità" non entrano nel Regno (né potrebbero), né fanno entrare gli altri.
Il coraggio della fedeltà matrimoniale
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"Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!"
Senza il continuo coltivare il "riferimento a Cristo e alla Chiesa" il matrimonio perde sapore e colore e tradisce se stesso.
Invece essere sposati è un'arte.
Come ogni arte necessita di amore e di passione,
di fedeltà e disciplina, di sacrificio e di coraggio.
Questo perché si possano raccogliere frutti di gioia e fecondità.
Un cuore nuovo
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".. vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. "
La grazia di Dio, l'azione dello Spirito, la
Una persona. Un cuore di carne capace di Amare.
Schiudono e rompono i legacci antichi che ti "legano" e sciolgono le tue mani ed i tuoi piedi, la tua mente ed il tuo cuore.
Ti rendono capace di donarti.
E' questo che qualifica la tua esistenza ed è ciò che ti rende compiuto e bello.
Lasciati fare da Dio e non smettere di dire si! .. fidati di Lui sopra ogni cosa.
Egli non abbandona l'opera delle sue mani ed ha cura del tuo cuore più di te stesso.
A Dio tutto è possibile
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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità io vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ric
A queste parole i discepoli rimasero molto stupiti e dicevano: «Allora, chi può essere salvato?». Gesù li guardò e disse: «Questo è impossibile agli uomini, ma a Dio tutto è possibile».
Padre, poiché tutto è possibile a Te
educa il mio cuore alla resa
fammi pensare, scegliere ed operare con passione
nel mio quotidiano
ma avendo come fondamento fisso nel cuore
l'essere totalmente arreso, consegnato, docile
al Tuo Volere.
Perché quello che per me è impossibile,
cioè l'essere povero,
sia possibile per la Tua grazia e er la Tua gloria
e per il bene della Chiesa.
La povertà è essere di Cristo
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".. Udita questa parola, il giovane se ne andò, triste; possedeva infatti molte ricchezze".
Non basta certo fare voto di povertà per smettere di essere tristi. Si può infatti aver lasciato tutto ma esse
Cristo ci chiede, invece, di mettere Lui al centro del nostro cuore per seguirlo spediti. Questa è la perfetta povertà.
Tutto il resto è corollario alla sequela; mezzo e non fine.
Se invece il mezzo diventa il fine ecco subentrare nella povertà il paradosso della ricchezza e dell'avarizia e, con il paradosso, la tristezza.
Cristo è il principio, Cristo è il Centro, Cristo è la meta.
A chi cerca il Signore non manca alcun bene
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".. a chi cerca il Signore non manca alcun bene"
Forse non manca alcun bene perché il credente e l'uomo di buona volontà si adatta?
Forse perché si rassegna passivamente?
Si, in un certo senso riceve di più.. ma no sta nei beni ma nella grazia dell'intelligenza.
Chi cerca il Signore vede, finalmente, la realtà delle cose e la sua Sapienza.
Possiede il dono di Scienza dello Spirito che è un dono mistico e di contemplazione ed è per tutti i battezzati.
Chi cerca il Signore, infatti, e lo cerca con sincerità di cuore, di scelta e di opere, inizia a vedere come vede Dio.
Inizia decisamente ad essere realista.
In questo realismo realmente "scientifico" non può non operare, secondo Dio, nel trasformare la realtà che gli è affidata.
Con responsabilità e passione.
Non c'è dunque uomo più concreto e realista di colui che cerca sinceramente il Signore, con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze.
Come Bambini
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«Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me; a chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli»
Non è questo di Gesù un invito solo a rispettare i bambini ma ogni piccolo nell'ottica del Vangelo.
Noi, infatti, incapaci di vedere con autenticità il male dentro di noi, siamo implacabili con il male compiuto dagli altri.
Neghiamo a loro e a noi il valore della Speranza. Neghiamo a Dio di poterci trarre a sé con il cammino dolce e arduo della conversione.
Infatti, questa pericope, ancora prima è un appello a quella parte "bambina" che desidera ardentemente di stare con Cristo fiduciosa ed abbandonata e arresa. Disarmata.
Come un bimbo nelle mani del Padre.
A quella parte del tuo cuore che desidera quel bene assoluto che tu gli neghi con le tue paure, le tue ideologie ed i tuoi fantasmi. Sei tu spesso il nemico di te stesso che non ascolti il bambino che cerca Cristo e la sua benedizione.
Sei tu che impedisci a te stesso, per fragilità e peccato, per paura e per accidia, che la tua vera natura possa essere finalmente adulta e dunque "piccola" nell'ottica del Vangelo.
Sei tu che scandalizzi il piccolo che è in te, allontanandolo dalla voce incessante che grida: "Vieni al Padre!"
Sei tu che cerchi cisterne screpolate invece di dissetarti all'acqua della Vita Eterna.
Essere piccoli, abbandonati e resi nella mani del Padre
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"In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli.
E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me." (Mt 18,1-5.10.12-14)
Erroneamente si confonde l'infanzia spirituale con l'infantilismo spirituale.
Essere "infanti" per il Vangelo significa essere pienamente compiuti e adulti ma pienamente abbandonati e resi nelle mani del Padre. Qui Dio ci chiama.
Inoltre si confonde l'essere piccoli del Vangelo come una questione anagrafica. Anche un anziano può essere "piccolo" per il Vangelo. Anzi. Anche un adulto con disabilità; anche un emarginato a causa del Vangelo. Persino un grave peccatore che riconosce veramente di essere schiacciato dalla propria miseria e dalle proprie scelte errate.
Pertanto "scandalizzare i piccoli" significa "incrinare o depauperare gravemente la fede" dei fratelli.
Anche la comunità ecclesiale che "mette al bando i peccatori e gli scandalizzatori" e non il peccato, cade nello "scandalo" e nel moralismo.
Nella vita sociale e politica le ideologie e i partiti fortemente ideologici cadono in questa supponenza, perché ogni ideologia vuole avere le coordinate morali dell'esistente. E quindi anche una comunità, una associazione moralistica, una setta religiosa, un partito politico, può cadere in una sorta sottile di "disprezzo dei piccoli".
Che è tutt'altro di un cammino morale.
Questo non significa che non bisogna essere duri, chiari e fare verità e chiamare il peccato peccato e lo scandalo scandalo.
Persino l'atto estremo, e talvolta necessario, della scomunica dev'essere un atto di misericordia e di chiarezza in cui, tuttavia, non si cessa di pregare per la persona che ha rotto la comunione affinché torni alla comunione. Questa è responsabilità battesimale e continua.
La differenza tra cammino morale e moralistico è tutta qui nella fiducia nella Persona come dono di Dio perché sempre vi sia un ritorno alla Sua piccolezza.
Chi fa un cammino morale non cessa, su questa terra, finché c'è possibilità di scelta, di coniugare verità e amore.
Di pregare per quella persona - magari largamente peccatrice - per cui Cristo è morto e risorto; e prega senza giudizio sulla Persona, perché quella Persona è di Dio, è proprietà di Dio, è scaturigine di Dio persino se sceglie volutamente e gradatamente di allontanarsi da Lui per permanere, nella seconda morte, nel suo disordine.
Questo ci rende discepoli "infanti di Cristo" perché consegniamo noi stessi e quella Persona, quella storia, quel cammino "disumano" e "disumanizzante" nelle mani del Padre, con totale resa.
Perché solo chi è piccolo nel Piccolo consente al Piccolo di fare i miracoli della guarigione del cuore e della vita.
E testimonia nella Sua piccolezza che "a Dio nulla è impossibile" (Lc. 1,37).
PiEffe
L'Amore di Dio ci ha resi amici
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"Nessuno ha un amore più grande di questo:
dare la vita per i propri amici."
Lo straordinario dell'Amore di Dio per noi, è che la scelta di dare la vita per la nostra salvezza, per la salve
ci ha avvicinati a sé... il Suo Amore ci ha reso amici.
Eravamo nemici per nostra volontà, il nostro peccato e la nostra debolezza
ed Egli con il suo Amore ci ha reso Amici.
Cioè prossimi al Suo Cuore. Perché così, dal Suo dono inenarrabile, dono che sorregge tutta la creazione, il tempo e lo spazio, potessimo ricevere tutta la pienezza della gioia.
La fede si rafforza donandola e donandosi
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†
Due sono i dinamismi che nascono dalla paura.
Uno sano che muove alla vigilanza e alla crescita ed un altro, frutto del peccato originale e dalla fragilità umana, che tende al "sedersi", ad "accontentarsi"; quel dinamismo che dice che è "bello stare sul monte con Gesù" ma in realtà non vuole seguire i passi del Signore, decisi e fermi, verso Gerusalemme.
Invece Gerusalemme è ineludibile per una sana crescita umana e cristiana.
Se infatti non si entra in un circuito di donazione e di dono, che può portare anche alla Croce, ma sempre nell'ottica della Resurrezione, tutto il bene che è in noi si indebolisce e ci "ingolfa" nella problematicità dell'esistenza e della carnalità che portiamo dentro.
La nostra vita non sboccia.
C'è il rischio che la spiritualità diventi spiritualismo, il che è una forma velata di "carnalità".
C'è il rishio che la conoscenza intellettuale diventi intellettualismo, gnosi, un narcisismo avvitato e solido.
C'è il rischio che la logica diventi assolutismo di coscienza erronea, un meccanismo di difesa compensativo che non si apre alla Grazia e al sacrificio del "figlio unico".
C'è il rischio che la devozione e la parte emotiva diventi tutto zucchero ed obnubilamento, una droga continua a valori di dipendenza all'eccesso di glicemia spirituale; pornografia.
C'è il rischio che il carisma diventi un "corintizzare" in cui ci si divora a vicenda per il carisma più grande che, da tempo, si è obnubilato dietro un ego ipertrofico.
C'è il rischio che le opere buone compiute diventino occasione di ladrocinio e si trasformino in Pelagianesimo e sotto-derivati.
Come ricordava il Beato Giovanni Paolo II "La fede si rafforza donandola".
"La missione, infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno nell'impegno per la missione universale."
(San Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2, Proemio)
L'annuncio della fede, la capacità di donarsi per la fede, la capacità di offrire il nostro corpo per il bene dei fratelli e l'amore del Padre è il reale compimento della Trasfigurazione.
Altrimenti "lo stare bene sul monte con Gesù" non è più anticpo e profezia, pausa necessaria e pregustazione, ma luogo in cui scegliamo di fare un'unica volontà rassicurante ma mortifera:
la nostra!
PiEffe
La Provvidenza delude e supera le nostre aspettative
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Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi h
Anche noi diciamo "man-hu", "che cos'è", quando Dio provvede a noi nei modi e nelle forme che non ci aspettavamo. Ed è bene che Lui "deluda" le nostre attese pur senza privarci del "pane della provvidenza", qualunque esso sia. Infatti il nostro cuore ha bisogno di educarsi alla scuola della Sapienza e non a quella delle personali e piccine vedute di orizzonte e talvolta delle nostre isterie.
Quanto è difficile ma quanto è bello e compiuto (e realmente adulto) arrendersi veramente all'Amore del Padre.
Qui è la lode perfetta.
Chi sarà politicamente corretto non entrerà nel Regno di Dio
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Accade a volte che la mentalità comune e ciò che è politicamente corretto, talvolta "democraticamente" sostenuto, si scontri con il volere di Dio e la Sapienza divina. In quel momento si vede se siamo discepoli di Gesù o adoratori del vitello d'oro che ci siamo costruiti e a cui realmente, spesso, diamo il nostro Sì invece che darlo al Padre. Ogni giorno è occasione provvidenziale per rafforzare il nostro Si al Padre. Lo Spirito ci rafforzi e smuova le nostre accidie.
Il cuore va educato
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"Beato chi custodisce i suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
Con tutto il mio cuore ti cerco:
non lasciarmi deviare dai tuoi comandi. "
Perché il salmista dice "con tutto il cuore ti cerco" e successivamente, "non lasciarmi deviare dai tuoi comandi"?
Perché talvolta nei salmi si fa un'affermazione di fede e poi si cerca la conferma di questa affermazione con una preghiera al Signore?
Perché l'uomo della Bibbia, perfettamente realista, sa bene che il suo cuore è ferito e che le intenzioni, pur sincere, possono differire da una prassi concreta.
Anzi prima ancora da una volontà ferma e sincera.
Il salmista sa bene che il suo cuore può non essere autentico, non tanto per desiderio quanto per struttura. Il salmista sa di essere ferito e di essere ambiguo.
L'uomo della Bibbia non fugge da se stesso con meccanismi compensatori del senso di colpa come il perfezionismo, il legalismo o dall'altra parte il "progressismo" ma vive in una perpetua conversione chiedendo incessantemente l'aiuto al Padre.
Sa bene che la disciplina e le regole sono dentro la grazia stessa.
Egli si fa guerra e violenza non per disprezzarsi ma per amarsi e amare di più; anzi.. per arrendersi finalmente all'Amore.
In Esso vuole bruciare tutte le resistenze del cuore, tutte le debolezze, tutti i disordini e le superbie del profondo. Non desidera essere perfetto umanamente secondo i suoi criteri ma secondo la volontà di Cristo.
E' discepolo. E' a scuola dallo Spirito Santo. Sempre.
E se per ruolo e provvidenza è maestro, in realtà è sempre discepolo ai piedi di Cristo.
Qui pone il suo cuore perché sia educato, formato, ricostruito, purificato, disciplinato, modellato.
Non fa "fotografie" di sé perché il nome gli viene dato da chi lo ha amato da sempre prima che fosse tessuto nel "seno di sua madre".
Viene chiamato per nome da quella voce soave che tutto governa e tutto crea con bellezza inenarrabile e con gioia danzante.
Dall'ipocrisia a larghe vedute
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Vangelo secondo Matteo 7,1-5
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non giudicate, per non essere giudicati; perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.
Intervista a monsignor Valentino Miserachs Grau
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Pellegrino a San Giovanni Rotondo in occasione del festival musicale "Alma Mater" (organizzato dal m° Christian Grifa), mons. Grau racconta il suo speciale rapporto con il Santo di Piertrelcina Padre Pio.
La paralisi che non si vede
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(Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 2,1-12 della Domenica VII del Tempo Ordinario - Anno B)
Una paralisi che non si vede, il peccato, ma che invalida tutta la capacità dell'uomo di scegliere bene, usare bene la ragione, fare scelte sapienti, essere temperante nei propri passi.
Più si pecca e più ci si struttura nell'errore.
Fede e opere
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Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano
e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?
Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa.
Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.
Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!
Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza calore?
Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare?
Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta
e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio.
Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede.
Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
La sottolineatura dell'apostolo, molto concreta e sempre attuale, riprende l'eco dei richiami profetici che Dio ha fatto nell'Antico Testamento:
"questo popolo
si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me" ( Is. 29, 13).
Accento e richiamo ripreso da Gesù stesso nel Vangelo di Marco al capitolo 7. Una contraddizione ed una ipocrisia che non appartiene al mondo semitico in realtà; né al suo modus operandi. Infatti per il mondo semitico la parola conversione non è "Metànoia", cioè cambio di mente e di mentalità, come per il greco, ma "Shuv" cambio di direzione. La conversione a Dio è qualcosa che coinvolge tutto l'uomo, tutta la sua realtà, corporea, mentale, affettiva, volitiva, spirituale. L'uomo è per la Bibbia un tutt'uno. Tuttavia era evidente che già dai tempi del profeta Isaia e ancor prima con il peccato originale, l'uomo si è dissociato da sé proprio perché si è dissociato da Dio. L'uomo è spaccato. Nonostante l'approccio unitivo e pratico del mondo semitico, l'uomo finiva per vivere in una sorta di ipocrisia strutturata. Ipocrisia che Gesù combatte con tutte le sue forze proprio nei riguardi di tutti e specie nei Farisei.
L'ipocrisia infatti è un pericolo che ci appartiene. Soprattutto a noi credenti. A noi di Parrocchia. Di gruppi e realtà laicali. Talmente cresciuti con il catechismo e la catechesi, in realtà, chi ci incontra non vede la speranza che ci anima. Ma una sorta di quieto e mellifluo adattarsi alla mentalità mondana.
Non accorgendoci in primo luogo del povero - con ogni forma di povertà - che ci bussa alla porta, non siamo lontani da quel detto attribuito a quella regina: "non hanno i soldi per il pane.. si comprino i biscotti!".
Questo non riferito solo alle realtà materiali ma anche a quelle spirituali. Al pane del conforto e del perdono. Al pane della tenerezza o della forza. Al pane del richiamo fraterno o del silenzio carico di compassione. Al pane della Parola di Dio.

Tuttavia c'è un altro aspetto distorto che ha "usato" malamente questa parola di Giacomo. Quello tipico del pauperismo ateo ed ideologico di carattere sociale. Certamente fare il bene, fare gesti di carità e di attenzione verso i poveri è sempre un bene oggettivo. Ma Dio non guarda solo i gesti, guarda ancor prima le intenzioni. Nel nome di chi fai quel gesto? L'apostolo Giacomo infatti ricorda "ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede". Che, nel senso originario significa, ti mostrerò con le mie opere quanto Cristo è Signore della mia vita. Perché nel Suo nome compio ciò che compio e faccio ciò che faccio. Ma può essere inteso anche nel senso che la tua carità, vera, presunta o costruita, può rivelare o anche nascondere un egoismo, un amor di sé, una narcisistica idolatria che sconfessa l'opera delle tue mani. Non una fede in Cristo ma una fede che si auto-referenzia. Si da un "nome" da sola.
Questa è un'ipocrisia ancora più pericolosa perché dietro il bene di un'opera buona nasconde una radicale disobbedienza a Dio.
Proprio perché si fonda non sulla Signoria di Cristo ma su una Ego-latria.
Questo è il capolavoro di satana. Una menzogna autentica. Compi alcune opere buone - e tutti ti stimano - ma il centro del tuo operare non è la Carità di Cristo ma sei tu. L'effetto può a volte essere simile ma alla lunga - e neanche troppo - la dissonanza appare in tutta la sua virulenza. Tu stai facendo culto alla tua stima, al tuo io malato, al tuo delirio di onnipotenza. Al tuo bisogno, tutto infantile, di stare al centro dell'attenzione. Non parli e non agisci in nome di Gesù ma in nome della tua carnalità. Un certo "cattolicesimo democratico" e un certo "cattolicesimo sociale" punta molto su questo. Si compiono "tante" opere buone, si dona lavoro e benessere minimo all'uomo dimenticando del perché si fa questo.
E così l'ipocrisia è rovesciata: le tue opere mostrano che stai dando culto a te stesso.
Anche l'uomo che non ha il dono della fede ma che segue il lume della ragione e della retta coscienza ha pienamente davanti a sé la sua piccolezza e il suo limite. Ed in tal caso, questo è il bicchiere d'acqua all'assetato, la visita al malato e al carcerato di cui parla il Vangelo. Anche se non conosci Cristo, nel tuo intimo lo ami se veramente e il tuo io passa in secondo piano. Il tuo cuore sta amando in nome di Dio anche se non lo sai. Il tuo cuore desidera Cristo, anche se non lo conosci. Stai nel binario dei preambula-fidei.
Ma se invece usi la parola di Giacomo per ri-fondare una sorta di "cristianesimo anonimo", ma così anonimo che non è incarnazione ma "impantanamento", cioè dimentica il nome e la linfa vitale delle opere buone... Tu ti sei già perso. Tra l'altro con una ipocrisia difficilmente abbattibile, proprio perché ben nascosta dietro un gesto "buono".
Una sorta di fai-da-te, un vitello d'oro a cui presti tutti i tuoi incensi e i tuoi fumi.
Ma la vera carità sgorga nel "Timor di Dio" che è presente in forma larvale anche in un cuore che non ha la fede ma che opera rettamente secondo coscienza e ragione.
E' il Timor di Dio, la coscienza della tua creaturalità, della tua pochezza, che annuncia in maniera implicita o esplicita, tramite le tue opere, il fatto che tu non basti a te stesso ma che un Altro è principio e fine di ogni tua azione. Così ci insegnano i santi.. Francesco, Camillo, Madre Teresa, la loro presenza al povero, al malato, al lebbroso, all'indigente convertiva chi, guardando loro, vedeva l'amore di Cristo in azione. Vedeva la Chiesa. Vedeva la potenza della Speranza del Risorto. Vedeva il volto trascendente di Dio che ama gratuitamente e ti porta oltre ogni contratto, nella nostalgia del Cielo.
Il Signore ci protegga, dunque, da ogni forma di ipocrisia, quella delle azioni dissociate dalle parole; quella delle azioni dissociate dalla Carità di Cristo.
Dice infatti l'apostolo Paolo ai Cristiani di Corinto: "E se anche distribuissi tutte le mie sostanze e dessi il mio corpo per esser bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova. " (1Cor. 13,3).
E non solo non giova a te stesso ma danneggia la Chiesa e proprio il "sociale" a cui sembri tenere tanto... perché la vita del mondo dipende da quanto questo sia irrorato e fecondato dalla nostalgia dell'Eternità.
Paul
Il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli
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Libro di Isaia 56,1-3a.6-8.
Così dice il Signore: "Osservate il diritto e praticate la giustizia, perché prossima a venire è la mia salvezza; la mia giustizia sta per rivelarsi".
Beato l'uomo che così agisce e il figlio dell'uomo che a questo si attiene, che osserva il sabato senza profanarlo, che preserva la sua mano da ogni male.
Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: "Certo mi escluderà il Signore dal suo popolo!". Non dica l'eunuco: "Ecco, io sono un albero secco!".
Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza,
li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saliranno graditi sul mio altare, perché il mio tempio si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli".
Oracolo del Signore Dio che raduna i dispersi di Israele: "Io ancora radunerò i suoi prigionieri, oltre quelli già radunati".
Questa lettura è stata fonte di ispirazione della santa ira di Gesù verso i mercanti del tempio:
"Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: «La Scrittura dice:
La mia casa sarà chiamata casa di preghiera
ma voi ne fate una spelonca di ladri». (Mt. 21, 12)
Dio protegge il misero e aspira all'equità. Tutte le volte che si crea un sistema di speculazione, specialmente verso il povero, Dio ci dona la sua ira. Ogni sistema economico di speculazione diretta ed indiretta, cioè che provoca un danno immediato o, peggio ancora, crea e sostiene un sistema iniquo di speculazione e compravendita, non è gradiito a Dio. Perché? Non solo perché non rispetta la giustizia in sé ma perché immette il povero e il disagiato, il debole, l'orfano e la vedova, il disabile e lo straniero, nella condizione di dipendere dall'iniquità. Di dipenderne e di rimanere stritolato e mai sazio in un sistema di "cisterne screpolate".
Il significato però è ancora più ampio. Tutte le volte che noi facciamo "mercato di colombe", nei pressi del tempio, cioè "usiamo" Dio per i nostri tornaconti, le nostre piccinerie - come Giuda Iscariota - stando attaccati come edera a doni spirituali, a carismi, a ruoli ecclesiali, a spadroneggiare sulla debolezza delle anime. Ebbene in tal caso noi "cosifichiamo" Dio, lo immettiamo nelle nostre isterie. Non siamo più eterni discepoli, ma presuntuosi e superbi avversari; di Dio e del fratello. Non siamo più servi e diaconi, ma proprietari di ciò che non è nostro. Pertanto occore che l'Avvento ci prepari con Maria e come Maria ad essere "casa di preghiera, per tutti i popoli". Questo è il nostro presepio e la nostra culla per il Re dei Re: preparare qui ed ora, nella nostra carne, il luogo della sua venuta. Ogni pensiero, ogni passo, ogni scelta, ogni desiderio, ogni azione e intenzione, alla Luce della Luce, perché la Luce venga.
PiEffe
Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi
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non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte. (dal salmo della S. Messa di oggi - venerdì II settimana di avvento - Anno A )
Sostituendo la parola "malvagio" ad "empio" si è voluto adottare un linguaggio corrente (lo stesso che usa la nuova KJV) con il rischio però di travisarne il senso profondo.
Purtroppo la differenza non è poca cosa.
Con la speranza che i parroci e i catechisti spieghino bene il senso della parola "malvagi" in questo caso.
Ad ogni modo chi è l'empio?
E' colui che non riconosce Dio e non gli rende culto.
Il popolo d'Israele indicava con tale significato anzitutto i pagani e poi anche coloro che conducono e/o si ostinano su vie di peccato.
Peccato tanto più grave quando è accompagnato dall'ingiustizia verso "l'orfano e la vedova", cioè verso i poveri e gli indifesi.
La chiarificazione reiterata e tagliente di Gesù verso i Farisei infatti è proprio un'accusa di empietà.
Con la scusa di osservare le leggi se ne tradisce la sostanza non rispettando l'uomo nei suoi bisogni primari.
Bisogno di essere amato, di essere accolto, bisogno di essere sostenuto e aiutato.
Ad esempio il ricco Epulone non è "empio" perché ricco, ma perché non ama e soccorre Lazzaro.
Lazzaro che viene alleviato dalle sue ferite persino perché leccato dai cani. I cani nel linguaggio corrente al tempo di Gesù erano anche i pagani.
Gesù ancora una volta stravolge l'appartenenza formale a Dio facendo capire che chi ama ascoltando la voce misericordiosa del proprio cuore cessa di essere empio.
Chiariamo però - i tempi lo esigono - che misericordiosa non significa buonista, ma buona.
Il primo peccato di empietà nella bibbia è quello di Adamo ed Eva. Il peccato originale è un peccato di empietà.
Segue il peccato di Caino, che costantemente vive roso dall'invidia e dalla gelosia verso Abele.
Empietà che porta all'omicidio del giusto.
Caino aveva il viso rivolto su di sé negando a se medesimo la stima che viene da Dio e non rendendo culto all'Altissimo.
Tutto il vecchio testamento sottolinea spesso il peccato di empietà, dei lontani e soprattutto di Israele.
S. Paolo a sua volta nella straordinaria lettera ai Romani parla dell'empietà riferendosi ai pagani dicendo: "essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa". Ragionamenti ottusi che hanno portato i pagani a giustificare l'omicidio, l'impurità, l'affettività contro natura, l'aborto, la pedofilia e la dissolutezza.
Tuttavia leggendo bene San Paolo (a cominciare dal capitolo VIII della lettera ai Romani) si comprende che tale situazione di empietà non riguarda solo i pagani ma anche coloro che, ricevendo il dono dello Spirito Santo, con il battesimo, si comportano, di fatto, come se Dio non ci fosse.
Non riconoscono il "debito" verso lo Spirito Santo, non lo ascoltano e non gli obbediscono.
Tale caratteristica di empietà dunque è il principio di ogni vita divisa in cui si "appare" giusti ma si fanno scelte ingiuste ed empie che non rendono gloria a Dio.
Non è azzardato dire che questa è, spesso, la nostra condizione.
Ogni battezzato che non ascolta la Parola e non si fa illuminare la coscienza dal magistero e dalla tradizione della Chiesa, anche se frequenta la Parrocchia, i gruppi ecclesiali, o magari è sacerdote o consacrato, tutte le volte che compie scelte conniventi con il male ed ingiuste si comporta da Empio.
Cioè vive come se Dio non ci fosse.
E' il relativismo di cui parla spesso il Santo Padre.
Ognuno deve stare in guardia perché le tendoziosità scismatiche (mascherate con un diritto di agire e pensare secondo coscienza) sono il segno rivelatore di un'empietà di fondo.
Empietà che colpisce i progressisti e i tradizionalisti.
Empietà che colpisce ad esempio i forzatori dell'interpretazione del Concilio Vaticano II a cominciare dalla scuola di Bologna a terminare con visioni totalmente opposte.
Dobbiamo fare attenzione a noi stessi e al nostro cuore malato!
Ora è relativamente semplice individuare il malvagio ma l'empio si nasconde assai bene.
Per questo l'anticristo, in certo qual modo, è più pericoloso di satana perché ne è la sua manifestazione più totale.
L'anticristo è la manifestazione reale dell'empietà.
Si camuffa di libertà, di autonomia, di autodeterminazione, di progresso o di conservatorismo. Cambia l'aspetto e il contesto ma il seme malato è lo stesso: l'empietà!
In definitiva l'empio cosa fa? Rende culto a se stesso.
Sacrifica tutto sull'altare della stima che egli si dà e che riceve dagli altri; uccide Dio e le sue vie.
E' colui che cerca di piegare Dio ai suoi capricci e alle sue ideologie. Non c'è niente di più "dopante" che usare Dio con spiritualità, cosificare l'Altissimo per le nostre idee.
Sentire sulla pelle l'imprimatur che diamo a noi stessi credendno - e facendo credere - che ce lo da Dio.
Ancora una volta la virulenza del peccato originale, l'essere dio senza Dio, si fa presente.
Per questo la Vergine è perfetta perché ribalta, in quanto creatura, totalmente questa visione. Se l'uomo è empio, Lei è la pietà.
Giuda nel vangelo ha anzitutto peccato di empietà e di deicidio perché ha ucciso la Signoria di Cristo nella sua vita e nelle sue scelte.
I trenta denari sono il capitolare di scelte del cuore, quotidiane, che lo hanno portato a dare culto alle sue idee e non al Signore Gesù.
Ebbene noi siamo spesso Giuda. Noi siamo il ricco Epulone. Noi siamo i farisei. Noi spesso più pagani dei pagani.
Onoriamo con le labbra ma obbediamo alla logica empia del mondo e della carne. Per comodità e per vanità. Per accidia e avarizia.
Ogni scisma ed eresia nella Chiesa, manifesta o nascosta, magari dietro un operato di servizio e di carità, è una manifestazione di empietà. Manca la gratuità più totale.
In fine per San Paolo l'empietà è avarizia, idolatria durezza di cuore, sclerocardia. Incapacità di avere un cuore "caldo" per il fratello.
Ecco perché Gesù esorta a pregare per i nemici.
Chi non è empio prega per i propri nemici e i propri persecutori.
Pur chiamando bene il bene e male e il male, senza confusione e relativismi, riconosce il bene più grande che è la salvezza delle anime.
Colui che è discepolo arde dal desiderio che ogni uomo e ogni donna sia più santa di lui. Ma non lo pretende; infatti tratta con durezza anzitutto se stesso.
E poiché il giusto sa di non possedere nulla ma di essere debitore, restituisce tutto ciò che ha ricevuto con l'offerta di sé e con il sacrificio della lode. Specialmente verso i nemici e i persecutori.
Per tale motivo l'empio non è libero mentre l'uomo di pietà è libero;
perché chi vive di pietà è povero, e ricco solo dell'amore e della forza di Dio.
Se l'anticristo, nelle sue manifestazioni storiche, è la personificazione dell'empietà, la Vergine Maria è la personificazione più totale e piena della Pietà.
Ella è la creatura che, costantemente, si fa Pietà, lode a Dio e rendimento di grazie, con il sole e con la pioggia; nella gioia e nel venerdì e nel sabato santo; "non va in cerca di cose grandi superiori alle sue forze" (Sl. 131) e proprio per questo viene resa degna, nello Spirito Santo, di contenere l'incontenibile e di donarlo al mondo. Senza riserve.
di Paul Freeman
Nel tempio del Signore, tutti dicono: «Gloria!»
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Il tempio del Signore è il luogo dove ciascuno è rivolto verso di Lui, con tutto se stesso, come a Sole che sorge.
Non è luogo dove guardare a sé e dare gloria al proprio ego, ma il luogo dove impariamo la rettitudine dell'Amore e la Sua Giustizia. La Sua Sapienza.
Non è un posto per la gelosia e l'invidia né per l'attacamento spasmodico ai ruoli ricevuti come consegna.
E' Lui ed il guardare a Lui che ci qualifica, ci dona di essere e di esistere, di gioire ed amare, di soffrire e offrire, perdonare ed essere perdonati.
E' il luogo dove ci purifichiamo dai pensieri e dai fantasmi, dalle ideologie e persino dalle "proiezioni" di Lui che abbiamo accumulato nel tempo; "immagini" a volte necessarie che Lui ha concesso venendo incontro alla gradualità e alla povertà del nostro cuore. Lui sommo pedagogo.
E' dunque luogo di trascendenza, di gradino in gradino per essere più suoi e diventare pienamente umani.
Non si diventa umani attacandosi alla terra, né portandola con sé come fardello, ma cercando sempre di più il suo volto misticamente. Perché la via mistica è quella di ogni battezzato. E non c'è frutto nel mondo se non da coloro che tendono alla Via Mistica.
Dice infatti il salmo :
Date al Signore, figli di Dio, *
date al Signore gloria e potenza.
Date al Signore la gloria del suo nome, *
prostratevi al Signore in santi ornamenti.
e quali sono questi santi ornamenti?
Anzitutto la coscienza sempre viva e presente di essere un nulla amato e sostenuto dal Suo Amore, che ha compreso che Dio si vede meglio e più chiaramente - e che si ama più autenticamente i fratelli - stando all'ultimo posto.
Ultimo posto che non è tanto quello che scegliamo noi ma quello che Lui ci dona, dal primo all'ultimo banco, nelle vie dell'obbedienza...
cio che conta non è quello che fai, né quello che sei, ma che la tua persona, il tuo cuore e la tua vita dica con un grido: Amen, gloria, sapienza, onore e potenza a colui che è che era e che viene!
Questo solo conta e da gioia.
La donna che teme Dio è da lodare
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Una donna forte chi potrà trovarla?
Ben superiore alle perle è il suo valore.
In lei confida il cuore del marito
e non verrà a mancargli il profitto.
Gli dà felicità e non dispiacere
per tutti i giorni della sua vita.
Si procura lana e lino
e li lavora volentieri con le mani.
Stende la sua mano alla conocchia
e le sue dita tengono il fuso.
Apre le sue palme al misero,
stende la mano al povero.
Illusorio è il fascino e fugace la bellezza,
ma la donna che teme Dio è da lodare.
Siatele riconoscenti per il frutto delle sue mani
e le sue opere la lodino alle porte della città.
(Pr 31,10-13.19-20.30-31)
Chi è questa donna di cui parla la prima lettura della XXXIII domenica del Tempo Ordinario - Anno A?
Chi è questa donna che teme Dio?
Non è solo la figura femminile che talvolta è presente nella storia, in una santità manifesta o nascosta, "religiosa" o laicale.
Questa donna è la Chiesa che attende il suo Sposo, Cristo.
Questa sposa, tutte le volte che, nei singoli membri e nel suo insieme vive nel timor di Dio e si comporta con giustizia, è la rassicurazione e la gioia del Suo Sposo, Cristo.
In preparazione all'Avvento del prossimo anno liturgico, ormai vicino, occorre essere consapevoli di essere questa sposa. Responsabilmente. Il cristiano non dice solo "io", ma dice assieme anche il "noi". Nessuno che prega, digiuna, studia, adora, e cammina nella conversione lo fa solo per se stesso.
Nessuno che ha un dono nello Spirito lo possiede solo per se stesso.
Ma Dio è tutto in tutti e a ciascuno è dato un dono perché la fruizione e la santità della sposa sia manifesta secondo Sapienza. Ecco perché ora nessuno preghi e compia la carità pensando solo a sé ma preghi e si doni in comunione con il Santo Padre, i Vescovi, e tutto il popolo di Dio, che, disperso nel mondo, grida e attende lo Sposo.
Grida e attende lo Sposo assieme allo Spirito e nello Spirito Santo con un gorgoglio continuo, che è ansia e desiderio, quello vero.
Questo è il momento dell'Amore, questo è il momento di allargare il cuore.
Maranthà, Vieni Signore Gesù, la terra ti attende, Alleluja!
La Dossologia - il momento più alto della Celebrazione Eucaristica
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Ecco perché è fondamentale partecipare alla S. Messa Domenicale e alla S. Messa proposta in straordinari eventi ecclesiali, diocesani e non.
Questo viene prima dei gruppi di lavoro, del fare per il Regno, delle progettazioni e del confronto, dell'apologia e della teologia. Il Regno, infatti appartiene a Dio ed è Lui che lo fonda e lo conduce a partire da quell'Altare e da quella Parola.
A partire dall'esultazione Trinitaria Dossologica della S. Messa, a cui, per buona regola di cuore, di mente e di appartenenza, rispondiamo con un deciso e gioioso: Amen!
Essere presenti li, a quel dono incommensurabile, al poter pronunciare quell'Amen sta tutta la nostra dignità e tutta la vita (vera) delle nostre comunità e tutta l'incidenza reale al "luogo" dove il Signore ci ha posti; con qualunque ruolo vocazionale e qualunque ruolo sociale.
In quell'Amen per Cristo, nello Spirito Santo verso il Padre sta tutta la nostra dignità, il nostro futuro e la nostra gioia. Quell'Amen ci rende più umani capaci di fecondare la terra del nostro pellegrinaggio.
Davanti a Dio che parla la cosa migliore che possiamo fare è il Silenzio.
Davanti alla proclamazione dossologica la cosa migliore che possiamo fare noi è lodare nel canto.
È il momento del ritorno in Cristo asceso e già presente con la nostra carne nel Cielo, presso il Padre.
È momento pneumatico per eccellenza che riverbererà nell'Amen che pronunciamo davanti ricevendo Gesù Eucarestia.
Ed ecco che il Silenzio significa la proclamazione dossologica nel canto e la proclamazione dossologica nel canto riporta al Silenzio dell'Amen di Cristo che tutto sostiene come Verbo armonico, musicale e sinfonico ogni cosa nell'Amore di Dio.
Nel silenzio Cristo discende, nel canto Cristo risale con noi nello Spirito Santo verso il Padre nell'istante dell'Eternità nel tempo della Dossologia.
«Dov’è mai che contanto desiderio e tantaassiduità si corre allechiese e ai sepolcri deimartiri così come aRoma? Dov’è mai chel’Amen rimbomba simile a un tuono dal cieloe si scuotono i vani templi degli idoli così come aRoma? Non che i Romani abbiano un’altra fede,se non questa, quella cioè che hanno tutte leChiese di Cristo; ma ciò si deve al fatto che in essila devozione è maggiore, e maggiore è la semplicità per credere»
(S. Girolamo, in Gal 2, r; PL 26, 355c)
La proclamazione Dossologica nel canto non è dunque un momento della Celebrazione ma è il culmen, il momento dell'Incarnazione, Redentivo, Soteriologico, Creativo, Cosmologico che tutto significa nel disegno nascosto da secoli eterni. Il mistero (Ef. 1,1ss) per cui noi siamo stati radicalmente amati e pensati, ciascuno di noi.
Paolo Cilia
La Fedeltà dell'Amore
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LETTURA BREVE 2 Tm 2, 8.11-13
Ricordati che Gesù Cristo, della stirpe di Davide, è risuscitato dai morti. Certa è questa parola: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo rinneghiamo, anch'egli ci rinnegherà; se noi manchiamo di fede, egli però rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.
Il contrasto retorico usato dall'apostolo potrebbe far pensare che se noi rinneghiamo Cristo Egli ci rinneghi con un atto di opposizione al nostro rinnegarlo. Come a dire: tu non mi ri-conosci davanti al mondo, al tuo quotidiano? Beh allora tu mi sei indifferente. Ma il senso di questa parola non è certo questo ma è piuttosto la parte finale del versetto: Egli rimane fedele. Proprio perché Cristo rimane fedele a se stesso, alla sua serietà e al suo amore per te se tu lo rinneghi e sei infedele (nei fatti e nel cuore) Egli ti rinnega, cioè rinnega la tua infedeltà. La Sua fedeltà d'Amore è baluardo perenne. E' fortezza inespugnabile. E' certezza sopra ogni certezza. Egli ti ama di un eterno presente. Punto.
Proprio a casua della sua fedeltà di Amore Egli ci aspetta sempre a braccia aperte nel Sacramento della Riconciliazione. Tuttavia è indispensabile che si acceda a tale sacramento con l'animo e la decisione di colui che, pur nella propria debolezza, desidera fermamente rompere con il peccato e con l'infedeltà. Bisogna sforzarsi di entrare per la porta stretta. Egli è dietro di te, con te e davanti a te nella fatica del tuo trasfigurarti nello Spirito Santo.
Su come noi possiamo essere infedeli poi potremmo parlare a lungo.
Il rinnegare, il mancare di fede, non è solo qualcosa riferito al peccato attivo ma anche all'omissione: al non fare il bene quando potremmo, alla codardia e alla vigliaccheria. Al terribile male dell'accidia. Accidia dei fatti e della parola.
Alla macanza di apologetica in senso compiuto, testimoniale, verbale, caritativo.
Di fatto noi siamo più spesso coloro che peccano non perché compiono il male ma perché, per opportunismo, non compiamo il bene, magari anche scomodo. In definitiva non agiamo nella Carità. Non abbiamo cura del fratello ma, nel cuore, ci comportiamo, pur senza armare la mano ma spogliandola della carità e del "take care", come Caino.
E giustamente Dio ci dirà: Dov'è tuo fratello?
Quanto lo hai amato e servito?
Quanto hai dato il buon esempio?
Quanto lo hai amorevolmente corretto?
Quanto ti sei preso cura della sua santità?
Quanto lo hai rispettato in tutti gli aspetti della sua persona?
Quanto ti sei fatto animare da convenienze provinciali e borghesi, politiche e sociali e non l'hai invece amato sinceramente con passione e rispetto alla luce del Vangelo e della Chiesa?
Quanto lo hai saziato nel corpo e nel bisogno di eternità?
Quanto ti sei pianto addosso senza invece aiutare il fratello a guardare in alto?
Quanto lo hai perdonato di vero cuore?
Rimanere nella Sua faretra
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Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all'ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua feretra.
Il Signore forma i suoi profeti. Li chiama da sempre con tenerezza e con forza perché possano annunziare la Parola del Signore. Tuttavia la loro dignità non sta tanto nell'annunziare la Sua Parola quanto nell'essere riposti nella Sua faretra. Cioè nell'essere a servizio sempre pronto di Dio, perché intimi con Lui. Non conta tanto il risultato, non conta quanto diciamo ma l'essere nella sua faretra.
Essere suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo. Essere intimi ed essere disponibili al servizio.
Forse, qualcuno pur essendo potenzialmente pronto ad annunziare rimarrà nella faretra. Forse per tutta la vita.
Non è questo un destino meno grande di chi viene invece da Lui lanciato come freccia.
Infatti la dignità è rimanere nella Sua Faretra, riconoscendo realmente che Dio è il Signore della storia.
E' Lui che umilia ed innalza, alza ed abbassa, decide quando è il tempo della Parola e quando quello del silenzio.
Quando è il tempo del fare attivo e quando quello del fare paralizzati dalla malattia e dall'impotenza.
Il mondo non conosce questa sapienza perché conosce e tocca solo quello che "produce con le sue mani e a propria gloria".
Il profeta è anzitutto un discepolo che sceglie di stare nella Sua faretra prima ancora di essere lanciato. Il profeta cerca la gloria di Dio, non la propria.. perché sa che la "nuova evangelizzazione" parte da li: nell'essere di Lui.
Con gioia ed appartenenza, sempre pronti al servizio e alla testimonianza.
Sempre pronto a dare la vita come il Suo Maestro.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare
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+ Dal Vangelo secondo Luca
Vangelo
Lc 17, 5-10
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Aumenta
la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede
quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo
gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi
ascolterebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare
il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni
subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami
da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché
io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito
gli ordini ricevuti?
Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è
stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare» .
Parola del Signore
Meditazione
Il peccato originale ci ha disordinati dal di dentro.
Da allora ogni gesto, pensiero, azione necessita sempre di un cammino di purificazione.
Anche alla porta delle buone opere si nasconde la nostra vanità.
Il sentirci qualcuno perché compiamo del bene. Cioè il fondare la stima su ciò che di buono stiamo compiendo.
La stima degli altri è importante. Un buon nome è importante. Tanto che nei comandamenti quanto si dice di non dire falsa testimonianza si intende anzitutto, facendo eco al settimo comandamento, di non rubare la stima del fratello, non diffamarlo, non mormorare, non detrarre agli occhi degli altri il bene che egli eventualmente compie e soprattutto il bene che egli è. Ma Gesù ci richiama al cuore.
Poiché Egli vuole il meglio per noi e ce lo vuole donare.
Desidera che non attacchiamo il cuore neanche alla nostra buona fama, ma anzi che fondiamo la stima di noi stessi non su quello che gli altri pensano di noi, né sul bene o sulle opere che compiamo e neanche sui talenti che abbiamo, piccoli o grandi.
Egli, che conosce fino in fondo la nostra natura, desidera che fondiamo la nostra stima sull’amore che Egli ha per noi. Egli che non “ci ha amato per scherzo” ma ha dato se stesso per ciascuno di noi.
Per te e solo per te Egli avrebbe sofferto i suoi inenarrabili patimenti spirituali, psicologici e fisici, e solo per te, per il tuo amore e la tua felicità, per la tua bellezza, sarebbe morto. Per Te è Risorto. Su questo amore unico per te. Su questo amore unico per il tuo fratello si fonda la stima del credente.
Tutto il resto è vanità proprio perché pur essendo importante è sproporzionatamente nulla (sterco direbbe S. Paolo) davanti all’intimità e all’Amore di Cristo.
Come scoprire se sei attaccato più al tuo buon nome che all’Amore di Cristo?
Quando nonostante le contrarietà e la diffamazione scopri che non importa quanto vali, ma quanto sei amato da Lui.
Quando riconosci di essere un prezioso nulla agli occhi di Dio.
Quando dici con il salmista “non a noi Signore, non a noi ma al tuo nome da gloria!”.
Che significa: “Signore fa che gli uomini incontrino Te e riconoscano Te come fonte di ogni bene e che io sono un nulla, tuo servo e ti sono grato per tutto ciò che mi hai donato per poter amare, servire, creare, lavorare.
Non mi interessa il mio posto ma mi è sommamente a cuore il Tuo posto nella mia vita e nella vita dei fratelli.
Tu che sei la bellezza sopra ogni bellezza e il bene sopra ogni bene".
Nella prova, nell’inutilità sociale e nella malattia, nella vecchiaia e nell’handicap, nell’emarginazione, magari fuori le mura di Gerusalemme, riconosci quanto Egli per te ha desiderato il meglio e tu sei chiamato a non far crescere nel cuore la rabbia ma la compassione e la misericordia.
Soprattutto verso i tuoi nemici.
Permettendo al Perdono di Dio di rigenerarti a vita nuova.
Questo puoi fare: allenta la presa, abbandonati fiducioso e non “trattenere” la mano potente di Dio nella tua vita.
Non avere paura.
Sciogli le antiche catene, si aprano le porte antiche ed entri, ora, il Re della gloria!
Scopri che servire è la massima dignità che hai come uomo ed è il più grande privilegio.
Forse la provvidenza ti chiamerà ad un ruolo di guida ma tu desidera sempre di essere all’ultimo posto non per “fare la parte” o per falsa umiltà ma perché riconosci che Lui è il protagonista dei cuori e della storia.
Tutto il resto passa con la sua vanità.
Dio regna, Dio regna!
La sua lampada è l'Agnello
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Ap 21, 10.23
L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. La città non ha bisogno della luce del sole né della luce della luna, perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
Nella logica del Regno di Dio è presente il principio della gradualità. Principio stesso che Dio ha radicato nella storia e nella Sacra Scrittura. Principio fondante del cammino pastorale universale e locale.
Nessuno può raggingere un obiettivo se, dal punto in cui si trova, non comincia a fare un cammino di trascendenza e di trasfigurazione. La vita cristiana è un cammino, di gloria in gloria.
Quando il Padre ci ha detto sul monte Tabor "Ascoltatelo!" (Mt. 17,5), non ci ha indicato solo un moto della mente e del cuore ma una promessa, un impegno che Dio stesso ha preso con noi: guardate a Lui e sarete raggianti! (Sl. 34,6)
Dio stesso ci ha ripetuto questo invito sul monte delle Ascensioni quando ci ha detto, tramite i suoi angeli, «... Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo".» (Atti 1,11)
Dunque con il comando di Ascoltare il proprio Figlio, il Padre ci ha detto sin d'ora qual è la nostra casa.
E se la nostra casa è il Cielo perché mai desideriamo possederne una su questa terra?
Il camminare sulla terra, il "possedere" delle cose dev'essere funzionale alla nostra vera "residenza", il Cielo.
Ma questo non è atto distaccato dal quotidiano anzi è atto che impegna ogni istante del quotidiano di farci scala verso il Cielo. E come?
Vivendo la propria sequela non come atto solipsistico o privato ma come atto che "informa" i nostri passi.
Se tu vivi da onesto cittadino, adempi i tuoi doveri di uomo, sei fedele alla parola data, piccola o grande, vivi con onestà le tue relazioni e con pudore i tuoi passi, se fai tutto questo nel nome di Cristo, cercando di elevare la terra al Cielo, allora per te il Tabor non è vano.
Se non vivi la tua spiritualità come "cosa tua" ma come perenne rendimento di grazie.
Se sui tuoi occhi si vede che appartieni a Cristo e non sei spaccato tra Dio e la vanità del mondo.
Se ti senti pellegrino su questa terra e vuoi che le radici raggiungano il Cielo.
Se sei forte e gentile nel nome di Cristo, tenero e fermo, materno e paterno nel nome di Gesù Risorto.
Se giudichi senza giudicare, scegli senza condannare.
Se la gioia di Cristo è più forte di ogni tribolazione, interna ed esterna.
Se sei affabile ed acogliente così come Dio accoglie te e la tua miseria ogni giorno.
Se servi la Chiesa intorno a te come Dio serve te con amore e appartenenza ogni istante.
Se ti trasfiguri nella lotta gioiosa di ogni giorno ascoltando con docilità i moti dello Spirito Santo, il tuo "uomo nuovo si sta rinnovando di giorno in giorno!" (2Cor. 4,16)
Il Tabor dunque non è solo una manifestazione ed un incipit ma una promessa, un dono, una eredità da accogliere e da custodire, con "i denti" e con passione.
Tu sei responsabile anche del Paradiso dei tuoi fratelli, tanto quanto desideri per loro, con rispetto e passione, che essi siano santi santificando te stesso e ponendoti come Gesù, come un servo.
Per il principio dei vasi comunicanti spirituale, più ti avvicini al Cielo e più attiri al Cielo ogni uomo e donna, anche i nemici. Non sta a te sapere come né i tempi. Anzi meno sai più porti frutto, perché non permetti all'avarizia e alla ferita del tuo cuore di impossesarsi di certezza, ma piuttosto di vivere, il "perfetto abbandono nella mani del Padre!"
Vivi la promessa e il dono come un impegno, non perdere un istante, un fiato ed un sussurro. Non curvarti nella tua miseria ma sii grato di poter guardare in alto.
Dunque, "Ascoltalo!", questa è la tua dignità.
Qui le letture del giorno
La Vita della nostra vita
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Chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.
La vera retorica acquista senso, colore e peso quando non è funzionale ad un semplice ragionamento astratto ma quando esprime - a volte pallidamente - la potenza di un'esperienza inenarrabile. Come quella di San Paolo nel capolavoro delal Lettera ai Romani dove l'apostolo schiude il suo cuore e rivela la potenza dello Spirito Santo che agisce in Lui. Se Maria è la "pisteusasa", la credente, Paolo è il "convertito" che sempre si converte.
Quando l'apostolo parla di tribolazione, angoscia, fame e nudità, pericolo e spada, non parla di qualcosa di immaginario ma esprime il suo stato esistenziale. Narra la sua esperienza. Ne approfitta dell'esistenza per parlare della sua esperienza di Dio che però diventa il paradigma di ogni cammino cristiano autentico.
La vita cristiana è infatti vita mistica.
La tribolazione e l'angoscia non vengono tolte al cristiano. Così come la nudità e il pericolo, persino la spada. Ma queste vicende - interiori ed esteriori - sono relativizzate perché non producono separazione della creatura dal creatore ma, anzi, ne rafforzano la consapevolezza di appartenenza.
L'apostolo sembra dire non tanto "nonostante questo io appartengo a Dio.." ma piuttosto "..tutto questo è nulla e, talvolta, veicolo a rafforzare la mia appartenenza".
La sovrabboddanza dell'Amore di Cristo che viene riversato nei cuori è talmente imponente, incessante, sovrabbondante, traboccante, che tutto il peso della nudità e dell'angoscia, della tribolazione e della sofferenza, che pure permane, viene ridimensionato.
L'Apostolo ha coscienza di appartenere a Cristo. Qui la sua santità e santificazione.
Anche Francesco di Assisi, una volta parlando a fra Masseo che, mosso da invidia e stupore, gli chiedeva: "perché tutti vanno dietro a te, non sei bello, né nobile.." e Francesco, che si conosceva, come nessun altro, rispondeva: "perché il Signore non ha trovato nessuno più peccatore sulla terra su cui riversare la Sua Misericordia". Francesco non usa sterile retorica - non fa, come noi faremmo nella nostra falsa umiltà, una mossa di stile - Francesco parla di sé. Si conosce. Ha capito. Ha visto l'amore trabocannte di Dio e parla di un'esperienza fatta carne e storia.
Che meraviglia e che canto di lode quando la nostra parola è così schietta, centrata nell'amore di Dio.
Qui nasce la nuova evangelizzazione, nel narrare con la vita e la parola, il silenzio e il suono, la parola piena e ridondante, la salute e la malattia, l'azione e l'infermità, i fatti e i gesti, che Cristo è Signore, e non ve ne sono altri.
La gioia del risorto diventa un vincolo inescindibile che ritma il nostro respirare, l'alzarsi e l'abbassarsi del nostro petto, e il ritmo del cuore nel petto.
Noi siamo suoi, a caro prezzo, come rimanere immobili?
Come non restituire e narrare di quanto ci ha resi uomini?
Glorifica la tua mano e il tuo braccio destro
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Ti riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto *
che non c'è un Dio fuori di te, Signore.
Rinnova i segni e compi altri prodigi, *
glorifica la tua mano e il tuo braccio destro.
Questa invocazione del Cantico del Siracide è il desiderio dell'apostolo e dell'apologeta, il desiderio ardente che tutti i popoli, specie i più lontani (che talvolta sono i più vicini), possano riconoscere il Signore. Si esorta a compiere prodigi talmente evidenti affinché si possa suscitare la fede.
Glorificare la mano e il braccio destro di Dio significa invocare con forza l'azione di Dio nella storia.
Tuttavia nessuno può invocare compiutamente "la gloria di Dio" se egli stesso diventa impermeabile all'azione "della mano e del braccio destro di Dio". Cioè se pone in sé medesimo quegli ostacoli che impediscono a Dio di far si che Egli sia il Signore unico della propria vita.
Ci sono infatti alcuni che nella non-sobria ebbrezza di sé si ritengono il braccio destro e la mano di Dio. In uno spettro che oscilla dal fanatismo alla patologia passando per il devozionalismo. Non sempre sono tradizionalisti, talvolta progressisti. Però chi vuol essere la mano destra del Signore, dimentichi se stesso e desideri essere piuttosto un cuore nascosto. Una scopa che si usa al bisogno e che sovente viene messa dietro la porta. Cerchi non per opportunismo clericale o per piaggeria ma per intima convinzione di stare all'ultimo posto. Cristo, infatti, è Signore che serve e la diakonia è uno dei caratteri essenziali del cristiano. La Chiesa non ha bisogno né di "clericalismo", né della "chiesa di base" che è un danno ancor più grande. Chiesa di base che, scava scava, quasi sempre è fondata sul desiderio di dar-si un nome e non di riceverlo da Dio.
Se il laicato vuole servire realmente la chiesa cerchi di essere discepolo del Signore e della Chiesa. Infatti non è vero che mancano pastori santi e capaci, mancano piuttosto dei veri discepoli. Quando c'è il discepolo si suscita sempre il pastore. Siamo noi che manchiamo di discepolato. Il quale non è cosa servile ma lucida e virile. Occorre pochissima forza per far parte del filone clericale o per far parte del filone della chiesa di base. Occorre invece essere "padroni di Sé" per essere discepoli. Occorre far maturare il proprio camnmino vocazionale. Occorre risolvere i nodi che ci impediscono di essere docili e manuseti e forti solo quando occorre. Solo chi è discepolo cresce nella tenerezza e nella compassione. Occorre guarire dalle ferite genitoriali per assaporare pienamente l'abbandono nelle mani del Padre. Il discepolo infatti non teme la persecuzione, neanche da coloro da cui si dovrebbe aspettare riconoscenza e paternità. Anzi volentieri ricorre proprio a loro umilmente. Non sbraita e non urla ma fa valere le proprie ragioni con la gioia e la fermezza dei discepoli del Signore. E, soprattutto, riconosce che Dio regna; Egli è il Signore della storia. Di ogni storia. E affida a Dio il compimento di ogni giustizia e non nell'opera delle sue mani. Non c'è attività più alta e ordine più compiuto del discepolato. Solo così, veramente, si glorifica la mano del Signore e il suo braccio destro... e cioè solo così si comprende l'intimità di Dio.
Rendersi disponibili al cambiamento
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Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire,
né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.
Non nega, l'apostolo, la tribolazione, la persecuzione, la nudità e persino la spada... ma le pone al posto giusto. Non sono inciampo, non sono separazione, non sono abbandono, ma, persino, talvolta, il segno prezioso che Lui ci ama. L'eterno presente dell'Amore di Dio per ciascuno di noi relativizza queste prove. Ma per far si che tu riceva un amore più grande il tuo cuore va "provato" (e dunque anche la tua vita, la tua esistenza, la tua storia, il tuo peregrinare) in maniera sempre più autentica e profonda.
Radicale.
Certo è che se tu ti piangi addosso borghesemente, ti crogioli nelle piccinerie della tua croce, non potrai assaporare gli spazi sconfinati dell'Amore di Dio per te. Occorre dunque una prova. Ma che sia autentica. Diceva un vecchio frate: "Pensavo fosse fede ed invece era solo buona salute!"
Spesso dietro una certa sofferenza che ci portiamo dietro si nasconde un costante narcisismo. Sentiamo che la sofferenza ci realizza e dunque teniamo sempre il volto su di essa. Potremmo dire che diciamo talvolta: "soffro dunque sono!". Ma è palese che questo non è cristianesimo ma idolatria paganeggiante. La prova e la sofferenza sono e saranno sempre un mezzo, spesso necessario, per dilatare gli orizzonti dell'Amore di Dio nella nostra vita e se noi ci piangiamo addosso ci rendiamo indisponibili al cambiamento.
L'Amore di Dio in tutta la sua immensità oggettiva e soggettiva è donato a noi personalmente ma la percezione e la fecondità di questo amore attende che noi ci predisponiamo liberamente ad esso. La prova è necessaria per schiudere questo Amore in tutta la sua bellezza.
La vita, in tutta la sua crudezza e la sua bellezza, è dei mistici, i quali sono sempre persone molto concrete. Siamo noi, incartati nella nostre piccinerie, che siamo "alienati" e fuori dalla realtà. Non importa se siamo opinionisti, spin doctor, consiglieri, responsabili, predicatori, catechisti o che so altro.. se non entriamo nella via mistica siamo dei perdenti e la responsabilità è solo nostra. Del nostro intestardirci di avere il cuore piccolo, provinciale, borghese.
Dunque per quanto inconsapevoli e miseri, facciamo maturare uno slancio del cuore senza esitazioni fidandoci di coLui che ci ha amato e ha dato la vita per noi e diciamo, con Tommaso, "Andiamo anche noi a morire con Lui!". (Gv. 11,16)
Dando a Lui l'opportunità piena di scegliere per noi il modo migliore di morire e donarci.
Noi diciamo solo "Sì!" E questo ci basti.
Cantate a Dio con Arte
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cantate inni al nostro re, cantate inni;
perché Dio è re di tutta la terra, *
cantate inni con arte.
Dalle lodi del giorno Sl. 47
Zammerù Maskil, il titolo del sito familiare e dell'Associazione omonimo, prende il titolo proprio da questo versetto del salmo: "Cantate a Dio con arte!".
Ora, noi, nel degrado narcisistico e relativistico dei nostri tempi, abbiamo cercato di depauperare e svuotare sia i simboli che le parole. Se saltano i simboli e il linguaggio si crea solo confusione etica, psichica e spirituale. La Babele, appunto.
La Babele è l'effetto che Dio permette quando l'uomo pensa a far-si un nome da solo. L'uomo si ingolfa, si incarta, si brutalizza, in certo qual modo si "satanizza" perché si perde chiuso in se medesimo e nelle sue isterie.
Ma cosa significa cantare a Dio con arte?
Significa fare le cose al meglio di quanto possiamo per vivere nel Bello e suscitare il Bello. La Liturgia non è solo un atto salvifico. La liturgia non è solo un momento ineffabile di Amore, dell'Amore di Dio che genera amore e sostiene nell'amore la sua comunità e le sue membra. La Liturgia è anche un atto estetico.
E per estetico si intende non un atto formale (il fraintendimento nasce proprio dalla Babele che abbiamo creato e che infanga il nostro cuore) ma dall'essere e tendere verso la Bellezza. Proprio perché la Liturgia, nel suo culmine oggettivo e soggettivo che è la S. Messa, è un atto pneumatico. Un essere, vivere, trasfigurarsi nello Spirito di Dio.
E lo Spirito di Dio dal principio (Bereshit) aleggia sulle acque della vita (fisica, psichica e psirituale) per creare, ordinare e rendere tutto una cosa buona. Con un abbraccio Paterno e Materno assieme.
"Tutto canta e grida di Gioia".
Lo stesso Verbo del Padre ha un suono ineffabbile che crea e sostiene nel creare ogni cosa. Pertanto Cantare a Dio con arte significa fare tutto il nostro possibile, con il cuore e con la tecnica, con la disponibilità e l'umiltà, per essere suono nel Suono ineffabbile del Verbo. La dicotomia tra conversione interiore ed esteriore, nel canto, viene dal peccato. In sostanza non ha senso eseguire formalmente un'antifona gregoriana o una polifonia di Palestrina se non c'è in noi un desiderio radicato di convertirci a Cristo e di essere suoi definitivamente.
Allo stesso modo non ha senso avere un cuore docile alla conversione e poi essere pressapochisti nella liturgia e "schitarrare" in Chiesa. Nel canto liturgico vanno sollecitate le ali della farfalla del cuore e non i suoi lati legati alla terra. Il ritmo, legato alla fisicità del suono, deve tendere ad una pneumatizzazione, una trasfigurazione, altrimenti non cantiamo a Dio con Arte ma con pressapochismo. Dio scende nella terra per renderla una cosa nuova e portarla nel seno del Padre, non per immanentizzarsi. Così deve accadere nella nostra vita e specie nella liturgia. Non bastano dunque, nel canto liturgico le buone intenzioni e la disponibilità, occorre fare personalmente e assieme (sia i membri del "coro" che l'assemblea) un cammino pneumatico. Quando il cammino è pneumatico è culturale. Genera cultura, la promuove; trasfigura l'uomo. Crea civiltà. Arte appunto. Come mai i "fans" del Concilio Vaticano II, che lo promuovono non come atto continuativo con il Magistero precedente ma come una vera e propria rottura e che ce l'hanno sempre in bocca come un "feticcio", dimenticano e non osservano il CAP. VI della Sacrosanctum Concilium? Perché il Concilio in questo è stato tradito. Se in nome del "progressismo" del Concilio io tradisco ciò che dice sono semplicemente un ideologo, che segue non il Concilio Vaticano II, ma il Concilio Vaticano "secondo me". Ma poiché Cristo Risorto e tutta la SS. ma Trinità è realmente presente nella liturgia diamo a Dio il meglio del nostro cuore e con il Canto liturgico diventiamo realmente artisti, cioè promotori del bello, curando il cammino di conversione e lo studio adeguato del canto liturgico. Francesco di Assisi è stato forse il santo più povero tra il florilegio della santità, eppure trovate qualcuno più dignitoso di Lui nel suo saio? Egli era poverissimo eppure, in tempi in cui il benessere medio era ben diverso dal nostro, egli mandava i suoi frati a fornire le chiese con calici e pissidi d'oro.
Che santo! Che uomo! Che artista!
Ricordarci i nostri capi, la memoria costante della Paternità
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e come non guardare un faro luminoso come San Bonaventura? Mistico, "manager", teologo al pari di San Tommaso, salvatore del Francescanesimo, promotore ecumenico, sintesi tra platonismo e aristotelismo...
E' sommamente importante fare memoria fisica e cronologica dell'incontro con le figure "paterne" che Dio ci dona nel cammino che hanno reso più luminoso ed evidente il volto paterno (e talvolta materno) di Dio.
Coloro che ci hanno esortati, sostenuti, rimproverati, abbracciati, condotti come angeli nel guado della vita per un lungo o un breve tratto consentendo alla nostra fede di rimanere salda e di crescere come virgulto nell'orto della Chiesa.
Costoro ci hanno generato - forse nel parto del cuore come neanche immaginiamo - di nuovo alla vita. A volte non sempre con forza, a volte anche con la loro debolezza; a volte con lacrime e digiuni nascosti. A volte con la premura e la preoccupazione di genitori nella carne, pur generandoci nello Spirito.
Lodiamo dunque il Signore e facciamo memoria di queste tracce luminose di angeli silenziosi perché questi seminatori di bene nei solchi della nostra vita ci hanno reso più vicini alla promessa eterna. Li, dove potremmo dire loro, in Cristo, il nostro grazie tra lacrime di gioia. Cristo non è geloso dei suoi angeli ma gioisce della diffusione della Carità. Tanto più quanto essa è casta e pura, oblativa ed umile.
Siamo dunque memori attenti, perché il fiume di bene che ci sostiene non sia vano e porti in noi frutto di santificazione e di lode. Da Lui, per Lui e grazie a Lui, ogni paternità, in Cielo ed in terra.
La preoccupazione del mondo
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"Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi dà frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta". Dal Vangelo del giorno XV domenica del tempo ordinario anno A
(CCC n. 27) Il desiderio di Dio è iscritto nel cuore dell'uomo, perché l'uomo è stato creato da Dio e per Dio; e Dio non cessa di attirare a sé l'uomo e soltanto in Dio l'uomo troverà la verità e la felicità che cerca senza posa. (CCC n. 29) Ma questo "intimo e vitale legame con Dio" può essere dimenticato, misconosciuto e perfino esplicitamente rifiutato dall'uomo. Tali atteggiamenti possono avere origini assai diverse: la ribellione contro la presenza del male nel mondo, l'ignoranza o l'indifferenza religiosa, le preoccupazioni del mondo e delle ricchezze (Mt 13,22), il cattivo esempio dei credenti, le correnti di pensiero ostili alla religione, e infine la tendenza dell'uomo peccatore a nascondersi per paura, davanti a Dio (Gn 3,8-10) e a fuggire davanti alla sua chiamata (Gio 1,3).
In effetti la "preoccupazione del mondo" non è qualcosa necessariamente legato al "mondo del peccato" ma quell'insieme di preoccupazioni e di ansietà - e di fantasmi - che nascono dal nostro io ferito, il quale, si accanisce verso le situazioni di comodità e borghesi, e non ci spinge oltre, verso una radicale e continua trasformazione del cuore in Cristo. Anche le cose buone possono diventare "una preoccupazione del mondo" nel momento stesso che diventano ossessive ed assolute e non luogo vocazionale. Per questo occorre continuo discernimento.
Anche le "cose del Regno", gli impegni pastorali, persino alcuni valori, come la pace, l'aiuto ai poveri e le scelte di campo, possono diventare "preoccupazione del mondo" nel momento in cui cessano di essere luogo che la provvidenza ci dona per testimoniare la nostra fede e diventano il luogo di un assoluto capitolando facilmente in ideologia e prendendo il posto di Cristo. Per questo occorre continuo discernimento.
La Chiesa in questo è madre e maestra.
E il posto di Cristo non è quello di essere "il centro" della nostra vita, così come noi lo pensiamo, ma il posto che Egli decide di prendere e dove Egli decide di stare e dove Egli decide di portarci. Perché Cristo è come un bimbo che "non ti ascolta" e fa quello che ritiene opportuno. Però, mentre un bimbo lo fa per sé, Cristo lo fa per Te e solo per Te; il tuo cuore, infatti, è amato sommamente e con amore di sangue.
Ci si può infatti ingannare. Persino con il valore della povertà, perché si può diventare "ricchi" di questo valore, alimentando il dramma della superbia... dimenticando che nudi siamo venuti al mondo e nudi siamo chiamati a lasciare questo mondo. Riconoscere di essere nudi ci aiuta ad essere vestiti - e a portare frutto - nella grazia di Cristo.
Spogliamoci dunque di noi stessi e della nostra tristezza - tristezza mortale in verità - e rivestiamoci dell'abito della gioia che solo Lui, Signore e maestro può donarci.
Condividere il bene porta alla lode
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Nella vecchiaia daranno ancora frutti, *
saranno vegeti e rigogliosi,
per annunziare quanto è retto il Signore: *
mia roccia, in lui non c'è ingiustizia. - Sl. 91 dalle lodi del giorno
A guardare alcuni anziani delle nostre città e anche di alcuni paesi non si può non rilevare come anch'essi risentano del clima edonistico e a-valoriale in cui siamo immersi. Il decadere della cultura della persona, della famiglia e dei ruoli familiari comporta inevitabilmente l'inasprimento delle persone verso una sorta di avarizia e di battaglia costante verso tutto e tutti. Non dipende solo dalle condizioni avverse del sociale, che hanno comunque la loro importanza, ma da una sorta di individualismo diffuso che comporta che ogni uomo è un'isola da difendere. Le classi più deboli sono le più esposte a questa paura che trascina nell'ignoranza. Sempre in perenne difesa, smarrite, e per reazione, aggressive e poco umane. La dimensione dell'anzianità e della vecchiaia, così preziosa per l'uomo, perché gli ricorda il suo limite e il suo destino eterno viene dunque depauperata e ridotta al margine. Forse dovremmo dire a qualche anziano che abbiamo vicino:
parlaci di Gesù!
Parlaci delle meraviglie che il Signore ha compiuto e compie nella tua vita!
E ancor prima, nelle nostre famiglie, dovremmo coltivare la collatio spirituale.
Cioè condividere il bene quotidiano che Gesù compie. Invece, proprio nelle nostre famiglie, siamo distratti dal vano, dall'inutile, dalla vanità e dall'apparenza e poco, pochissimo, si condivide il bene che Dio compie nella nostra vita.
Pertanto siamo fuggitivi e in perenne distrazione. Incapaci di lode perché incapaci di stupore.
Non riconosciamo gli angeli che il Signore ci manda perché viviamo nella bellicosa esistenza di difenderci invece che gioire del bene seminato.
La gelosia e l'invidia - e l'ipocrisia - ci fa da corazza.
Per questo San Paolo parlava di Avarizia insaziabile come idolatria. E chi sta nell'Avarizia è già quasi secco, pronto per essere bruciato. Davanti a tale conspevolezza poco vale il pio desiderio e la lacrimuccia, occorre piuttosto farsi violenza e spingere il nostro "volto" verso l'alto visto che, per via della nostra accidia, sovente viene spinto verso il basso a cibarsi delle sue paure e della mancanza di lode.
Fuggi per la tua vita!
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"Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!" (prima lettura del gionro Gen 19,15-29 - Memoria di S. Ireneo)
Chi ama il Signore reputa una "spazzatura" ogni cosa e, soprattutto, tutto ciò che lo legava al peccato e alle cattive abiutidini che conducono al peccato e, spesso, sono peggio del peccato stesso. L'accidia infatti è un vizio terribile che non ci consente di sbocciare e di vivere. Ripeteva S. Ireneo, di cui facciamo oggi memoria, che "la gloria di Dio è l'uomo vivente" (Dal "Trattato contro le eresie" di sant'Ireneo, vescovo).
Dio è il Dio della vita, Cristo è Signore risorto, il vivente che vive e dona la vita vera. Eppure talvolta la nostra vita è spenta e non sbocciata. Manca la gioia e lo stupore. Purtroppo non sempre le comunità annunciano la vita e la vocazione alla vita che comporta in seconda ed immediata battuta la vocazione specifica; e cioè o ti sposi o ti consacri. Ma le comunità diventano il parcheggio di persone spente, magari coinvolte in mille cose, ma in realtà incapaci di sbocciare. Incapaci di gratuità.
Non sono li per chiara vocazione ma riempire un impegno ed una necessità pastorale. Sono li per coprire un bisogno di ministerialità o di necessità del parroco. Non sono li come slancio o come epilogo di una chiarezza vocazionale ma come accidia e rassegnazione ammantata di spiritualità e devozione. Non è stato fatto loro un annuncio vocazionale chiaro. Non lo hanno cercato per sbocciare e fiorire. Facilmente in queste situazioni pullulano invidie, gelosie, mormorazioni, provincialismi, attaccature indebite a "carismi" e ministeri, a spazi e ruoli. Tutto l'uomo vecchio si abbarbica come edera e gramigna per soffocare la vita che Dio ha messo nel nostro cuore. Certamente le condizioni intorno a noi non favoriscono sempre una progettualità, ma spesso, siamo noi che ci siamo rassegnati su cisterne screpolate. Siamo noi, catechisti, teologi, pastori, che non abbiamo annunciato, con l'esempio e la parola, la gioia di una scelta vocazionale chiara.
Tutto questo "non vivere" e non sbocciare è uno dei problemi dell'infecondità della Chiesa nel mondo ed è cosa di cui il Signore renderà conto a ciascuno e soprattutto a chi - pastore, catechista, teologo - non ha annunciato, in Spirito e potenza, il Dio della Vita ma si è ripiegato sulle "cose da fare", sulle "cose da dire", su "come essere presenti". Tutte cose importanti ma subordinate ad una chiarezza vocazionale. Su cui, dall'annuncio al discernimento, occorre dire una parola chiara; altrimenti non sboccia una ministerialità ma un "parcheggio". Chiarezza vocazionale alla vita e specifica che, una volta trovata, va sempre nutrita per ri-sgnificare il nostro essere Chiesa di Cristo ed il nostro essere pellegrini fruttuosi in questo mondo. Chi non fosse ancora "fuggito", fugga ora, ne va della sua vita. Ne va del suo unicum di cui egli ha bisogno, la chiesa ha bisogno e il mondo ha bisogno. "Esca" dalla sua terra e non si ripieghi su se stesso, come fece Caino, che da li iniziò ad essere omicida. Anzitutto verso se stesso. Si "fugga" dunque per aprirsi alla speranza e alla gioia. Chi fugge a causa della gioia non la cerca altrove, negli altri e nelle situazioni, ma porta con sé quella che il Signore gli ha donato e su cui fa incessantemente luminosa ed ecclesiale chiarezza.
Dio vuole donarti il suo cuore
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Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio? " - dalla prima lettura di oggi Genesi 18,16-33.
Dio è innamorato di Abramo perché egli non è solo l'uomo del "timor di Dio", della Fede robusta e sofferta che genererà una moltitudine, ma anche perché Egli è l'uomo che vede come Dio e pensa come Dio. E' uno scienziato in termini spirituali. E' uomo di Scienza.
Come un padre gioisce che il proprio figlio balbetti le prime parole e muova i primi passi, così Dio ama nascondersi per suscitare in noi la fede e le "viscere di misericordia". Dio, l'umile per eccellenza, ama farsi da parte perché la nostra personalità emerga e si trasfiguri e si divinizzi.
Così Egli fa lo stesso con Abramo: eccita la fede e la compassione del patriarca perché sia icona di come ciascuno di noi è chiamato a "sentire" e, soprattutto, perché impariamo a conoscere il cuore di Dio carico e traboccante di Amore.
Allo stesso modo Gesù farà con sua madre Maria alle nozze di Cana, Dio stimola alla crescita perché tutta la bellezza autentica della creatura venga fuori. Non è una bellezza sguaiata e sensuale ma la bellezza sobria dei figli di Dio. Quella bellezza che sostiene il mondo in maniera misterica ma anche concretissima. Quella bellezza e quella "realizzazione" che il mondo non può dare perché non la conosce ma che il cuore di Dio, che conosce bene tutte le profondità del nostro cuore, ama voler dare ad ogni sua creatura. Egli che veramente serve ciascuno di noi come il più premuroso dei padri e il più appassionato degli amanti.
Shemà Israel! Ascolta Israele!
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"... Abram ascoltò la voce di Sarai" - dalla prima lettura di oggi 23 giugno 2011 - Genesi 16,1-12.15-16.
L'ascolto e la sua qualità rivelano come stiamo camminando con Gesù.
L'ascolto è una predisposizione "virile" del cuore, la capacità di riconoscerrsi creatura e di porre il principio, il percorso e il fine in Dio. Non è un dono di cui si può essere certi. Non lo si possiede, ma piuttosto si è posseduti dall'ascolto. Non è solo una predisposizione umana, pur importante; non è un'attitudine professionale o psicologica, pur necessaria, ma è riconoscere, sin nelle viscere, che siamo di Dio e sua proprietà, soprattutto con il Battesimo, e che in Lui e per Lui viviamo ed esistiamo. L'ascolto è dunque lo stupore ontologico di "essere" per Lui e grazie a Lui.
Un dono di Scienza nello Spirito, poiché dono di intima visione e coscienza.
Un fondamento radicale, profondo, da cui deriva ogni nostro passo e scelta. E' un dono ecclesiale perché la capacità di ascoltare si rivela nella Chiesa e cresce nella Chiesa. La comunità non si "pesa" su quanto fa per il Regno ma da come ascolta, da come fonda se stessa in Dio e non nell'opera delle sue mani. "Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i suoi costruttori..." (sl. 127)
Per questo Maria è viva testimone, viva icona, viva guida; Lei è la sempre Ancella del Signore.
E' l'espressione più pura dell'ascolto dopo il Suo Figlio. E' totalmente orientata e riconosce compiutamente che il Cristianesimo prima di essere una virtù e un fare è un dono da accogliere.
Anche noi siamo fragili come Abramo e talvolta "ascoltiamo la voce di Sarai" cioè la via umanamente più comoda e di buon senso. Ma, piuttosto, chiediamo di avere la stesa fede di Abramo che spera contro ogni speranza e purifica il suo Ascolto quando offre il sacrificio del proprio Figlio unico, tanto amato e desiderato. Il figlio della promessa stessa di Dio.
Verifichiamo il sacrificio del nostro "figlio unico". Forse non sarà uno solo ma più di uno. Ma qui chiediamo e alimentiamo il dono dell'ascolto per sperare sempre nel Dio della vita, che non inganna e che mantiene sempre le sue promesse di gioia, di pienezza e di bellezza.
Egli che solo è grande misericordioso, altissimo, bellezza e gaudio sopra ogni cosa.
Egli che per primo ascolta perfettamente ogni sua creatura.
Gente che non ha nulla, ma possediamo tutto!
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Dalla prima lettura del giorno (13 giugno 2011) S. Antonio di Padova
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 6,1-10.
E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero;
ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce,
nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni;
con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero;
con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra;
nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;
sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte;
afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!
Infatti qual è la ricchezza unica del discepolo e apostolo di Cristo?
Quella di essere nudo e rivestito solo della grazia di Dio.
Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia Benedetto il nome del Signore. (Gb. 1,21)
Se qualcosa sulla bilancia della vita per noi pesa troppo davanti all'altro piatto della bilancia che è Dio e l'eternità... significa che il nostro cuore non è povero. Persino le cose buone e le cose sante. Persino i carismi connaturati e non transeunti in noi, sono chiamati ad essere nulla senza il Suo chiamarci per nome. Anche gli affetti che Lui dona vanno ri-significati in Lui. Le parole, la fatica, l'apologetica, dire, fare, camminare, faticare, affetti... contano poco e spesso nulla se non coltiviamo la "nudità" che attende - cioè brama circoscrivendo il luogo di sé solo per Lui - e proclama con il cuore e con le labbra che Gesù è il Signore Risorto.
Occorre dunque avere nel cuore l'intraprendenza di Maria alle nozze di Cana nei confronti dei bisogni della comunità - bisogni di vino, di gioia, di Spirito Santo e amore offerto -, ma anche la stessa "resa" fiduciosa di Maria che dall'Annunciazione alla Pentecoste non smette di essere la sempre ancella che magnifica il Signore facendo della sua vita un si! Lei che non si fa il nome da se stessa ma riceve - e con cura preziosa - il nome da Dio.
Ella è la perfetta discepola e la perfetta apostola. Ella è la donna e l'umanità compiuta. Lei che era cittadina del Cielo prima che fosse assunta. Lei che era ciò che era perché facendosi possedere interamente da Dio possedeva tutto.
Gente che non ha nulla, ma possediamo tutto!
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Dalla prima lettura del giorno (13 giugno 2011) S. Antonio di Padova
Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinti 6,1-10.
E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.
Egli dice infatti: Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero;
ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce,
nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni;
con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero;
con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra;
nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;
sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte;
afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!
Infatti qual è la ricchezza unica del discepolo e apostolo di Cristo?
Quella di essere nudo e rivestito solo della grazia di Dio.
Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudo tornerò in grembo alla terra; il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia Benedetto il nome del Signore. (Gb. 1,21)
Se qualcosa sulla bilancia della vita per noi pesa troppo davanti all'altro piatto della bilancia che è Dio e l'eternità... significa che il nostro cuore non è povero. Persino le cose buone e le cose sante. Persino i carismi connaturati e non transeunti in noi, sono chiamati ad essere nulla senza il Suo chiamarci per nome. Anche gli affetti che Lui dona vanno ri-significati in Lui. Le parole, la fatica, l'apologetica, dire, fare, camminare, faticare, affetti... contano poco e spesso nulla se non coltiviamo la "nudità" che attende - cioè brama circoscrivendo il luogo di sé solo per Lui - e proclama con il cuore e con le labbra che Gesù è il Signore Risorto.
Occorre dunque avere nel cuore l'intraprendenza di Maria alle nozze di Cana nei confronti dei bisogni della comunità - bisogni di vino, di gioia, di Spirito Santo e amore offerto -, ma anche la stessa "resa" fiduciosa di Maria che dall'Annunciazione alla Pentecoste non smette di essere la sempre ancella che magnifica il Signore facendo della sua vita un si! Lei che non si fa il nome da se stessa ma riceve - e con cura preziosa - il nome da Dio.
Ella è la perfetta discepola e la perfetta apostola. Ella è la donna e l'umanità compiuta. Lei che era cittadina del Cielo prima che fosse assunta. Lei che era ciò che era perché facendosi possedere interamente da Dio possedeva tutto.
Cattolici progressisti? Cattolici tradizionalisti? Cattolici integralisti? No grazie, cattolici "integrali", cattolici e basta.
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Dalla prima lettura del giorno
Libro di Daniele 3,14-20.46.50.91-92.95.
Nabucodònosor disse loro: "È vero, Sadràch, Mesàch e Abdènego, che voi non servite i miei dei e non adorate la statua d'oro che io ho fatto innalzare?
Ora, se voi sarete pronti, quando udirete il suono del corno, del flauto, della cetra, dell'arpicordo, del salterio, della zampogna e d'ogni specie di strumenti musicali, a prostrarvi e adorare la statua che io ho fatta, bene; altrimenti in quel medesimo istante sarete gettati in mezzo ad una fornace dal fuoco ardente. Qual Dio vi potrà liberare dalla mia mano?".
Ma Sadràch, Mesàch e Abdènego risposero al re Nabucodònosor: "Re, noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito;
sappi però che il nostro Dio, che serviamo, può liberarci dalla fornace con il fuoco acceso e dalla tua mano, o re.
Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dei e non adoreremo la statua d'oro che tu hai eretto".
E quali sono i vitelli d'oro da non adorare?
Non solo il denaro, non solo l'amor proprio, non solo la propria stima, non solo le ideologie, non solo le grandi o piccole posizioni acquisite socialmente, non solo il politicamente corretto, non solo il peccato, non solo ogni forma di lussuria,
ma anche tutto ciò che appare buono, anche le cose buone, le buone intenzioni, che non danno a Dio il posto che gli è proprio.
Lui sommamente amato e sommamente servo che si è donato e umiliato, senza riserve, per ciascuno per riscattarci dalla tirannia di satana e del nostro io ferito.
Io ferito che è alla base delle declinazioni ideologiche di un cattolico che si "inquina" con la statua d'oro che si costruisce.
Cattolici progressisti, cattolici tradizionalisti, ma per favore, basta! Queste visioni sono ormai retro-datate e servono solo a far sopravvivere elìte bisognose di protagonismo che spiritualizzano una lussuria comune.
Lussuria spiritualizzata che nutre e porta incenso alla statua d'oro del sé.
Siamo Cattolici è questo è tutto perché stiamo con Cristo e stiamo con Pietro e qui, educhiamo la nostra coscienza.
Vuoi guarire?
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Dal Vangelo del giorno - Giovanni 5,1-16 - Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?».
Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me».
Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina».
Senza l'esperienza reale della nostra povertà e senza un desiderio ardente di guarire non possiamo dare a Dio la possibilità di salvarci.
Egli suscita anzitutto la domanda, e cioè se, veramente, vogliamo guarire. Qui si vede il nostro desiderio e la nostra reale povertà. Povertà non sempre presente, perché sovente il nostro io ci rende impermeabili alla grazia. Un io che si fonda su se stesso, sulle sue paure, sulle sue miserie, sui suoi fantasmi.
In una parola, pur, magari, non essendo possessori di bene alcuno, non siamo affato poveri ma siamo ricchi della nostra povertà. Perennemente sulla difensiva, perennemente anaffettivi, perennemente superbi.
Però è fondamentale che alla domanda di guarigione la grazia ci trovi pronti. Pronti nel desiderio, pronti nel volere veramente la salvezza.
Se siamo seduti sulle "comodità" dell'io e sull'accidia che falsifica, pur di mantenere lo "status quo", la salvezza non può arrivare.
Ebbene Dio attende che siamo realmente impotenti e nudi per rivestirci della sua potenza. Dio attende che facciamo esperienza di ingiustizia per donarci la giustizia vera. Dio attende che facciamo esperienza di impotenza per donarci la Sua Potenza. Potenza che è anzitutto Amore che avvolge e restituisce dignità.
La capacità di prendere il nostro lettuccio e, finalmente, di camminare.
Perché, anche se pensavamo di camminare, in realtà stavamo strisciando.
Spetta al Padre
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Gesù - rivolto a Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo - disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Infatti è il Padre fonte di ogni paternità, in Cielo e in terra. Egli distribuisce i ruoli e i compiti e lo fa nella misura di quanto noi ne siamo distaccati ed entriamo, realmente, nella logica del servizio e del dono.
Se uno pensa di avere un privilegio, umano, psichico o spirituale, frequentando Gesù, sta fuori strada.
Il Vangelo non è una corsa al potere e ai ruoli di potere ma al servizio e servizio generoso e senza condizioni.
Perché così è il Padre e così Egli esercita la sua paternità che regge ogni cosa e sostiene nell'essere la creazione con la Sua Parola e nello Spirito Santo.
Nella logica della lavanda dei piedi, Egli sorregge l'esistente.
Il Padre ama i poveri e soprattutto i poveri che sono stati spogliati anche del diritto della loro povertà e non rivendicano nulla se non quello di essere amati dal Padre e di amare gratuitamente come il Padre.
Il Padre li vuole all'ultimo posto? Loro stanno bene li.
Il Padre li vuole esposti? Loro stanno bene, magari a malincuore, li.
Il Padre li vuole inutili? Loro stanno bene li.
Il Padre li vuole efficienti? Loro stanno bene li.
Il Padre li vuole piagati e doloranti? Loro stanno bene li.
Il Padre li vuole in salute e sprizzanti vitalità? Loro stanno bene li.
Un giorno il Padre li vuole nel "successo" e poi nella polvere? Loro stanno bene li.
Tutto purché bisognosi di stare, con Cristo, dove il Padre li vuole.
Questa è la vita nuova nello Spirito Santo. Questo è il Regno di Dio.
Il dono delle lacrime e il desiderio del Cielo .
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Lenisci con le lacrime
la durezza dei cuori,
accendi il desiderio
della patria beata.
(dall'inno delle lodi)
Il dono delle lacrime è uno dei doni principali dello Spirito nel cammino dell'orazione. Conferisce all'anima la capacità di percepire chiaramente e intimamente la maestà e la bellezza di Dio e la propria piccolezza. Come un fiume rigoglioso non può essere tenuto da nessun argine, come un terremoto scuote qualunque fondamenta, così la presenza limpida di Dio nel cuore dell'orante fa sgorgare lacrime di incontenibile stupore, gioia e dolore assieme.
Occorre avere un cuore caldo, però, capace di amare, purificato da sentimenti come l'invidia e la gelosia, dalla carnalità e dalla dissipazione e soprattutto dalla superbia. Senza Timor di Dio, tutti i doni dello Spirito non attecchiscono e "slittano" via. Non è dunque Dio che dona poco ma il tuo cuore che è incapace dell'infinito che ti viene donato.
Quando invece il Timor di Dio è presente, segno della "fede retta", i doni dello Spirito si espandono nell'anima secondo il volere, la provvidenza e la giustizia di Dio.
Il dono delle lacrime è tra questi.
Queste vere e autentiche lacrime, frutto di questo dono, hanno anche un effetto rigenerante; non solo sciolgono il cuore e lo frantumano delle sue durezze ma irrigano l'anima e la rendono feconda, capace di amare.
Il cuore inondato dalle lacrime pian piano si cristifica, cioè si rende sempre più simile al cuore di Cristo.
I sentimenti di Cristo diventano i nostri sentimenti, il Suo sentire il nostro, il Suo essere compassionevole il nostro, il Suo palpitare, il nostro.
Sia ben chiaro, non sono lacrime da cercare, non è un piangersi addosso, non è un ripiegarsi sul proprio ombelico e sulle proprie croci, con quell'ego-narciso-centrismo camuffato da Pietà, ma tale dono è invece un guardare Dio e riguardare ogni cosa in Lui.
Non è narcisismo spirituale ostentato fariseicamente, anzi è sovente rivestito di sommo pudore e nascondimento.
È Dio che dona le lacrime quando e come ritiene opportuno.
"Amplius lava me ab iniquitate mea
et a peccato meo munda me.
Quoniam iniquitatem meam ego cognosco,
et peccatum meum contra me est semper." (Sl. 51,4-5)
Ogni vero dono mistico, che è per ogni battezzato, per essere autentico, necessita di umiltà, pudore e di estrema concretezza.
Il mistico è, per natura stessa, legatissimo alla concretezza quotidiana.
Altrimenti è alienazione e non vita mistica.
Il mistico ha un amore radicale per la Chiesa, il santo Padre, la gerarchia e la propria comunità, altrimenti è intossicato e non misticamente attratto da Dio.
È dono che apre al dono di sé e ad uscire fuori da sé.
Anzi proprio il realismo mistico accende in noi il peso autentico da mettere sulla bilancia della nostra vita. Su un piatto sono presenti tutte le gioie e i dolori. Le miserie, le povertà, i drammi, le manchevolezze, le accidie, i successi e i fallimenti, i nostri interi passi esteriori ed interiori, tutte le miserie e le povertà dentro e fuori di noi, per appartenenza viscerale e, ed è questo il punto, dall'altra parte, il vero peso che controbilancia, è presente la Patria Beata, il Cielo, l'Eternità, Dio, la Vergine, gli angeli e i nostri amici, i santi.
Su questo altro piatto è presente la vita vera e compiuta che sgorga da Dio, uno e trino.
Questo è in definitiva l'effetto del dono delle lacrime: un radicale attaccamento all'uomo, al suo sguardo, al suo sentire e alle sue pene e dall'altra lo slancio non spegnibile ed insopprimibile verso il Cielo. Uno slancio inarrestabile che trascina a sé ogni cosa.
Qui siamo nati e qui siamo diretti.
Dio, e solo Lui, e ogni sorella e fratello, in Lui. Nel gaudio del Cielo è presente ogni affetto più autentico.
Per questo occorre anche discernimento. Un sistematico discernimento.
La confessione sacramentale è il primo passo e il motivo portante, ma la direzione spirituale, piuttosto, va cercata e perseguita; fatta con chi realmente ci provoca concretamente e non è accomodante e necessariamente accogliente, come è giusto che invece sia il sacerdote nella confessione sacramentale.
Come Davide che nel miserere, illuminato, afferma:
"Uno spirito contrito *
è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, *
tu, o Dio, non disprezzi."
Davide che è considerato dalla Bibbia l'uomo di Dio.
Ma come, tu mi dici... un adultero e omicida, doppio e menzognero, opportunista e manovratore un uomo di Dio?
Sì.
Perché dopo che Natan, il suo profeta e direttore spirituale gli dice, "Attah a Iysh", "Tu sei quell'uomo!" (2Sam. 12,7)
egli senza difendersi, come avremmo fatto noi, ciascuno di noi, dice: "ho peccato contro il Signore!".
Egli, nelle lacrime, fa un atto di contrizione perfetto che lo porta a cambiare vita.
Si dirà che è raro trovare direttori spirituali, ed è vero.
Ma il mondo non ha bisogno soltanto di padri ma soprattuto di figli, di discepoli.
Perché è pur vero che quando il discepolo è pronto il maestro sempre arriva.
Dio stesso ha cura di trovare una guida per chi la cerca con cuore mite e sincero, sciolto dalle lacrime dello stupore.
Infatti, pensi che sia più grande il tuo desiderio di trovare Dio oppure che quello che Dio ha di trovare te?
In questo desiderio si innesta il dono delle lacrime,
Dio ti precede...
è Dio che piange e ti cerca incessantemente come il più tenero e rispettoso degli amanti:
"Ecco lo sposo! Andiamo incontro a Cristo Signore!"
Paul Freeman
Non son venuto per abolire, ma per dare compimento. - La Loi enracinée dans nos cœurs .
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Dal Vangelo della VI domenica del TO - Matteo 5,17-37 - " Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli. Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli."
La Loi enracinée dans nos cœurs
Ci sono dei precetti naturali della Legge che già conferiscono la giustizia; anche prima che la Legge fosse stata data a Mosè, degli uomini osservavano questi precetti, e sono stati giustificati dalla loro fede e sono stati graditi a Dio. Questo è confermato dalle parole: «Fu detto agli antichi: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore». E ancora: «Fu detto: Non uccidere. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,21)... e così via. Tutti questi precetti non implicano né la contraddizione, né l'abolizione dei precetti precedenti, ma il loro compimento e la loro estensione. Come ha detto il Signore stesso: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli» (Mt 5,20). <span> In cosa consiste questo superare? Prima nel credere non più soltanto nel Padre, ma anche nel Figlio suo, ormai manifestato. Lui infatti conduce l'uomo all'unione con Dio. Poi, nel fare, invece che dire senza fare – perché loro «dicono e non fanno» (Mt 23,3) –, e nell'evitare non soltanto le opere cattive, ma anche il desiderarle. Insegnando questo, non contraddiceva la Legge bensì compiva la Legge e radicava dentro di noi le prescrizioni della Legge... Prescrivere di astenersi non solo dagli atti vietati dalla Legge, ma persino dal loro desiderio, non indica un atteggiamento che contraddice e abolisce la Legge; ma che la compie e la estende. </span>
(Sant'Ireneo di Lione (circa130-circa 208), vescovo, teologo e martire
Contre le eresie IV,13,3 ; SC 100, 525)
L'Opera dello Spirito Santo, che ci è stata donata nel Battesimo, e che non va contristata, è proprio quella di "coniugare" la legge di Dio con il nostro intimo. Così che ogni nostra scelta quotidiana, piccola o grande, è mossa dallo stesso Spirito che l'ha ispirata. L'adesione dunque non è formale ma esistenziale. Un lavorio continuo tra la grazia donata e la disciplina che l'uomo - per amore - vive per rispondere adeguatamente ai doni dello Spirito.
La grazia del sacramento della riconciliazione e dell'Eucarestia serve a restaurare questo connubio qualora cessasse a causa del peccato. Peccato fatto di opere contro Dio, omissioni, pensieri disordinati, avarizie, gelosia, invidie, mormorazioni, impurità, ideologie, mondanità, dissipazioni.
La grazia, dunque, pur operando personalmente non viene mai donata al di fuori della Chiesa.
Apri il cuore e dona la tua carne .
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Dal Vangelo del Giorno... chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione di questa folla, perché gia da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano» -
Quale pastore ha mai nutrito le sue pecore col proprio corpo? Anzi ! Sovente le stesse madri mettono a bàlia i figli appena nati. Gesù invece non può accettare questo per le sue pecore; egli ci nutre con il proprio sangue, e così ci fa diventare con lui un solo corpo. (San Giovanni Crisostomo)
Così Egli, che è la premura fatta carne, ci esorta, ci spiega e ci spinge ad allargare il cuore e a farci carico della "famiglia Chiesa", oltre i piccoli interessi personali e familiari.
La Parrocchia, la Diocesi, la Chiesa universale e il chiostro del mondo diventano i luoghi effettivi dove donarci per essere anche noi "mangiati". Non è bene attendere di essere serviti come "pecore viziate" e mal abituate, occorre avere il cuore di Cristo che si fa mangiare, il cuore concreto di Maria che osserva che "non hanno più vino". Occorre dire con slancio con Francesco: "Signore che cosa vuoi che io faccia?"
Il nostro cuore, fatto per amare in maniera casta, cioè piena, attenta ed universale, ha bisogno di ampi respiri.
Di amare non solo i vicini, la propria famiglia, non solo tutti ma ciascuno e di farlo in maniera storica e concreta, affinché non impazzisca nelle zone oscure dell'invidia, della gelosia, della superficialità e del pressapochismo affettivo.
Gesù confermaci nello slancio del cuore.
L'uomo è ferito .
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«Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Dal Vangelo del giorno Mc 7,14-23
Gesù ricordando che ciò che esce dal cuore dell'uomo contamina l'uomo compie un'azzeramento di ogni forma di ideologia buonista che inganna l'uomo. L'uomo è ferito e può compiere il male, pensare il male, avvolgersi nel male, impostare la sua vita su strutture di male. Non solo con gesti estremi ma anche - e soprattutto -con scelte feriali, piccole e quotidiane. Egli da sé si costruisce il proprio habitus su cui rimane "invischiato". Prigioniero di sé e delle sue parti ferite. Ingannandosi è poi incapace di riconoscere il male in sé e chiedere realmente aiuto ma vive in uno stato di lamentela continua che non gli fa mai fare un salto reale di conversione, di maturazione, di crescita.
A poco serve un titolo nozionistico di "cultura", anzi a volte la nozione non accompagnata da questa umiltà sostanziale rende ancora più impermeabili e incapaci di conversione. La vera "cultura" sta altrove e cioè nel prendere sul serio le parole del Maestro - e della Sua Chiesa - e farsi discepoli e bambini bisognosi di ri-nascere di nuovo alla luce del Suo Perdono e della Sua Grazia.
"Dalle Sue piaghe" - infatti - "siamo stati guariti".
La molteplicità ideologica del cuore dell'uomo .
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"E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare." MC. 5, 13 - L'impurità nella Bibbia non è legata necessariamente alla sfera fisica ma piuttosto a quello stato di appartenenza o meno a Dio, a quello stato di empietà spesso frequente nella molteplicità dei pensieri e degli atteggiamenti della nostra vita quotidiana. Cioè al vivere, pensare, decidere, come se Dio non ci fosse o, peggio, costruendoci un rapporto fai-da-te con Cristo e con la sua Chiesa.
"Usiamo" Dio per i nostri tornaconti come Giuda e come Lui siamo ladri. Il termine empio, infatti, in ebraico rawshà, signifca letteralmente criminale, cioè colui che non adempie la legge. Quella legge scritta nel cuore che supera una adesione formale ma è, piuttosto, appartenenza sponsale con Dio.
Nell'impurità, Dio non fonda, nel pensiero e nei fatti, il nostro vivere, respirare, camminare ma viene "piegato" come "cosa" aggiuntiva, al nostro vivere. Pertanto, mentre questa situazione manifesta l'umiltà di Dio e il suo farsi servo, rivela, soprattuto, tutta la nostra ingratitudine. Noi, pur non essendo indemoniati, siamo spesso peggio di quell'uomo posseduto da una legione di demoni perché permettiamo alla moltitudine dei nostri fantasmi, vizi, paure e ideologie, gelosie, invidie, maldicenze, ire, di prendere il sopravvento. Non permettiamo a Cristo di regnare con tutta la Sua dolce Signoria. Non siamo grandi peccatori ma "bestemmiatori" feriali, accidiosi cronici, talmente strutturati nella pigrizia del cuore da essere quasi ciechi.
Basterebbero duemila porci per esprimere tutta la complessità, non sempre bella e creativa, per manifestare il nostro cuore contorto carico di impurità e di empietà, di omicidio e di rapina?
La gelosia di Dio, fonte di appartenenza ecclesiale
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La gelosia nella Bibbia assume un duplice significato.
Uno positivo e uno negativo.
Quello positivo si fonda sulla Gelosia di Dio ed equivale al senso di appartenenza. Dio è Santo, tre volte Santo, e desidera il meglio per la sua creatura, cioè la santità, il legame stretto con Lui, intimo e sponsale.
Dio è geloso delle sue creature perché desidera per loro la Vita e la Gioia eterna.
La valenza negativa invece è espressa sin dai primordi quando satana è geloso ed invidioso dell'uomo e lo tenta distorcendo la sua fiducia in Dio. Altro esempio di gelosia negativa è quella che Caino prova nei confronti di Abele. Gelosia ed invidia che se ascoltate possono portare all'omicidio del fratello; e così di fatto accade.
Mentre dunque la prima Gelosia è per la vita e gioisce della vita, la seconda gelosia è per la morte e crea la morte sia in chi la vive sia in chi la subisce.
L'Apostolo Paolo scrivendo alla comunità di Corinto scrive a noi e ci istruisce sul significato positivo della Gelosia in quanto appartenenza di Dio e per Dio.
Dio non è geloso dell'uomo ma desidera il meglio dell'uomo e gioisce dell'uomo come un padre e una madre gioiscono di ogni progresso, anche minimo, che il proprio figlio fa nella via della vita e del bene.
Così anche noi dobbiamo, perché possiamo, grazie allo Spirito che ci è stato donato, far maturare la Gelosia di Dio nel nostro cuore per i fratelli.
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Beato chi trova in te la sua forza
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e decide nel suo cuore il santo viaggio" (Sl. 84,6)
Gesù è vivo oggi come ieri. Anzi ora, presso il Padre, nella pienezza della gloria, Egli guarisce, chiama, sostiene ancor più di quando i suoi passi calpestavano la Galilea e la Giudea.
Gesù bussa e chiama.
Chiamando mette l'uomo nelle condizioni oggettive di poter compiere la sua chiamata.
Questo è un aspetto centrale che va recuperato nelle predicazioni.
Noi certo "dobbiamo" fare la volontà di Dio ma questo solo perchè "possiamo".
E' la grazia di Cristo che scaturisce dalla sua chiamata che abilita l'uomo a camminare per le vie di Dio.
Oggi abbiamo visto cose prodigiose
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Quali sono le cose prodigiose che hanno visto?
Un paralitico nel corpo che ora cammina; un paralitico nell'anima che è perdonato.
Non c'è infatti Miracolo più grande di un uomo peccatore che perdonato cambia i suoi passi e che cambiando i suoi passi sperimenta sempre più il perdono di Dio.
Non c'è miracolo più grande che una persona legata dal peccato, la paura, i fantasmi, le proprie inconsistenze la quale ha sempre detto no a Dio, ora possa dire Sì!
E dica questo Sì con i suoi passi di sequela prendendo il suo lettuccio, carico di ferita, e finalmente camminando.
L'uomo che vive, realmente, è il più grande miracolo.
Ogni miracolo è segno di questo grande prodigio del cuore dell'uomo che realmente si converte e li, nella sua storia concreta, segue il Signore.
Non c'è miracolo più grande di un cammino vocazionale alla vita e di un cammino vocazionale finalmente centrato in Cristo.
Questi prodigi ancora avvengono.
A noi tiepidi lo stimolo nello Spirito per cambiare vita,
prendere il nostro lettuccio, e finalmente, nel perdono di Dio, camminare!
Come la cerva anela ai corsi d'acqua
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così l'anima mia anela a Te, o Dio!"
Perchè la Cerva anela ai corsi d'acqua?
Per necessità vitale e per il piacere. Il piacere veicola la necessità vitale.
In noi il piacere veicola a volte la necessità, tutta narcisistica, di fondare l'autostima.
Poiché però le cose, gli oggetti, le attività non possono fondare l'autostima il piacere si riduce ad una ricerca nervosa e nevrotica che insegue sempre la ricerca del bene pescando in modalità e luoghi sbagliati.
Il piacere, invece, è stato donato all'uomo come un riflesso della gioia piena e ricca di carità che vive nella Trinità e nel cuore di Dio.
Insegnaci a contare i nostri giorni
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e giungeremo alla Sapienza del Cuore". (dal Sl. 90)
Avere presente i giorni, i fatti e il tempo della vita davanti agli occhi, per l'uomo della Bibbia, significa essere correttamente realisti.
Non farsi prendere dagli affanni.
Non farsi disperdere dalle preoccupazioni.
Vedere correttamente le prove e le tribolazioni.
Gustare nella lode le gioie.
Il peso e il metro dei giorni sono il "giorno", quello vero che ci attende e che noi spesso abbiamo dimenticato di citare a noi stessi e alle nostre catechesi: l'Eternità!
Quando l'Eternità diventa la misura di tutto, tutto acquista un senso.
Anzi tutto acquista il suo vero senso.
Solo nell'eternità l'uomo è "realmente realista".
Solo nell'eternità l'uomo è realmente incidente a livello sociale e politico.
Qui si fonda, se si è onesti, la vera laicità, di cui si fa tanto parlare: nel contare i giorni e giungere alla sapienza del cuore.
Per l'uomo della Bibbia la sapienza sta proprio nello sguardo verso l'Eternità che è Dio.
Solo in questo sguardo l'uomo coglie il suo destino futuro e attuale.
Solo in questo sguardo l'uomo "pesa" nella storia.
Altrimenti è solo un agitarsi nel tempo, spesso inutile e dannoso.
Non solo.
Ma questa Eternità che da la sapienza del cuore è proprio Dio e tutto ciò che viene da Lui.
Non "vedere", non "contare" agli occhi del cuore questa realtà significa produrre ideologie, surrogati, deviazioni che costantemente ci distraggono dal senso vero e profondo e da quel grido verso l'Eterno che, come dono di Dio, da sempre portiamo nel cuore.
Contare i giorni signiifca dunque riconoscere che il "Signore è Dio", passo dopo passo, attimo dopo attimo.
Svegli e liberi
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"Accogli con bontà, o Signore, la preghiera mattutina della tua Chiesa e illumina con il tuo amore le profondità del nostro spirito, perché siano liberi dalle suggestioni del male coloro che hai chiamati allo splendore della tua luce."
Le suggestioni del male non sono solo il peccato manifesto. Anzi, quasi mai. Sono gli abissi di nulla che si nascondo sotto la parvenza di bene. Sono confusione, sono dissipazione, piccinerie, piccole questioni, pettegolezzi, mormorazioni, giudizi avventati, risentimenti, invidie, gelosie, capricci. Sono quella zona d'ombra che tutti ci portiamo dentro e che abbisogna di essere addomesticata, educata e guarita.
Sono quelle suggestioni che inaspriscono la fronte e negano al volto di risplendere nella gioia.
Sono quelle tirannie che legano lo sguardo al limite e non alla gloria che ci è messa dinanzi.
Le suggestioni del male sono guerra inutile invece dell'unica gioiosa e ferma guerra contro se stessi.
Guerra che si opera con le armi della grazia e della gioia, "allo splendore della Sua Luce".